Se ne è parlato tanto in questi ultimi giorni e in modi diametralmente opposti: pubblico e critica USA hanno molto amato la serie Chernobyl, tanto da reputarla tra le migliori degli ultimi anni; in Russia invece la pensano in modo molto diverso e si sono sentiti molto offesi da quanto rappresentato, tanto che, pare, i russi risponderanno a Chernobyl con una loro serie TV in cui la colpa del disastro sarà addirittura di agenti della CIA infiltrati. In questa nostra recensione di Chernobyl cercheremo di mettere da parte le ideologie politiche - e le possibilità di una nuova guerra fredda causata da una miniserie HBO, combattuta non con missili nucleari ma con prodotti televisivi - per analizzare questi cinque episodi diretti da Johan Renck e scritti da Craig Mazin e capire dove sia la verità.
Perché quello che anche gli spettatori italiani troveranno sintonizzandosi su Sky Atlantic settimana dopo settimana è fondamentalmente una ricerca della verità, di quella che fu la causa del più grande disastro nucleare, e quindi umano, della storia del nostro pianeta. Ed è una ricerca dolorosa, forse ancora più dolorosa delle tante strazianti ma splendide immagini che ci accompagnano per tutta la visione della serie, perché scava non solo nella fallibilità umana, ma anche e soprattutto in quella di un sistema fatto di menzogne, repressione e segreti a favore del potere. Un sistema che non è solo quello comunista dell'ex Unione Sovietica, ma esemplificativo del mondo in cui viviamo oggi tutti noi.
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Chernobyl, dalla notte del disastro al processo ai colpevoli
La trama di Chernobyl segue i reali avvenimenti del disastro a partire da quella tragica notte del 26 aprile 1986, quando, alle ore 1:23, il reattore numero 4 esplose. Nel primo episodio assistiamo alla reazione incredula di tutti coloro che si trovavano nella centrale durante il turno notturno, tra cui il capo ingegnere Anatoly Dyatlov, e all'arrivo dei soccorsi; soltanto dal secondo episodio in poi arrivano quelli che poi saranno i protagonisti veri e propri, ovvero il vicepresidente del consiglio Boris Shcherbina e lo scienziato Valerij Legasov, entrambi chiamati a supervisionare la commissione governativa istituita dal Cremlino e da Gorbačëv. Il loro coinvolgimento sarà fondamentale per la "buona risoluzione" di quello che, a tutti gli effetti, è un disastro a cui non si poteva e non si potrà mai porre davvero rimedio, nemmeno tra centinaia d'anni. Un concetto che verrà ribadito più volte, anche nell'ultimissimo episodio, con un processo ai colpevoli che però non può che lasciare l'amaro in bocca, perché non può esistere un lieto fine ad una storia del genere.
Un mondo radioattivo ricco di eroi e di poesia
Non per questo si deve pensare a Chernobyl come ad una serie politica o troppo tecnica e "difficile", perché al centro della narrazione ci sono sempre e comunque gli uomini e le donne che si sono sacrificati e hanno fatto in modo di evitare che un disastro ancora peggiore sconvolgesse l'intero continente e rendesse non solo la Russia, ma l'Europa intera, invivibile. È il caso, per esempio, dei tre ingegneri volontari che scelsero di immergersi nell'acqua radioattiva sotto la centrale per aprire delle valvole; o dei circa 400 minatori che scavarono, a mano, dei tunnel sotto il reattore per inserire dei sistemi di raffreddamento del nucleo; o ancora delle migliaia di persone, anonime e col volto coperto dalle maschere, che hanno messo in pericolo la loro salute e la loro vita per togliere di mezzo i detriti dal tetto della centrale e gettarli nella voragine che sarebbe stata poi coperta per sempre.
Sono tutte queste persone, a cui la serie è dedicata, ad essere i veri eroi di questa vicenda, e sono proprio tutte le scene che li riguardano a rappresentare i momenti più belli e indimenticabili di questa miniserie HBO che è destinata a rimanere a lungo impressa negli spettatori. Merito delle splendide immagini di Johan Renck, regista proveniente dal mondo dei video musicali e qualche esperienza televisiva con serie prestigiose quali Breaking Bad o Vikings, ma solo alla seconda esperienza (dopo The Last Panthers) con una serie tutta sua: la sua scelta di non indugiare mai sul dolore, di non spettacolarizzare il disastro, ma di rendere protagonista la centrale stessa, con i suoi splendidi ma inquietanti paesaggi, così come l'eroismo e il sacrificio dei suoi personaggi, è quello che fa la differenza in un prodotto del genere.
Un ottimo cast al servizio di una sceneggiatura che fa discutere
Veniamo però alla scelte più discutibili di questa serie, quelle che hanno fatto arrabbiare la Russia di Putin. Creatore ed autore della sceneggiatura di ogni singolo episodio è Craig Mazin, finora autore solo di commedie americane tutt'altro che memorabili (un paio di sequel di Scary Movie o di Una notte da leoni), ma qui alle prese con materiale scottante nel vero senso della parola: considerata la scarsa esperienza col dramma e i prodotti televisivi, considerato soprattutto il risultato estremamente positivo del prodotto finale e il fatto che sia riuscito a rendere così avvincente e appassionante una storia così difficile, bisognerebbe essere davvero ciechi o ottusi per non apprezzarne il lavoro.
Questo non vuol dire però che non ci siano alcuni elementi difficili da mandare giù in un prodotto di così alto livello, anche se sono tutte conseguenze della necessità di rendere appetibile e comprensibile una storia che, di base, non sarebbe certo adatta per il grande pubblico: parliamo per esempio dell'inevitabile utilizzo dell'inglese invece che della lingua russa o della scelta di creare ad hoc un personaggio femminile, quello di Ulana Khomyuk, che riunisse al suo interno il lavoro di decine di scienziati che hanno contribuito in modo essenziale alle scoperte e alla buona riuscita della missione. E parliamo ovviamente anche della scelta, fin troppo marcata e didascalica, di insistere sulle colpe del partito, sfruttando anche dei topoi fin troppo abusati.
A rendere più digeribili alcune di queste scelte narrative non è solo l'ottima e già citata regia di Renck, ma anche le interpretazioni du tutto il cast, guidato dal sempre perfettamente misurato Jared Harris nei panni di Legasov e da un carismatico Stellan Skarsgård in quelli di Shcherbina: insieme formano una coppia memorabile che è il cuore pulsante della miniserie, ed intorno a loro ruotano tutti gli altri, a partire dalle uniche due lead femminili, le intense Emily Watson e Jessie Buckley, fino ad arrivare al versatile e spregevole Paul Ritter nel ruolo più odioso di tutta la serie.
Ma la verità è che, anche al netto di queste ottime performance, sarebbe un errore guardare a questa Chernobyl come ad una serie di "propaganda" pro USA e contro la Russia, così come sarebbe un errore, ancora più grande, considerarla la cronaca di un disastro che fa parte del nostro passato e basta. La forza di questa serie HBO, al pari di tutte le altre grandi produzioni seriali che l'emittente americana ci ha regalato negli ultimi decenni, è di riuscire ad essere incredibilmente attuale e al passo con i tempi pur parlando di un evento di 33 anni fa: in un momento storico in cui i movimenti ambientalisti sono sulla bocca di tutti, non c'è nulla di più significativo e importante di questa miniserie. Che si può chiamare Chernobyl, può far arrabbiare la Russia e potrebbe anche essersi inventata di sana pianta avvenimenti e personaggi, ma in realtà racconta del nostro pianeta, di come tutti noi stiamo continuando ad avvelenare la nostra casa e privare i nostri figli di un futuro.
Conclusioni
Volendo riassumere questa recensione di Chernobyl in poche righe non possiamo che incensare ancora una volta la HBO per essere riuscita a trasformare una storia così difficile in una serie appassionante, emozionante e visivamente splendida. Certo, sono state necessarie alcune scelte narrative discutibili, ma quello che conta è che il risultato finale renda giustizia a tutti coloro che si sono sacrificati 33 anni fa per porre rimedio a questo disastro, e soprattutto che serva da monito per il futuro. Da questo punto di vista era forse impossibile pretendere di più.
Perché ci piace
- La serie ha un ritmo e una tensione degna di un thriller, e riesce a tenere sempre viva l'attenzione dello spettatore anche su temi ostici.
- La regia è di gran classe, ricca di immagini splendide e molto evocative, e non indulge quasi mai nella retorica o nella spettacolarizzazione del dolore e del disastro.
- Harris e Skarsgård sono due interpreti di lusso e formano una coppia memorabile alla guida di un cast senza star ma di alto livello.
- Il messaggio ambientalista è forte e di grande impatto.
Cosa non va
- La sceneggiatura non è priva di difetti, come l'abuso di alcuni luoghi comuni sull'Unione Sovietica.
- Comprensibile, anche se non meno discutibile, la scelta di creare un personaggio femminile ad hoc che unisce al suo interno molteplici scienziati o l'utilizzo della sola lingua inglese.