Recensione Cinderella man - Una ragione per lottare (2005)

Un film di grande impatto, sobrio e commovente allo stesso tempo, un'autobiografia appassionata del pugile del New Jersey Jim Braddock, eroe proletario dell'America della Grande Depressione.

Cenerentola colpisce ancora

Di grandi film dedicati alla boxe ce ne sono parecchi, a cominciare da quel Toro scatenato, che è termine di paragone obbligato per chiunque si cimenti nell'argomento, fino ai più recenti Ali e Hurricane - il grido dell'innocenza, non all'altezza del capolavoro scorsesiano, ma sicuramente degni di attenzione. Ron Howard si è avventurato nella coraggiosa impresa, affrontando un campo in cui sembrava essere già stato detto tutto e prestando coraggiosamente il fianco agli strali dei puristi del ring su grande schermo, pronto ad incassare i giudizi della critica.
Nonostante queste premesse, il miracolo è riuscito. Cinderella Man è un film di grande impatto, sobrio e commovente allo stesso tempo, un'autobiografia appassionata del pugile del New Jersey Jim Braddock, eroe proletario dell'America della Grande Depressione.

Non di sola boxe si parla, anche se ovviamente la boxe è il fulcro della vicenda e l'ultima parte della pellicola è interamente dedicata al lungo, sofferto incontro del 1935 quando Braddock divenne campione del mondo battendo ai punti il detentore del titolo Max Baer. Ron Howard ritrae il "Bulldog di Bergen" con grande maestria, dedicandosi a ricreare una personalità a tutto tondo per il suo eroe, marito devoto, padre affettuoso, lavoratore giornaliero al porto durante la Depressione, nonché talento pugilistico fuori della norma. Per quanto riguarda l'ambientazione ci troviamo decisamente dalle parti di Furore, tanto è accurata la ricostruzione storica della New York degli anni '30 e del dramma della povertà vissuto dai suoi abitanti. La disperata ricerca di lavoro, l'allagarsi del divario tra ricchi e poveri, i sussidi governativi, l'allontanamento dei figli piccoli dalle famiglie d'origine per proteggerli dalla fame: tutto questo costituisce il background storico-sociale in cui Braddock e la sua famiglia si muovono, lottando disperatamente contro le avversità e contro una carriera pugilistica che sembra volgere al termine.

Dopo A Beautiful Mind, la coppia Howard-Crowe si riunisce nuovamente, dimostrando la non casualità dell'alchimia creatasi e del successo ottenuto dalla prima pellicola girata insieme. Ancora un film biografico, ancora una stupefacente trasformazione per Russell Crowe, che ha dovuto imparare alla perfezione l'arte del pugilato, modellando il fisico con allenamenti durissimi che gli hanno fatto perdere ben 23 chili. Accuratissima anche la coreografia degli incontri, in particolare di quello contro Baer, che spicca per realismo e incisività. Ai virtuosistici movimenti di macchina di tante pellicole sulla boxe, Ron Howard contrappone l'uso di campi stretti e dettagli che amplificano l'impatto visivo mostrando la violenza dei pugni, il sangue, la sofferenza, e creando così nel pubblico l'illusione di salire sul ring insieme ai pugili.

Completano il cast i comprimari di lusso Renée Zellweger, nel ruolo della moglie di Braddock, e Paul Giamatti, suo manager e allenatore. La regia, assolutamente impeccabile, risulta vincente anche grazie al pudore con cui vengono mostrati i momenti chiave della vicenda: il delicato ritratto della moglie che non assiste mai agli incontri di pugilato, la dignità dimostrata nel momento di massima difficoltà economica, la coraggiosa sfida a Baer nonostante la sua fama di ammazzapugili. Tutto quasi perfetto. Peccato per l'eccesso di retorica che accompagna il trionfo finale. L'America ha bisogno di miti e celebra se stessa attraverso la riscoperta dell'impeccabile eroe che viene dalla periferia, alla ricerca di una nuova verginità. Tramite perfetto lo sguardo estasiato ed ottimistico di Ron Howard, capace di dar vita ad un cinema di stampo classico che fa ancora sognare. E gli Oscar si avvicinano.

Movieplayer.it

4.0/5