Clemency, la recensione: il peso dell'anima

La recensione di Clemency: Chinonye Chukwu, premiata al Sundance, affronta (di peso) il tema della condanna a morte, spostando l'attenzione sui tormenti di una direttrice di prigione. Grande scrittura, grande interpretazione di Alfre Woodard. In streaming su Netflix.

Clemency, la recensione: il peso dell'anima

L'elemento fondamentale di Clemency è il contesto. Potrebbe sembrare una storia vera, nonostante la sceneggiatura sia di pura finzione, perché ciò che accade nel film, accade per davvero in 31 dei 50 stati federali degli USA (in alcuni di essi, però, è in vigore una moratoria). Tra l'altro, secondo un recente rapporto di Amnesty, le esecuzioni capitali negli States sono aumentate nel 2022, passando da 11 a 18. E lo ripetiamo, il contesto è il vero protagonista nell'ottimo film di Chinonye Chukwu, che per il titolo ha vinto il Gran Premio della Giuria al Sundance del 2019. Un premio meritato, perché la costruzione generale di Clemency - arrivato in streaming su Netflix - lascia, poco a poco, storditi. Un film dallo sguardo asciutto, che si sofferma sui silenzi più che sulle parole. E capovolge in modo nevralgico il punto di vista.

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Clemency: una sequenza del film

Il cinema, da sempre, ha affrontato il tema della pena di morte (da Il miglio verde a Monster's Ball), tuttavia Chinonye Chukwu sposta l'attenzione sulle ansie e i tormenti di una carceriera, e su quanto la prospettiva della morte per appuntamento sia dolorosamente fine a sé stessa. Nel farlo, utilizza un linguaggio privo di pathos, ma non per questo meno potente. Anzi. È proprio l'asetticità a rendere ancora più asfissiante la messa in scena, che si allontana poco dall'ambiente carcerario - e poche volte lo sguardo si alza verso il simbolico volo degli uccelli - per restringere attimo dopo attimo un cappio da cui è impossibile districarsi. Con precisa scelta stilistica e narrativa, Chukwu pone lo stesso cappio sul collo della protagonista. Il nodo si fa più stretto, intanto che il ticchettio dell'orologio scandisce il tempo tra un'esecuzione e l'altra. E sul tempo stesso riflette Clemency: perché la vera morte, per i condannati, è l'estenuante attesa trascorsa dietro le sbarre. Non c'è umanità, non c'è recupero. Solo una strada buia che ha una sola via d'uscita.

Dead man walking

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Clemency: un frame del film

Ovvio, se il contesto è basilare in Clemency, lo è perché l'argomento trattato è tra i più complessi e tra i più dibattuti. Soprattutto se pensiamo che la maggioranza dei condannati a morte sia afroamericana, e se pensiamo pure che molti sono stati giustiziati dopo un processo frettoloso e circostanziale. Uno dei casi più famosi è quello di Lena Baker, cameriera afroamericana giustiziata ingiustamente nel 1945. Era altri tempi, certo, ma questo non giustifica e, peggio ancora, non è "servito" per migliorare le cose. Dunque, Chinonye Chukwu, tenendo sulle spalle il peso di una cornice del genere, non risparmia nel mostrare l'orrore, portando la storia ad un immediato compimento. Lo dimostra la sequenza iniziale: Bernadine Williams (una grande Alfre Woodard), direttrice del carcere, sovraintende freddamente l'esecuzione di un prigioniero. Il medico incaricato, però, non riesce a trovare una vena adeguata dove inserire l'ago.

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Clemency: un nome del film

I minuti passano, l'aria comincia a mancare. Il cappellano del carcere, David Kendricks (Michael O'Neill), scandisce il Padre Nostro, ma l'uomo, incatenato sul letto, inizia a contorcersi prima di spirare in preda ai dolori. L'ago viene infilato nella vena femorale (utilizzata come estrema ratio), ma il condannano a morte non riesce immediatamente a morire. Una tortura. Forse, l'unica cosa peggiore della morte in sé. Bernadine Williams, algida e distaccata, immersa fino al collo nella routine di un boia in tailleur, esce inconsapevolmente scioccata dalla vicenda. Gli incubi notturni si fanno più vividi, più ricorrenti, fino ad esplodere quanto arriverà la nuova sentenza di morte: questa volta tocca ad Anthony Woods (Aldis Hodge), che si professa innocente. L'ultimo appello è caduto, e dunque bisogna preparare l'iter per l'iniezione letale. Fuori il carcere montano le proteste, il brusio di fondo diventa umanamente insopportabile per Bernadine, che si immedesima in Anthony. Il loro, sarà una sorta di percorso parallelo, fino a quando entrambi si ritroveranno a condividere la glaciale camera della morte.

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Clemency: una scena del film

Oltre il contesto stesso, è il montaggio a mantenere il ritmo e l'umore di Clemency: dopo la prima mostruosa esecuzione - a cui assistiamo senza tagli, girata in tempo "reale" - il film si muove tra le sensazioni di Bernadine e di Anthony, rinunciando però a qualsiasi vezzo o artificiosità. Meticolosamente, la regista si sofferma sul procedimento che subisce ogni condannato a morte, azzerato di ogni dignità. Per questo, la messa in scena non può non essere confinata nei muri graffiati del penitenziario, o nell'ufficio disordinato della direttrice (anche per questo la colonna sonora è pressoché assente, lasciando che siano i rumori della prigione il vero score).

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Clemency: una scena

Un luogo che consuma umanità e speranza, intriso da una puzza inodore generata dai tremiti di chi attende il proprio destino. Al netto di ciò che si possa socialmente e umanamente pensare, Clemency di Chinonye Chukwu è un film che smuove nella sua statica enfatizzazione delle routine, che scoppia nella costipare le emozioni represse di una protagonista consumata, esacerbata, sfilacciata, nonché giudicata con oggettività narrativa tanto dalla regista quanto dalla performance di Alfre Woodard, che l'affronta con una meticolosità e una sottrazione da brividi. Se all'interno del film ci sono due storie, entrambe si legano poi nello splendido finale. Un finale che, per esaurimento, si rifà alla dilaniante sequenza iniziale. Tuttavia, lo sguardo della Chukwu, qui alla sua seconda regia, si incolla sul primo piano di Bernardine. Il cappio è ormai avvinghiato sul collo, l'ossigeno è esaurito, il peso dell'anima è sbilanciato. Siamo in una bolla che sta per implodere, liberando dal suo ventre quelle emozioni annichilite per troppo tempo. Un'esperienza cinematografica difficile da dimenticare, e per questo determinante per la sua totale riuscita.

Conclusioni

Lo ripetiamo, come scritto nella nostra recensione: Clemency, dietro una messa in scena asciutta e minimale, nasconde un racconto potente ed essenziale, affrontando il tema della pena di morte. Un tema però che si rigira su chi "gestisce" la pena capitale, dovendo affrontare parallelamente al condannato un percorso che non prevede umanità. Questo, porterà allo scontro emotivo la protagonista, interpretata da una grande Alfre Woodard. Straordinaria la sequenza finale.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • Alfre Woodard.
  • La storia.
  • La regia, asciutta ma potente.
  • La scena finale.

Cosa non va

  • Potrebbe arrancare nella parte centrale.