Da quando nel marzo 2018 Aniplex annunciò la produzione di un nuovo film sul personaggio di Ryo Saeba e i fan della storica serie City Hunter andarono veramente su di giri, soprattutto perché il fatto che capitasse a 30 anni dalla messa in onda del primo episodio della serie animata faceva sperare in qualcosa di interessante. E' arrivato così nella sale City Hunter - Private eyes, diretto da Kenji Kodama, un lungometraggio di 95 minuti che riporta su grande schermo (qui in Italia il 2, 3 e 4 settembre grazie a Dynit e Nexo Digital) tutti i personaggi che abbiamo tanto amato e che non vedevamo l'ora di rivedere magari in chiave più moderna. In questa recensione di City Hunter: Private Eyes terremo conto anche di questo, del tempo che è passato e dell'inevitabile operazione nostalgia che è stata messa in atto, perché diciamolo con sincerità: Ryo e Kaori ci sono mancati, e tanto! City Hunter è un manga degli anni Ottanta e Novanta scritto da Tsukasa Hōjō che si rivelò un grande successo sia in patria che in Francia, Italia e Stati Uniti. Proprio la sua commistione di generi (action, umoristico e avventura) gli ha permesso di incontrare i gusti di molti, conquistando per simpatia e qualità delle scene d'azione, forte di un personaggio principale sfaccettato, tanto buffo quanto intrigante.
Una trama poco innovativa
La storia è molto semplice e le dinamiche per nulla nuove agli amanti dell'anime e del manga: sulla bacheca, ormai virtuale, della stazione di Shinjuku, la modella Ai Shindo scrive le fatidiche lettere XYZ per chiedere aiuto a colui che tutti in città chiamano City Hunter, una misteriosa guardia del corpo in grado di risolvere anche gli incarichi più difficili e apparentemente impossibili. La ragazza, infatti, da giorni viene pedinata da un gruppo di tipi loschi che tentano persino di rapirla, ma ad arrivare in soccorso arriva lui, Ryo Saeba, sempre pronto a proteggere una donna, specialmente se bella e piuttosto procace. L'incarico è quindi accettato, ma a complicare le cose ci si metterà una vecchia conoscenza di Kaori che sembra in qualche modo entrare nelle vicende della sfortunata Ai.
La forza dei personaggi
Vero motore di questo film d'animazione sono di sicuro i personaggi, li abbiamo amati in passato e va riconosciuto che, nonostante gli anni, non sono invecchiati nemmeno un po'. La coppia Ryo/Kaori funziona sempre benissimo, il loro legame, profondo e mai banale, muove ancora le fila di una storia che risente del già visto ma di cui non ci siamo ancora stancati. Lo Stallone di Shinjuku, come ama soprannominarsi Ryo, è sempre pronto al mokkori così come sono sempre pronte le martellate di Kaori, utilissime per freddare i bollenti spiriti che assalgono il molesto partner quando vede una bella donna.
Ben presenti sono anche Umibozu, Miki e il loro locale a prova di proiettile che in questo film avrà anch'esso un ruolo tutto particolare. A chiunque abbia visto il trailer non sarà poi sfuggita la presenza di altri tre personaggi "in prestito" da un'altra celebre serie di Hōjō. Sì, proprio loro: le tre affascinanti ladre Hitomi, Rui e Ai (Sheila, Kelly e Tati per chi avesse visto solo l'anime in italiano), protagoniste di Occhi di gatto. Ulteriori dettagli sul loro coinvolgimento nella storia, seppur marginale, ve li lasciamo scoprire guardando il film in modo da non rovinarvi in alcun modo la sorpresa.
Vecchio e nuovo, i luoghi che cambiano
La serie animata, così come il manga, ci aveva presentato Shinjuku, le sue vie illuminate e i suoi angoli più bui, quasi a volerci far intuire che più di un'ambientazione il quartiere fosse un personaggio vero e proprio, vivo e pulsante, in quel periodo a cavallo tra gli anni '80 e '90. Nel film questo aspetto viene mantenuto seppur con qualche differenza. Se qualcuno di voi è stato a Tokyo nell'ultimo anno potrà riconoscere diverse strutture moderne: dall'entrata della stazione per la metro JR, al gigantesco centro commerciale LUMINE, che occupa diversi grattacieli. Il paesaggio è quindi cambiato e perfettamente aderente con la realtà. Anche gli oggetti di uso comune si sono evoluti, vediamo fare la comparsa di telefoni di ultima generazione, app, e persino robottini per le informazioni al pubblico. Ma se alcune cose inevitabilmente cambiano, altre restano sempre le stesse; dopotutto questo film non fa altro che far leva sulla nostalgia dei fan, non aggiungendo nulla alle vicende che conosciamo, anzi, fa forse un piccolo passo indietro deludendo chi si aspettava qualcosa di veramente nuovo e sorprendente. Tutto quello che ci regala è poco più di un'oretta e mezza con i nostri amati personaggi che però non si muovono e ripetono in loop le loro avventure cambiando solo gli elementi di contorno. Una cosa però è certa: continueremo ad amare City Hunter e a sperare in altri film, perché in fondo delle avventure dello Sweeper di Shinjuku e della sua attenta assistente non ne avremo mai abbastanza.
Conclusioni
Come già affermato nella recensione di City Hunter: Private Eyes, questo film d’animazione risulta essere una bella operazione nostalgia che però non aggiunge nulla di nuovo o particolarmente innovativo nell’universo di Ryo Saeba. I personaggi funzionano ancora egregiamente ma sono fermi in un loop di vicende che si ripetono film dopo film. Ottima la resa delle ambientazioni, più moderne e riconoscibili.