Il 12 marzo gli abbonati di Netflix in quasi tutto il mondo hanno potuto scoprire Annientamento, il nuovo lungometraggio di Alex Garland (sceneggiatore di 28 giorni dopo e Sunshine e regista di Ex Machina), basato sull'omonimo romanzo di Jeff VanderMeer e avente come protagonista Natalie Portman. Un mese prima, la piattaforma di streaming ha accolto un altro film di fantascienza con nomi famosi davanti e dietro la macchina da presa: The Cloverfield Paradox, terzo capitolo dell'atipico franchise prodotto da J.J. Abrams. I due film sono accomunati non solo dal modo in cui verranno visti dalla maggior parte degli spettatori, ma anche da come ci sono arrivati: entrambi i lungometraggi sono infatti produzioni della Paramount che, dopo un passaggio di consegne ai piani alti, ha deciso di rivedere la propria strategia di distribuzione, valutando di volta in volta cosa convenga far uscire in sala e cosa no. Alla luce di questo recente sviluppo, e prendendo in considerazione anche altre mosse di Netflix per quanto riguarda le produzioni in proprio, abbiamo voluto fare il punto della situazione su come si sta evolvendo il mercato audiovisivo statunitense.
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Non c'è posto per i più piccoli
Tipicamente, se si andava a curiosare tra le novità del servizio di streaming, ci si poteva imbattere in documentari, pellicole indipendenti e qualche horror troppo strano o estremo da sopravvivere in sala: basti pensare a Hush - Il terrore del silenzio, che ha debuttato al festival South by Southwest due anni or sono ed è poi andato direttamente su Netflix, o alla commedia I Don't Feel at Home in This World Anymore, che ha vinto il premio principale al Sundance nel 2017. Sono solo due esempi di quello che era un trend in ambito americano, dove molte produzioni più piccole puntavano sullo streaming o persino sulla televisione poiché le possibilità di avere una distribuzione vera e propria al cinema, con annesse probabilità di guadagno, erano scarse. Cinque anni fa Steven Soderbergh volle congedarsi dal cinema dato che nessuno voleva far uscire in sala Dietro i candelabri, che in America è finito su HBO. Ed è sempre sul canale cable che il pubblico americano vedrà The Tale, acclamato all'ultimo Sundance. Questo, dicevamo, era il trend, con i suoi alti e bassi: come sottolineato in più occasioni dai media statunitensi, Netflix ha la pessima abitudine di non promuovere nel migliore dei modi i suoi acquisti più "modesti", affidandoli al caso o alla speranza che chi vuole vedere un titolo specifico sappia di poterlo trovare sulla piattaforma.
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La posta in gioco è però cambiata con due titoli di Netflix dello scorso anno, Okja e Bright. In entrambi i casi si tratta di film di genere concepiti appositamente per la piattaforma di streaming poiché essa promette una libertà creativa che il sistema hollywoodiano tradizionale il più delle volte non è in grado di garantire (Bong Joon-ho, regista di Okja, l'ha vissuto sulla propria pelle con Snowpiercer, la cui uscita ha rischiato di essere compromessa dai conflitti con il distributore americano, un certo Harvey Weinstein). Nel caso di Bright è stato sottolineato che fosse un vero e proprio blockbuster fantasy, diretto da David Ayer, interpretato da Will Smith e costato circa 90 milioni di dollari (ma occorre precisare che una fetta non indifferente del budget era legata ai compensi per cast e troupe, dato che con Netflix non esistono né le percentuali sugli incassi né i cosiddetti residuals, guadagni supplementari legati a vendite home video, diritti TV e altro). Un successo stratosferico, stando alle dichiarazioni ufficiali della società californiana, tant'è che Bright è ora il primo franchise "cinematografico" prodotto da Netflix (è stato annunciato un sequel). E restando in zona budget, è proprio per una questione legata ai costi che un regista altamente cinefilo come Martin Scorsese si è ritrovato a collaborare con Netflix per The Irishman (e ancora non si sa se almeno negli Stati Uniti sarà contemplata una limited release al cinema).
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La crisi della Paramount
Tornando ad Annientamento e The Cloverfield Paradox, la decisione di venderli a Netflix (nonostante le obiezioni di Garland nel primo caso, deluso soprattutto perché nella sua natia Inghilterra nessuno vedrà il film in sala) è dovuta, come abbiamo detto, a un cambio di regime ai vertici della major americana. La casa di produzione/distribuzione a cui dobbiamo Star Trek, Team America e I predatori dell'arca perduta è infatti in serie difficoltà finanziarie da alcuni anni, a causa di una serie di flop nati sotto la supervisione dell'ex-dirigente Brad Grey, deceduto lo scorso anno. Con poche eccezioni, tra cui Transformers 4: L'era dell'estinzione e Mission: Impossible - Rogue Nation (con un doveroso asterisco per Interstellar dato che i diritti internazionali erano in mano alla Warner Bros.), le produzioni Paramount sono andate malissimo al botteghino, e nemmeno i franchise affidabili sono stati una garanzia, come dimostrano gli incassi al di sotto delle aspettative per Star Trek Beyond e Transformers - L'ultimo cavaliere. Se a questo aggiungiamo la perdita di due fonti di guadagno come il Marvel Cinematic Universe e Indiana Jones, entrambi di proprietà della Disney, non è tanto sorprendente che sia stato giudicato necessario un cambio di strategia.
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Si è pertanto deciso di far uscire Annientamento al cinema solo in un paio di mercati, tra cui gli Stati Uniti, sulla base di proiezioni test dalle quale emergeva che il film sarebbe "troppo intellettuale" per il pubblico medio e il precedente di Ex Machina, andato meglio negli USA che nei territori internazionali. The Cloverfield Paradox è invece andato direttamente su Netflix, tramite un annuncio a sorpresa degno delle precedenti campagne di marketing del franchise: durante l'edizione 2018 del Super Bowl è uscito il trailer, e al termine della partita era disponibile il film. Una scelta vincente per la piattaforma di streaming e per la Paramount, che ha recuperato le spese di produzione tramite la vendita e può ora puntare su quelle uscite in cui ha maggiore fiducia per la sala: Mission: Impossible - Fallout, lo spin-off di Transformers dedicato a Bumblebee e, dalle parti dei budget più contenuti, e l'horror A Quiet Place - Un posto tranquillo, reduce da ottime reazioni al South by Southwest. Entro la fine dell'anno dovrebbe uscire anche un quarto Cloverfield, ma a questo punto rimane da vedere se arriverà sul grande schermo o direttamente nelle nostre case.
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Qualcosa è cambiato?
Nel commentare il successo "di pubblico" di Bright, Reed Hastings ha anche sottolineato la discrepanza tra apprezzamento degli abbonati e reazioni dei critici, portando a commenti sui social secondo i quali le nuove strategie di Netflix, tra cui la modalità di lancio di The Cloverfield Paradox, dimostrerebbe da un lato che la società californiana è in grado di competere con le major cinematografiche e dall'altro che la critica cinematografica è ormai "inutile" (nel caso specifico del terzo Cloverfield, la stampa non l'ha visto in anticipo). Ci sono però due fattori da prendere in considerazione: in primo luogo, gli abbonati di Netflix non pagano singolarmente per ogni film, il che rende meno problematico scegliere di vedere un lungometraggio che al cinema forse non giustificherebbe la spesa del biglietto e altri costi (motivo per cui Adam Sandler, che in sala ormai incassa solo con il franchise animato Hotel Transylvania, continua a mietere successi grazie allo streaming e ha rinnovato il suo accordo di esclusività con Netflix); in secondo luogo, fare a meno delle recensioni è possibile, come al cinema, solo in presenza di una campagna pubblicitaria degna di questo nome, come il trailer di The Cloverfield Paradox rilasciato durante il Super Bowl (e spendendo quindi almeno 5 milioni di dollari). In altri casi, come quelli di Mute o Annientamento, la stampa ha ricevuto gli screener perché senza un minimo di passaparola, viste le abitudini di Netflix nel promuovere i propri film, i titoli in questione rischiavano di passare inosservati. La società di streaming è quindi arrivata a un punto paradossale: essa si propone come un'alternativa - ma non un sostituto - dell'esperienza cinematografica e del modo di fare degli studios, puntando su quei progetti che nessuna major vorrebbe toccare; eppure, nel voler dare il via a dei franchise e attirare nomi sempre più grandi, i quali necessitano di un marketing non banale, sta diventando esattamente ciò che le piace sostenere di non essere.