C'è un romanticismo inedito che traspare da ogni scena di C'era una volta a... Hollywood; un romanticismo dal sapore nostalgico, percepibile fin dal titolo del nuovo film sceneggiato e diretto da Quentin Tarantino e concepito come una lettera d'amore per un'epoca lontana. Un amore che sembra pervadere ogni angolo di quel mondo risalente a mezzo secolo fa: il suo cinema, innanzitutto, ma pure la televisione, la musica, la cultura, la moda e lo spirito di libertà che si respiravano nella California del 1969. L'America un attimo prima della sua perdita dell'innocenza. Questa idealizzazione di un passato cristallizzato, riletto da Tarantino attraverso le lenti della nostalgia, coinvolge anche il finale di C'era una volta a... Hollywood, ambientato com'è noto nella fatidica notte dell'8 agosto 1969: la data della strage di Bel Air, quando l'attrice Sharon Tate e altre quattro persone furono uccise nella loro residenza al numero 10050 di Cielo Drive per mano di tre membri della Manson Family, la setta nata intorno alla sinistra figura di Charles Manson. Un sanguinoso episodio che ha segnato l'immaginario collettivo degli ultimi 50 anni, contribuendo a trasformare Charles Manson in una delle più terrificanti icone prodotte dalla società americana (un'icona ripresa di recente nella serie televisiva Mindhunter, dove Manson, come pure nel film di Tarantino, ha il volto dell'attore Damon Herriman).
Il lavoro del diavolo: la strage di Bel Air secondo Tarantino
Preannunciando la necessità di approfondire alcuni aspetti della trama (trattati anche nella recensione di C'era una volta a... Hollywood), con gli inevitabili spoiler del caso, vale la pena rilevare come il finale della pellicola presenti motivi di particolare interesse, tanto da aver offerto spunti di discussione fin dall'esordio in sala. Come già accaduto dieci anni fa per Bastardi senza gloria, in cui la fine della Seconda Guerra Mondiale veniva riscritta condannando Adolf Hitler e i suoi gerarchi a perire in un duplice attentato all'interno di un cinema parigino, anche qui Quentin Tarantino ha attuato una scelta di "revisionismo storico", inventando un diverso esito per la notte dell'8 agosto 1969. Indirizzati da Manson alla villa affittata da Roman Polanski, i suoi adepti si imbattono infatti nell'attore Rick Dalton, appena rientrato a Los Angeles da un soggiorno di sei mesi in Italia.
Dalton, interpretato da un formidabile Leonardo DiCaprio, è un (ex) divo egocentrico e irruento, che fra grida e insulti intima ai membri della Manson Family di allontanarsi dal suo vialetto. I tre ragazzi decideranno allora di spostare il bersaglio del proprio sadismo omicida dalla casa occupata da Sharon Tate a quella di Dalton, da loro considerato l'emblema della violenza penetrata nel tessuto sociale americano mediante l'influsso della televisione e del cinema (un tema antico e tuttora dibattuto). Ma mentre Dalton è in piscina, immerso nella musica delle cuffie, i tre aspiranti assassini dovranno vedersela con la sua fedele controfigura, l'irresistibile Cliff Booth di Brad Pitt, e con un temibile pit bull di nome Brandy, dando inizio alla sequenza più concitata e adrenalinica del film.
Pulp Fiction nell'estate del '69
Si tratta inoltre della sequenza più schiettamente tarantiniana di un'opera che, per molti versi, segna un netto cambio di direzione rispetto ai precedenti lavori del regista. Una sequenza frutto di una costruzione ben precisa: dopo un salto temporale di sei mesi, la giornata dell'8 agosto è scandita da orari ben precisi e da un montaggio alternato dedicato ai tre comprimari, vale a dire Dalton, Cliff e la Sharon Tate di Margot Robbie. L'approccio, in apparenza, è quello della tipica docu-fiction, con un senso di fatalità che sembra gravare su Sharon, il suo ex fidanzato Jay Sebring (Emile Hirsch) e una coppia di amici: dalla serata trascorsa in un ristorante messicano al loro rientro nella villa, il film segue passo passo i reali avvenimenti che precedettero il massacro di Cielo Drive.
Sharon Tate, Charles Manson e la strage di Bel Air: l'estate d'orrore del '69
All'improvviso, però, l'attenzione si sposta su Rick Dalton e Cliff Booth, ed è a quel punto che Tarantino dà fuoco alle polveri: lo scontro tra Cliff e i tre adepti di Manson è messo in scena con la rocambolesca comicità che contraddistingue per tradizione lo stile del regista, in un connubio fra il suo consueto gusto pulp e un'ironia ancor più spiccata del solito. Cliff, ad esempio, è in pieno trip allucinogeno, tanto da non prendere sul serio nemmeno per un momento la minaccia costituita dai suoi aggressori, mentre la sua "arma segreta" è il fido Brandy, che azzanna i genitali di Tex (Austin Butler) e sbrana il volto di Sadie (Mikey Madison). Questa resa dei conti finale è caratterizzata da una violenza estrema, con tanto di dettagli espliciti e raccapriccianti del viso di Katy (Madisen Beaty) maciullato dall'implacabile Cliff, ma è al contempo talmente delirante e sopra le righe da perdere qualunque forma di tensione, risultando addirittura cartoonesca.
Hollywood Ending: i cancelli di Cielo Drive
E nell'universo parallelo di Quentin Tarantino, l'apoteosi di questa lotta furibonda arriva nel momento in cui Rick Dalton, recuperando il vecchio lanciafiamme del suo film più celebre, scatena una cascata di fuoco sulla malcapitata Sadie. È l'equivalente della vendetta - anch'essa consumata tra fuoco e fiamme - della Shosanna Dreyfus di Bastardi senza gloria, ma pure una personale rivalsa per Dalton, che con questo gesto recupera finalmente la propria dimensione di eroe cinematografico. Cliff, l'umile stuntman, ha già fatto il "lavoro sporco", pagandone il prezzo (la coltellata nel fianco); a Dalton è riservato invece l'ultimo "atto glorioso". E infatti sarà lui, nell'ultima scena del film, a ricevere l'agognato invito nella villa di Sharon Tate, ovvero l'occasione tanto attesa di rilanciare la propria carriera d'attore.
È l'elemento più marcatamente fiabesco di C'era una volta a... Hollywood: Sharon Tate, di cui ci erano stati mostrati il candore angelico e l'entusiasmo per un futuro che si promette radioso, non viene neppure sfiorata dall'orrore che, cinquant'anni fa, avrebbe spezzato la sua vita e quella del bambino che portava in grembo. Perché nel mondo di Tarantino, la Hollywood ammantata di manifesti di film e in cui risuonano canzoni come The Circle Game, Mrs. Robinson e California Dreamin', non c'è posto per la tragedia: la Manson Family, bollata con disprezzo come "un gruppo di hippie", non spegnerà il sorriso di Sharon Tate, Cliff Booth sopravviverà alla nottata di sangue e Rick Dalton, la star sul viale del tramonto, si vedrà spalancati i cancelli di Cielo Drive, che per lui corrispondono ai cancelli del cielo. Il cinema, ancora una volta, si è preso la sua rivincita sulla realtà.