Allegro e scanzonato, Claudio Santamaria approda a Giffoni per trattare di argomenti seri come fumetti e recitazione, ma inaugura il suo incontro con il giovane pubblico annaffiando il proprio cappello con l'acqua dei fiori posti a decorazione. Nell'atmosfera goliardica di Giffoni, Claudio è il primo ad avere voglia di scherzare dimostrando di essere lontano anni luce per temperamento dal suo alter ego in Lo chiamavano Jeeg Robot Enzo Ceccotti.
L'attore romano racconta: "Ho avuto occasione di rivedere i primi provini, che verranno inseriti come extra nella versione home video di Lo chiamavano Jeeg Robot. A rivederli sono rimasto scioccato dal cambiamento, soprattutto fisico. Gabriele Mainetti mi ha scelto perché amava la trasparenza emotiva che avevo ma mi mancava la corazza del personaggio, non solo fisica, ma anche emotiva. Enzo Ceccotti ha bisogno d'amore e lo manifesta chiudendosi in casa, drogandosi di budini e film porno. Nei primi provini improvvisavo e aggiungevo elementi. È stato un lavoro di costruzione estetica, fisica, emotiva. Ho cambiato voce, sono andato allo zoo a guardare l'orso, che però stava fermo tutto il tempo pieno di farmaci. Da lì ho capito che Enzo Ceccotti è un orso drogato che sopravvive".
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Da Paz a Jeeg Robot
I media hanno scomodato paragoni illustri definendo Lo chiamavano Jeeg Robot un "incrocio tra i supereroi Marvel e Pasolini". Claudio Santamaria non può essere più d'accordo: "Solo Pasolini e Claudio Caligari sapevano raccontare la periferia in maniera viva, partecipe. Di solito i registi mantengono un distacco tra sé e questo tipo di materia, mentre in questo caso c'è uno sguardo puro, partecipe. Quando ho letto la sceneggiatura ho detto 'Finalmente!. Un film diverso'. Io sono un superfan degli X-Men. Al di là dell'aspetto fumettistico, i film sui personaggi Marvel toccano temi come la diversità, l'accettazione di sé. Adesso tutti applaudono il risultato finale, ma per realizzare il film Gabriele ha girato tutti i produttori per 5 anni. Gli dicevano che il genere in Italia non tira più, che il film non interessava a nessuno e invece il pubblico ha dimostrato di aver fame di storie universali immerse nella realtà italiana. Lo chiamavano Jeeg Robot non imita nessuno, ma prende un genere che non ci appartiene e lo fa nostro. Secondo me questo film non ha niente da invidiare ai supereroi americani".
Da appassionato lettore di fumetti, soprattutto italiani, Claudio Santamaria ha avuto un primo approccio con l'adattamento di un fumetto sul grande schermo nel 2002, quando è stato scelto per interpretare Penthotal in Paz! di Renato De Maria, ispirato ai fumetti di Andrea Pazienza. "In realtà sono due opere profondamente diverse. A differenza di Lo chiamavano Jeeg Robot, Paz è un adattamento vero e proprio. È un'esperienza totalmente diversa, non si parla di supereroi, ma di un'epoca storica. Nessuno meglio di Pazienza è riuscito a parlare del '77 a Bologna, lui era una rockstar, ha creato un linguaggio, una serie di personaggi che tratteggiano un mondo da vari punti di vista. Paz era un grande poeta. Penthotal ed Enzo Ceccotti, però, qualcosa in comune ce l'hanno, perché tutti e due si sentono inadeguati e fuori da tutto. A Ceccotti, però, mi sono accostato con una maturità diversa. Sul set mi sentivo totalmente spaesato, pensavo di non essere adatto, così ho cercato di usare la mia inadeguatezza nel personaggio di Penthotal".
Il potere educativo del cinema
Con il mondo sconvolto da attentati terroristici e atti di violenza di varia natura, è inevitabile chiedere a Claudio Santamaria il suo punto di vista. L'attore, sensibile alle tematiche sociali e impegnato in varie cause umanitarie, sottolinea come oggi più che mai sia importante ricordare che "siamo tutti immigrati. Io ho parenti ovunque, dal New Jersey al Sud America. Al di là delle polemiche, uno paga le tasse anche per avere la possibilità di invitare qualcuno. Se ho una casa, posso invitare degli ospiti. Lavorando nel mondo del cinema sono fortunato, perché il grande schermo ha una potenza maggiore rispetto ai TG. Il cinema porta lo spettatore a identificarsi coi personaggi della storia, ti rimane dentro come esperienza che hai vissuto e così ti permette di lanciare dei messaggi".
Lo stesso Claudio Santamaria non si è tirato indietro quando è stato chiamato a recitare in pellicole che toccano temi delicati, partecipando a Diaz di Daniele Vicari, un film sui fatti di Genova del 2001 apprezzato da pubblico e critica. Claudio commenta: "Il vero scandalo è stato il fatto che in Italia non è mai passata la legge per il reato di tortura. L'unica arma che abbiamo è la pressione delle associazioni, della gente, dobbiamo utilizzare mezzi non violenti per far sentire la nostra voce e provare a combattere le ingiustizie. Il web è una forma di comunicazione globale quindi può essere molto utile per queste iniziative"
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