Sopravvissuto alle atrocità della dittatura argentina, Claudio Tamburrini racconta i suoi mesi di prigionia alla luce del film di Adrian Caetano. Opera tratta proprio da un suo libro.
Cronaca di una fuga - Buenos Aires 1977 uscirà in venti copie; nell'attesa che il film raggiunga le sale, Claudio Tamburini ha raccontato in conferenza stampa i suoi ricordi, i suoi pensieri e le sue esperienze, mettendo in luce l'importanza e il valore che assume un film del genere. Tamburrini ha elogiato il prodotto finito che, a suo pare, ha anche saputo ricostruire i fatti in maniera più che soddisfacente. Un incontro con il cinema e con la storia, capace di far riflettere.
Questo film, quanto riesce a rendere il dolore e l'angoscia di quei giorni?
Claudio Tamburrini: Riesce molto bene, veramente. È un pezzo di storia della mia vita a cui sono molto affezionato, e sono molto soddisfatto del risultato finale. Quando l'ho visto per la prima volta mi ha toccato profondamente, perché il film è ben fatto: sono state ricostruite tutte le scenografie, tutti i posti, le atmosfere. É stato fatto tutto molto bene e questo mi ha colpito. È un racconto vero, veridico, in tutti i sensi.
Hai mai incontrato, nel tuo cammino, qualcuno dei tuoi aguzzini?
Ho cercato per molti anni di incontrare qualcuno di loro. Ci sono arrivato vicino cinque o sei anni fa, quando, in una scuola, ho parlato con un'insegnante che era l'ex moglie di uno dei militari di quel periodo. Ho provato a combinare un incontro ma non c'è stato verso. Volevo sapere cosa pensavano, cosa scattava nella loro testa quando facevano queste cose. Mi sembra ci sia una necessità, non solo in Argentina, ma ovunque ci siano state situazioni analoghe, di riuscire a capire cosa capita nella testa di questa gente. Bisogna sapere la verità, sapere chi, sapere il perché di tutto questo, sapere dove sono le vittime. Forse, venticinque anni dopo, sarebbe necessario scambiare pene più leggere, barattandole per riuscire ad avere informazioni, per fare i conti. Punire mi sembra giusto, ma purtroppo non basta. Non parlo di riconciliazione, perché la riconciliazione è una cosa personale. Ma delle volte non si può avere sia la punizione che la verità. Per sapere la verità, bisogna discutere. La minaccia della pena non basta.
Cosa le è rimasto di quei mesi di prigionia?
Da quel momento, ho costruito tutta la mia vita sulla base di quei fatti. I miei due figli e gli accadimenti narrati nel film, sono le cose più importanti della mia vita. Io rivivrei tutta quell'esperienza... con quel finale, chiaramente (sorride). Io affronto il mio passato con gioia.
Ha mai più rimesso piede nei luoghi di detenzione?
Si, ci sono tornato, ma non è rimasto niente, è stato tutto distrutto.