Dai Police a Puff Daddy il passo è breve. 1997: quattordici anni dopo l'uscita della criptica e memorabile Every Breath You Take cantata da Sting, il celebre rapper newyorkese sforna I'll be Missing You, cover appassionata e straziante, dedicata alla memoria del collega Notorius B.I.G., morto ammazzato in una sparatoria. Un'esecuzione in pieno stile, avvenuta in una notte di inizio marzo, appena qualche mese dopo l'omicidio di Tupac, altro fumantino rapper in combutta con lui. Forse è l'inevitabile e funesto capitolo di una faida tra East Coast e West Coast, giocata a suon di sferzanti rime hip hop, forse un regolamento di conti annunciato. Se apriamo questa recensione di City of Lies: L'ora della verità parlando di musica, è perché il film di Brad Furman (The Lincoln Lawyer) lega note e mistero, rap e sangue in un nodo indissolubile.
Tratto dal romanzo Labyrinth, scritto dal giornalista di Rolling Stone Randall Sullivan, il film City of Lies: L'ora della verità si affida all'esperienza compassata di Johnny Depp e Forest Whitaker per raccontare le faticose tappe di un'indagine rimasta nell'ombra per tanti, troppi anni. Chi ha freddato Notorius B.I.G.? Che legame c'è tra il suo omicidio e quello di Tupac? Come mai è calata così tanta nebbia sui due casi? Attraverso uno strambo sodalizio tra due uomini all'agognata ricerca di verità, l'investigatore Russell Poole (realmente esistito) e il giornalista Darius Jackson provano a sbrogliare un'intricata matassa fatta di omissioni, segreti, rancori e polizia non proprio irresistibile.
Il caso è strano: tutto è partito, senza volerlo, dai Police ed è proprio negli uomini di legge che City of Lies affonda il colpo. Solo che questa volta non ci sarà qualcosa di bello da ascoltare.
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Una trama intricata senza il ritmo del rap
A City of Lies - L'ora della verità non manca il coraggio, perché fa tutto tranne che ricostruire le vicende tenendo per mano lo spettatore. Il film di Furman, infatti, ha le fattezze di un grande pezzo di vetro ricostruito a suon di schegge, un racconto esploso in tanti frammenti rimessi al loro posto con pazienza e dovizia di particolari grazie a una sceneggiatura che procede in maniera poco lineare. Nonostante la struttura labirintica e la trama intricata, City of Lies: L'ora della verità riesce a far venire al pettine ogni nodo, ma ci riesce senza brillare di ritmo e brio. Furman dimentica la ritmica del rap e impone un tempo narrativo troppo dilatato che, purtroppo, non riesce a rispettare il titolo del film.
Perché quello che manca a City of Lies è proprio l'atmosfera in cui è calato, il contesto urbano, il desiderio di mettere in scena il tessuto sociale e artistico in cui si addentra la storia. Perché, se le vite e le morti di Notorius B.I.G. e Tupac sono certamente fatti arcinoti negli Stati Uniti d'America, questo non è affatto vero altrove, dove le imprese artistiche dei due riecheggiano soltanto in piccole nicchie. Ecco, da questo punto di vista il film dà troppe cose per scontate, evitando di mettere in chiaro tutte le motivazioni su cui si basava la "guerra rap" tra East Coast e West Coast che esplose durante gli anni Novanta. Per chi non conosceva la vera storia del duplice omicidio, City of Lies sarà interessante come un docu-film dal sapore nozionistico, ma chi cerca lo spessore, il carattere e le motivazioni del thriller nero e teso dovrà cercare altri spartiti.
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Johnny Depp, dove trovarlo?
Colpevoli, dinamiche spiegate nel dettaglio, tappeti alzati per risollevare tutta la polvere nascosta per tanti, troppi anni. Tutto questo viene a galla con molta chiarezza grazie a una sceneggiatura in cui tutto torna e a una fotografia volutamente cupa che mette in risalto il lato balordo e sporco di una grande macchia nella Giustizia a stelle e strisce. Il problema viene fuori quando City of Lies cerca di fornire carisma ai due personaggi a cui fa cercare col lanternino una scomoda verità. Il Poole di Johnny Depp e il Jackson di Forest Whitaker sono uomini in qualche modo simili: soli, stanchi, imbolsiti, dediti al lavoro in maniera così ossessiva da farne la loro unica ragione di vita. Caratteri monodimensionali tra i quali i due attori non riescono a creare quell'alchimia capace di guadagnarsi il pieno sostegno e la necessaria attenzione da parte del pubblico. Colpa anche di dialoghi alquanto piatti, senza picchi, che spesso esasperano alcune situazioni risultando forzati e fuori luogo.
Non aiuta la causa un Johnny Depp che sì, per una volta non è soffocato da maschere (anche se rimangono i segni albini del suo recente Grindelwald), ma appare svogliato e sottotono, non a caso protagonista di litigi sul set di un film che ha un solo grande merito: far venire voglia di approfondire una pagina controversa della musica pop contemporanea.
Movieplayer.it
2.5/5