"È da questo C'era una volta il West che discenderà il prossimo anno C'era una volta in America, un film sugli anni tra il 1920 e il 1930, l'epoca di Fitzgerald, del jazz, del proibizionismo e delle flippers, l'epoca ubriaca e frenetica del piombo facile, del sorriso, dei colletti alti, delle camicie a strisce, delle grandi fortune. Epoca che si concluse con la depressione. Un film dalle grandi ambizioni e difficilissimo. Ma di questo è ancora prematuro parlare". Così parlò Sergio Leone nel 1968, immaginando quello che sarebbe stato il suo progetto successivo. C'era una volta in America. Un film che avrebbe dovuto essere girato già nel 1969: invece ci vollero altri 14 anni e un altro film, Giù la testa, arrivato prima. C'era una volta in America uscì nel 1984, quando fu presentato al Festival di Cannes, fuori concorso, il 20 maggio. È il capolavoro definitivo di Sergio Leone. "Quando scatta in me l'idea di un nuovo film ne vengo totalmente assorbito e vivo maniacalmente per quell'idea. Mangio e penso al film, cammino e penso al film, vado al cinema e non vedo il film, ma vedo il mio... Non ho mai visto De Niro sul set, ma sempre il mio Noodles. Sono certo di aver fatto con lui C'era una volta il mio cinema, più che C'era una volta in America".
C'era una volta in America è tratto dal romanzo semiautobiografico Mano armata (The Hoods, 1952) di Harry Grey, lo pseudonimo di Harry Goldberg, un vero criminale. È la storia, che va dagli anni Venti agli anni Sessanta del secolo scorso; la storia di David "Noodles" Aaronson, e del suo romanzo di formazione criminale di ascesa e caduta dal Lower East Side di Manhattan, alla New York del proibizionismo. Nelle mani di Sergio Leone, e di cinque sceneggiatori (Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Franco Arcalli e Franco Ferrini) questo racconto diventa molto altro. È una gangster story, certo, ma è anche un mélo e un film esistenziale. O forse un film di fantasmi. È la "ricerca del tempo perduto" di Leone: è cinema che parla del tempo, di come passi e come cambi le cose, di come possa dividere e riunire.
C'era una volta in America è cinema ed è sogno. Tutto inizia e finisce in una fumeria d'oppio dove Noodles si reca per sfumare nell'oblio la morte dei suoi amici. E dove si addormenta. Il racconto parte da qui, va avanti nel tempo, torna indietro e ancora al punto di partenza. Noodles potrebbe non essere mai uscito dal 1993; ha sognato, immaginato, vissuto quello che sarebbe potuto essere il suo futuro, con l'effetto dell'oppio a rendere tutto più grande. C'era una volta in America è anche un titolo che smaschera il Sogno Americano, un sogno che c'era e che si è rivelato quello sbagliato. Rivisto oggi, colpisce per come riesca a racchiudere tutto cinema, criminale e non, che era venuto prima e tutto il cinema che sarebbe arrivato negli anni successivi. Girato in un anno, tra gli interni speciali di Cinecittà e gli esterni in America e in Canada, forte della fotografia di Tonino Delli Colli e della musica di Ennio Morricone, è un film che vive di grandi sequenze. Andiamo allora a vedere le scene cult di C'era una volta in America.
1. "Sono andato a letto presto"
"Che cosa hai fatto in questi anni?", "Sono andato a letto presto". È una delle frasi più famose del film. A pronunciarla è un Noodles anziano, tornato nei luoghi dove è cresciuto, come il locale dell'amico Moe. Lo saluta con questa battuta, e parte il tema di Ennio Morricone, lirico e struggente. Noodles (Robert De Niro) guarda malinconico la foto in bianco e nero di Deborah (Elizabeth McGovern), la sorella di Moe e suo grande amore. Entra nel bagno e trova quella vecchia feritoia nel muro e, mentre la luce illumina una parte del volto, guarda oltre.
2. La prima volta che vediamo Deborah
La scena successiva inizia proprio qui, da uno sguardo attraverso la feritoia. Il primo piano è sugli occhi, carichi di rimpianto. E la mente nel passato, a quando era un ragazzino. A quando, proprio da quella feritoia, osservava furtivo l'incantevole Deborah, che ballava nel deposito del locale, vestita di bianco. Deborah è una giovanissima Jennifer Connelly, al suo esordio, che fu scelta proprio perché assomigliava a Elizabeth McGovern. Noodles la guarda spogliarsi, e ritrae colpevole lo sguardo. Lei si è accorta di tutto. E, uscendo, dice a chi sta arrivando "passa la crinolina nel cesso ci ho visto uno scarafaggio...". Lo chiama così, lo scarafaggio. Ma, in realtà, è già innamorata di lui
3. Patsy e la charlotte alla panna
Il giovane Patsy (Brian Bloom) è andato da Peggy con una piccola charlotte alla panna, con una ciliegina sopra. È il "prezzo" che chiede lei per fare l'amore. Patsy, ancora un ragazzino alle prime armi, va da lei con il dolce ben incartato. Aspetta fuori, sulle scale, mentre Peggy sta facendo il bagno. Attraverso l'incarto, con il dito, assaggia un po' di panna. Poi apre la confezione, prova ad assaggiare la panna che è rimasta sulla carta. Ingolosito, rompe gli indugi: inizia dalla ciliegina, poi mangia tutta la charlotte. L'amore? Sarà per un'altra volta. La gola ha avuto la meglio. In fondo è ancora poco più che un bambino. Subito dopo, però, si accorge che Peggy sta facendo l'amore con un poliziotto. Ed è minorenne. Lo colgono in flagrante, lo fotografano e così diventa ricattabile. È l'inizio del loro romanzo di formazione criminale.
4. La scena sul fiume
Un'imbarcazione sbuca tra la nebbia: sembra una scena che arriva dalla notte dei tempi. La nebbia si dirada man mano svelando che sulla barca ci sono Noodles e i suoi amici. Dalle acque del fiume, pian piano, sbucano dei palloncini rossi, che portano a galla delle scatole. Noodles lo aveva spiegato poco prima: basta appendere sotto a tutto del sale che zavorra le scatole, e aspettare che si sciolga perché tornino a galla. Noodles e Max, amici fraterni, si abbracciano e finiscono in acqua. Noodles, che nuota in mezzo a questi palloncini rossi - unica nota colorata che fende il grigio della nebbia - cerca Max in acqua, crede di averlo perso. Ma lui è già salito sulla barca. "Che faresti senza di me?" gli dice lui.
5. Il ponte di Manhattan e la morte di Dominik
Il Manhattan Bridge, visto da Washington Street, Brooklyn, è l'immagine simbolo di C'era una volta in America, la più iconica. E la scena che avviene con il ponte sullo sfondo è la più famosa del film. Noodles, Max e gli altri, ancora giovanissimi, hanno fondato la loro società e si aggirano vestiti eleganti, da gangster, anche se alcuni di loro portano ancora i pantaloni corti. Incontrano Bugsy, che è il boss del quartiere e ha una pistola. Sparerà, e uno dei ragazzi, Dominik, rimarrà colpito. Noodles, lo sguardo dolente, colpevole, è il primo che raccoglie il ragazzo e lo stringe tra le sue braccia. "Noodles, sono inciampato" sono le ultime parole che riesce a dire Dominik. Sullo sfondo, il ponte di Manhattan osserva imponente, impotente, silente. La scena è girata al ralenti, con il famoso tema di Ennio Morricone, che rende tutto più sospeso, solenne, ineluttabile. Leone gira la scena in modo magistrale: prima ci fa leggere la paura negli occhi dei ragazzi, inquadrandoli in primissimo piano. Poi ci mostra la situazione dalla soggettiva del loro sguardo, che coglie frammenti di visione tra una cassa e l'altra, con la visuale coperta. La lunga sequenza finisce con Noodles, arrestato, che scompare dietro il portone della prigione. I suoi amici lo osservano. Sono piccolissimi al confronto dell'enorme edificio che hanno alle spalle. Sono ancora piccoli, troppo piccoli, per il mondo che stanno affrontando.
6. L'incontro con Deborah
Quando Noodles esce di prigione ritorna dai suoi amici, nel locale che, sfidando le leggi del proibizionismo, elargisce alcolici e intrattenimento. Vediamo in primo piano Deborah, ormai adulta, con le sembianze di Elizabeth McGovern, e sembra ancora di vedere la piccola Deborah di Jennifer Connelly tanto il volto è pulito. Elizabeth e Noodles, che ora ha il volto di Robert De Niro, sono di profilo. Non appena si parlano, le luci si abbassano. E parte un pezzo jazz languido e soffuso. "Non contavi i giorni?" le chiede lui. "4344, 4343, verso i 3mila ho perso il conto" risponde. "Balli?", "Tutte le sere, al Palace Theatre. Ho fatto dei progressi, sai, da quando ballavo qui tra la frutta e i sacchi di farina. Puoi venire a spiarmi, se vuoi". "Tutte le sere". "Corri, Noodles, che mamma ti vuole". L'ultima battuta di Deborah riprende il dialogo del loro primo incontro, da ragazzini, e del bacio furtivo interrotto dalla voce di Max.
7. "Mi hai aspettato molto?" "Tutta la vita"
La sera in cui Noodles va a prendere Deborah fuori dal teatro finalmente arriva. "Mi hai aspettato molto?", "Tutta la vita" si dicono i due. "Volevi un ristorante sul mare. Fuori stagione sono chiusi: l'ho fatto aprire per te. Questi tavoli sono tutti apparecchiati per due, scegli quello che vuoi" sono le parole di Noodles. È il primo vero appuntamento tra lui e Deborah, una cena in un ristorante vuoto, tutto per loro, una piccola orchestra d'archi a suonare in quella stanza bianca e rosa (la scena è stata girata a Lido di Venezia, all'Hotel Excelsior). Un momento dolce, ma anche amaro. "È giusto fare i progetti: ma io ci sono nei tuoi progetti?" chiede Noodles. "Tu sei l'unica persona di cui mi sia mai importato, ma tu mi terresti chiusa in una stanza e getteresti la chiave. Io voglio arrivare dove voglio arrivare". I due ballano, e più tardi parlano ancora. "Due cose non riuscivo a togliermi dalla mente" dice Noodles. "Una è Dominik che mi dice 'sono inciampato' e l'altra sei tu che mi leggi il Cantico dei cantici". Il riferimento è sempre a quel primo incontro. È un momento romantico che si chiude in modo molto doloroso "Noodles, parto domani, devo andare a Hollywood. Ho voluto vederti stasera per dirtelo" gli dice Deborah.
8. La violenza
Ma la storia finisce in modo ancora più duro. Noodles e Deborah stanno tornando a casa. Sono in macchina si stanno salutando. Lo sguardo di Deborah è innamorato, tenero e allo stesso tempo triste, pieno di rimpianto. I due si scambiano quello che dovrebbe essere un bacio dolce, un bacio d'addio. Ma in pochi secondi tutto cambia. Noodles si fa aggressivo, Deborah comincia a capire e comincia a tirarsi indietro. Noodles la violenta, mentre lei è in lacrime. È una scena durissima, quasi insostenibile. Noodles in questo modo distrugge definitivamente quello che era il suo sogno d'amore, una volta capito che non potrà mai raggiungerlo. Una frenata, quella dell'auto che li sta trasportando, mette a finire tutto. "Deborah, io..." riesce solo a dire Noodles. "Torno subito signora" riesce a dire l'autista. E tutto diventa ancora più desolante, con il tema di Morricone che accompagna la scena, malinconico.
9. Noodles ritrova Deborah
Noodles, ormai anziano, visita la compagna di Max in un ospizio. Lì c'è una foto in cui si vede Deborah, ormai diventata grane attrice, mentre era andata per fare la madrina. E l'inquadratura si sposta sul volto di Deborah nel suo camerino, dopo uno show a teatro, con un pesante trucco bianco e nero: sta interpretando Cleopatra. "Non mi dici niente?" dice l'attrice. "Non so cosa si dice dopo più di 30 anni... Diciamo: come stai? Ti trovo bene. Speravo di non vederti più..." risponde Noodles. "Non pensavo di rivederti, è diverso" lo corregge Deborah. "È già tanto se mi hai riconosciuto" ribatte Noodles "Gli attori hanno buona memoria" risponde lei. L'incontro è disincantato, carico di rimpianto. L'amore è finito quella notte, in quell'automobile, con quella violenza. Ma l'incontro porta anche altre rivelazioni. "Esci di là, senza voltarti" lo saluta lei. "Hai paura che mi trasformi in una statua di sale?" risponde Noodles, richiamando la Bibbia e il passo su Sodoma e Gomorra.
10. Il sottofinale: Noodles e il senatore Bailey
"Molti anni fa avevo un amico, lo denunciai per salvargli la vita. E invece fu ucciso. Era una grande amicizia. Andò male a lui. E andò male a me". Il sottofinale di C'era una volta in America vede l'incontro tra Noodles e il senatore Bailey, dietro al quale si cela qualcuno che Noodles conosce bene e che gli fa una richiesta molto particolare. Una volta fuori, vede dei giovani sfrecciare festanti su delle macchine. E ripensa a quando, a festeggiare e sentirsi padroni del mondo erano lui e i suoi amici. Non tutti sanno che il finale prevedeva una sequenza a cui Leone teneva tantissimo, ma che non fu possibile per una questione di costi. Uscito dalla festa del senatore Bailey nel 1968 Noodles, girato l'angolo, si trovava nel 1933, durante l'ultima notte del Proibizionismo, nel quartiere cinese, mentre la folla festeggiava la fine di un'epoca.
11. Il finale: Noodles nella fumeria d'oppio
Ma in qualche modo il film finisce lo stesso così. Grazie a un flashback, troviamo il Noodles del 1933 al punto dove lo avevamo lasciato all'inizio. In quella fumeria d'oppio dove era andato per dimenticare la morte dei suoi amici. Le ombre cinesi in quel teatrino che introduce alla fumeria raffigurano Rama e Ravana, il Bene e il Male, che da sempre hanno lottato dentro di lui. Noodles si abbandona su un giaciglio e fuma, e perde così i sensi, il controllo. Socchiude gli occhi e schiude la bocca in un sorriso. E il sogno che abbiamo vissuto con lui può cominciare.