"È il tuo modo di vendicarti?" "No. È solo il mio modo di vedere le cose."
Il faccia a faccia fra due personaggi divisi dal tempo e dalle scelte e una chiusura enigmatica in cui si confondono realtà e immaginazione. Il finale di C'era una volta in America resta uno degli elementi più discussi del capolavoro di Sergio Leone: l'opera ambiziosissima che, nel 1984, segnò il ritorno sulla scena del regista romano, dopo un'ultradecennale assenza dal set, e che sarebbe rimasto l'ultimo, straordinario film della carriera di Leone. Un film dalle alterne fortune, celebrato fin dalla sua presentazione ai Festival di Cannes e di Venezia ma condannato a un iniziale insuccesso negli Stati Uniti, dove era stato distribuito in primavera in una versione ridotta a poco più di due ore e montata secondo un ordine differente rispetto alla volontà del regista.
Ciò nonostante, C'era una volta in America ha goduto di una meritata consacrazione fra le pellicole più importanti mai realizzate, in virtù di una potenza, una densità e un fascino che non sembrano affatto intaccati dal tempo. Al contrario, il gangster movie di Sergio Leone ha continuato ad avvincere generazioni di spettatori, rivelandosi uno di quei film capaci di trascendere la propria epoca per assumere la statura del classico senza età. E l'epilogo, in particolare, non ha mai smesso di essere oggetto di dibattiti e di tentativi esegetici, talvolta anche radicali (una interpretazione piuttosto diffusa, ad esempio, vorrebbe considerare tutta l'ultima parte del film come il frutto dell'immaginazione del protagonista, stimolata dall'oppio).
L'amico ritrovato
Costruito come un viaggio nella memoria da parte di David Aaronson, detto Noodles, l'antieroe interpretato da Robert De Niro, C'era una volta in America è suddiviso in più linee temporali, con lunghissime analessi incasellate nella cornice del presente: e il presente in questione è il 1968, quando Noodles, che ha superato la soglia dei sessant'anni, rimette piede a New York sulle tracce di un mistero legato al proprio passato. Quel passato che riaffiora un po' alla volta, e che all'improvviso prenderà le sembianze di David Bailey, il figlio dell'ambiguo Senatore Bailey. È l'epifania che aprirà gli occhi di Noodles: quel ragazzo, che porta il suo stesso nome, ha infatti lo stesso volto del suo miglior amico, Max Bercovicz, che Noodles aveva conosciuto da adolescente e a cui era stato legato come un fratello.
Nella sequenza successiva troviamo Noodles al ricevimento nella villa del Senatore Bailey, a cui partecipa anche Deborah Gelly (Elizabeth McGovern), la donna da lui amata molti anni prima. E nello studio di Bailey, al riparo da occhi indiscreti, avverrà l'incontro fra Noodles e il padrone di casa, il quale non è altri che Max (James Woods). I due uomini non si erano più visti da trentacinque anni, ovvero da quando, nel 1933, uno scontro a fuoco con la polizia aveva portato alla (presunta) uccisione di Max, condannando Noodles a un'esistenza da esiliato e in preda ad atroci rimorsi. Ora, però, Noodles si rende conto che quell'esistenza è stata imperniata su una bugia, mentre Bailey/Max gli conferma di aver simulato la propria morte in modo da impossessarsi del denaro della banda e di costruirsi una nuova vita, con una falsa identità e una reputazione immacolata.
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'Avevi gli occhi troppo pieni di lacrime, quella notte'
Nella manciata di minuti dedicati al confronto fra Max e Noodles è racchiuso il cuore di C'era una volta in America: la malinconia per il passato che sfocia nell'amarezza del presente (non a caso, in sottofondo, risuona ancora una volta la melodia di Yesterday dei Beatles); la dolorosa consapevolezza di un'amicizia tradita; la volontà di preservare il valore dei ricordi, a costo di non voler riconoscere una verità tanto feroce (ragion per cui Noodles continuerà a rivolgersi a Max chiamandolo signor Bailey). E poi il desiderio di morte di Max, travolto da uno scandalo politico e con una taglia che pende su di lui. Da qui la terribile richiesta di Max all'amico d'infanzia che aveva ingannato, portandogli via tutto ciò che aveva: "Fallo tu, Noodles: tu sei la sola persona da cui posso accettarlo".
Con la compostezza serafica delle sue risposte, con il rifiuto di assecondare le parole di Max, Noodles sancisce la conclusione della loro parabola: l'impossibilità di una redenzione, di un castigo con cui Max possa espiare le proprie colpe. "È il tuo modo di vendicarti?", domanda Max; "No. È solo il mio modo di vedere le cose", ribatte Noodles, in uno degli scambi di battute più significativi del film. Nella scena successiva Noodles sta lasciando la villa, quando dietro di lui, sulla soglia del cancello, compare una figura che parrebbe essere quella di Max. L'oscurità e la distanza inducono Noodles a fermarsi e a osservare più attentamente, ma in quel momento un camion della nettezza urbana attraversa la strada, ostruendogli la vista. Pochi istanti più tardi, l'individuo è scomparso.
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Un mistero senza risposta
Si tratta di una delle pagine più ermetiche e suggestive di C'era una volta in America: non ci sono dialoghi, l'unico rumore che squarcia il silenzio notturno è quello prodotto dal furgone, mentre il passaggio del veicolo incrina irrimediabilmente le certezze di Noodles. Il suo sguardo al retro del camion, dove le lamiere metalliche fanno a pezzi la spazzatura, è il riflesso emblematico dei sentimenti del personaggio; ma l'angoscia che il corpo di Max sia stato maciullato dalle lamiere non trova conferma in ciò che vede. E che si scelga di credere alla morte (suicidio?) di Max o a un parto della fantasia di Noodles, in fondo importa davvero poco: quel che conta è che, in pochi minuti, Sergio Leone ci abbia regalato una scena indelebile, il cui impatto è rafforzato dalla dicotomia inscindibile fra il realismo e la dimensione onirica.
Mentre il camion e il suo mistero vengono inghiottiti dalla notte, per un attimo le sue luci si trasfigurano e sulla strada si materializzano tre automobili d'epoca, accompagnate dalle note di God Bless America e da persone che festeggiano la fine del proibizionismo. È il definitivo corto circuito fra passato e presente: la vittoria del sogno e della memoria, l'ultimo rifugio di Noodles. E in uno degli innumerevoli raccordi 'proustiani' di cui è costituito l'intreccio del film, dal primo piano di Robert De Niro eccoci tornare al teatrino delle ombre cinesi, a quella fumeria d'oppio in cui il giovane Noodles aveva trovato quiete e sollievo trentacinque anni prima. E il sorriso dell'uomo, più enigmatico di quello della Gioconda, è il finale di un film perfetto con un explicit in grado di mettere i brividi: oggi come trentacinque anni fa.
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