Sono trascorsi 30 anni dall'uscita al cinema di Cimitero vivente. L'horror uscito nel 1989, tratto dal romanzo di Stephen King, del quale aspettiamo un imminente remake, ha segnato la vita diurna e gli incubi di ogni adolescente degli anni Ottanta (e anche di qualcuno della generazione subito successiva) e del quale oggi ci ritroviamo a rievocare quegli aspetti del film, quelle cose che ci spaventano ancora oggi. È fuori di dubbio che i romanzi dell'autore di Portland stiano vivendo un secondo periodo d'oro: dopo It, ecco un altro remake da uno dei suoi lavori più amati. Stephen King era, negli anni Ottanta, un autore di horror che spopolava tra i teenager ed era considerato adatto solo a loro. Ci scambiavamo i volumi, che uscivano prestissimo in edizione economica, che erano "romanzetti di serie B". Era lontano anni luce dal rispetto di cui gode oggi.
Eppure tutti noi conoscevamo a menadito le sue storie e guardavamo i suoi film, per lo più in videocassetta, di sabato pomeriggio, riuniti nel salotto di qualche compagno di classe, con ciotole giganti di pop corn fatto in casa. Tra tutti questi, IT e Cimitero vivente sono senza dubbio i più famosi e quelli che, ancora oggi, ci inquietano ancora in qualche modo. Ma come mai? Sarà perché, come accennavamo sopra, lo stesso King dichiarò che Pet Sematary è l'unico suo romanzo che lo spaventò mentre lo scriveva? O piuttosto per un qualche elemento che, ancora oggi, a distanza di tre decadi, non ci fa dormire sereni la notte? Abbiamo deciso di pensarci bene e per questo abbiamo stilato una lista di cose che ancora oggi ci spaventano del film del 1989. Non sappiamo come sarà il remake, e lo aspettiamo con ansia, ma intanto ecco qui gli elementi che fanno di un piccolo film horror un cult senza tempo.
La base di verità
Stephen King scrisse questo romanzo ripensando alla morte del gatto di sua figlia e alla reazione della ragazzina. A quanto non fosse pronta per assimilare il concetto di morte e di perdita. Il che ci fa pensare che, alla base di quello che oggi ci sembra una follia, ci sia stato un desiderio reale di riportare in vita l'animale. Dopo che pure si conosceva il concetto del nuovo zombie (non a caso la prima scelta per dirigere l'adattamento cinematografico era caduta su George A. Romero), esisteva qualcuno che, pur di non perdere il proprio animale o i propri cari, avrebbe desiderato un modo per farli tornare dalla morte. Un concetto macabro che sta proprio alla base della creazione del tutto e che non può lasciare indifferenti anche dopo tanti anni.
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L'atmosfera del film
Fin dalla prima inquadratura, l'atmosfera di Cimitero vivente è lugubre e inquietante. Il cielo non è mai limpido, nemmeno quando l'allegra famigliola arriva nella nuova casa o si gode un pic nic all'aria aperta. C'è sempre un tono grigio, un che di plumbeo, un'aria asfittica e leggermente claustrofobica. Come se le comunità di provincia, a cui tanto ci ha abituati King, fossero chiuse in loro stesse, come fossero una trappola, una prigione dalle porte aperte, ma dalla quale, di fatto, non si pensa di uscire. E di questa comunità, in questo film, vediamo davvero pochissimi abitanti...
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L'omertà di Jud Crandall
Il vecchio Jud Crandall sa benissimo cosa accadrà quando fa conoscere a Louis il vecchio cimitero indiano. Eppure non gli dice nulla. Lo trascina durante il tragitto e gli intima di fare ciò che dice senza porre quesiti, pur non pronunciando direttamente queste frasi. Oggi questa omertà risulta ancora inquietante: il vecchio vicino di casa, saggio conoscitore del territorio, l'unico di cui ci si potrebbe fidare... che invece precipita l'intera famiglia in un incubo che pure aveva già vissuto. E del resto, anche Crandall sembra operare per una reiterazione forzata, come quando si tramandano le leggende per via orale. Con la stessa omertà della comunità di It, se questa "tradizione" non venisse portata avanti, verrebbe dimenticata. E c'è qualcosa in lui che non può permetterlo.
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I camion
Camion rossi in strada, che sfrecciano alla cieca. Non vediamo il conducente. Ed è subito Duel. Certamente la regista Mary Lambert conosceva il western autostradale di Steven Spielberg, per questo questi camion somigliano così tanto a quello di Duel, anche nelle inquadrature in cui sembrano mostri ciechi e divoratori. A noi spettatori non può che inquietare... come pure ci inquieta, oggi forse anche più di ieri, l'assoluta normalità della vita all'aria aperta, con dei bambini, sul limitare di una strada a scorrimento così veloce, senza alcuna barriera protettiva, semafori, passaggi pedonali o altri espedienti per far rallentare i guidatori.
Ellie Creed
Poche ragazzine sono rimaste impresse nell'immaginario comune per la loro antipatia come Ellie Creed. Complice anche un doppiaggio dalla voce stridula e insopportabile. In verità dovremmo empatizzare con la povera Ellie, che perde prima il gatto e poi gli affetti più cari. Sensibile, che non accetta la dipartita del fratellino (che pure si filava poco mentre era in vita). Lei che è anche sensitiva e sogna tutto nel momento in cui accade, che è forse la più fragile... Eppure ancora oggi la sua faccina è poco sopportabile.
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Zelda, la sorella di Rachel
Zelda, la sorella defunta di Rachel, è forse il personaggio più inquietante dell'intera vicenda. Già, perché come sovente accade nei romanzi di Stephen King, non è solo una la vicenda terrorizzante qui. Se c'è qualcosa in cui Stephen King è bravo, e che lo accomuna ad autori dal calibro più grande, quali ad esempio David Lynch, è il puntare una luce, un occhio di bue, sugli orrori reali della provincia americana. Rachel aveva una sorella malata, Zelda. La malattia la rendeva deforme e le procurava atroci dolori. Anziché aiutarla, la sua famiglia la teneva segregata, nascosta in casa come una cosa di cui vergognarsi, e la povera Rachel doveva portarle da mangiare. Le voleva bene eppure ne era terrorizzata. Zelda fu interpretata da un uomo, per essere ancora più respingente in un film che costò pochissimo e non si avvalse di effetti speciali digitali. E ancora oggi fa paura, per look, ma soprattutto per il disgustoso concetto di abusi familiari a cui è legata.
La mancanza di jump scares
Senza ombra di dubbio, Cimitero vivente non è un horror come quelli che si vedono ora al cinema. Per lo più oggi si gioca sui jump scares, quel meccanismo per cui, all'improvviso, lo spettatore rischia un infarto e scambia la sorpresa con la paura. In Cimitero vivente questo non avviene quasi mai, per questo è così inquietante ancora oggi. Stephen King, ma anche Mary Lambert, rovista nelle torbide acque della paura recondita, tocca corde profonde, agita per davvero perché va a scovare qualcosa che teniamo in un cantuccio, al buio, e non guardiamo mai. Persino le creature più orripilanti, come Zelda o il fantasma tumefatto di Victor, non appaiono all'improvviso. Gage non compare a suo padre dal nulla, sappiamo benissimo che è entrato in casa. Ed è proprio questo indugiare che ci spaventa: l'orrore è qui, presente, non va via dopo pochi secondi. È persistente. Anche a distanza di trent'anni.
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La musica
Se escludiamo i due brani dei Ramones, uno dei quali scritto appositamente per il film su richiesta del fan Stephen King, la musica è quasi assente in Cimitero vivente. Come per i jump scares, non se ne fa un utilizzo funzionale, non viene adoperata per alimentare un senso di attesa o di inquietudine. In alcune scene c'è l'assordate silenzio della quotidianità reale, il che rende il tutto ancora più macabro.
Il modo in cui viene ucciso Gage
Il piccolo Gage è un pupo biondo adorabile. Che quando torna, ha improvvisamente la voce di Ellie e sa dire molte più cose di quando era vivo. Se si va a scavare nelle tradizioni popolari, il bimbo biondo a cui nessuno torcerebbe un capello è una delle raffigurazioni del demonio, che in questo modo avvicinava le donne e le inteneriva, disponendole alle sue tentazioni. E di certo, nessuno pensa che Gage, una volta tornato, sia innocuo. Però il modo in cui viene nuovamente ucciso da suo padre, con una iniezione letale alla giugulare, è davvero qualcosa di atroce. Louis non prende le distanze, uccide suo figlio da vicino e guardandolo negli occhi. Ed è uno dei modi in cui, negli Stati Uniti, si applica la pena di morte...
Rachel che ritorna
"Con Gage ho atteso troppo, Rachel è morta da poco, sarà diverso". Così Louis si racconta una storia che sa essere falsa. E allora noi non capiamo perché Rachel ritorna già parzialmente decomposta, se Gage, morto da più tempo, era intonso. Le manca un occhio dall'orbita, il bel volto è sfigurato. Che il piccolo Gage la abbia torturata, giocando con mammina? Quel che è certo è che ci inquieta, lei come il bacio mortale che le dà Louis. Mortale per lui, per noi...