Mentre negli Stati Uniti (e non solo) furoreggia Orange Is the New Black, dramedy al femminile ambientato in un istituto di detenzione federale di New York e interpretato da Taylor Schilling, ricompensato il mese scorso con tre Emmy Award, il programma del Roma Fiction Fest 2014 propone al pubblico l'anteprima italiana di Celblok H, dramma carcerario di produzione olandese che ha esordito nel marzo di quest'anno sul canale SBS 6, riscuotendo un notevole consenso in patria.
Realizzato da Willem Zijlstra e remake di un analogo serial australiano intitolato Wentworth, Celblok H sembra voler strizzare l'occhio alle produzioni americane, sfoderando una 'durezza' ed un'ambizione di realismo che tuttavia non sconfinano in eccessi di sgradevolezza gratuita, ma funzionano piuttosto come efficaci veicoli di una tensione crescente, tale da rendere Celblok H un prodotto apprezzabile anche dal punto di vista della suspense.
Green is the new black
È il verde il colore delle divise indossate dalle detenute di Banckert, la prigione olandese nella quale, in attesa del processo, si ritrova all'improvviso la protagonista di Celblok H, Suzanne Kramer, alla quale presta il volto l'attrice 46enne Isa Hoer. Soprannominata Suus, Suzanne, di professione parrucchiera, è una figura del tutto agli antipodi rispetto alle canoniche eroine (o antieroine) delle serie TV: è una donna di mezza età dimessa e dall'aria spenta, che non si sforza di esibire alcun tipo di fascino o di avvenenza (al di là della cura per i capelli, ma si tratta di deformazione professionale) e che subisce passivamente tutto ciò che le accade, senza il minimo segnale di reazione. Una donna rassegnata, che nella sequenza d'apertura della serie, mentre un furgone della polizia la trasporta verso il carcere, osserva con silenzioso rimpianto il mondo che le scorre davanti agli occhi: quel mondo che, Suzanne se ne rende conto, ormai non le appartiene più. Perché il suo nuovo habitat, ora, è un carcere femminile, e se intende sopravvivere in questo territorio completamente sconosciuto Suzanne sa di doverne imparare - e soprattutto rispettare - le regole; ma non tanto le regole dei secondini, semplici e di scarsa utilità, bensì quelle imposte dalle sue "vicine di cella", preoccupandosi in primo luogo di non crearsi motivi di ostilità o inimicizie. Suzanne, con un istinto che potrebbe rivelarsi la sua arma più preziosa, decide pertanto di adeguarsi a questo "nuovo ordine", a partire proprio dal look: benché le sia concesso di conservare i propri abiti fino alla conclusione del processo, la donna preferisce indossare la tuta verde che portano tutte le sue compagne, nell'intento di uniformarsi alle altre e di confondersi con la massa.
Giochi di potere
Gli autori di Celblok H, sapientemente, scelgono di non svelare subito tutte le proprie carte. Lo spettatore, che fa il suo ingresso nel carcere in compagnia di Suzanne, non soltanto assimila il suo medesimo senso di spaesamento, ma viene posto in una condizione di inferiorità cognitiva perfino rispetto alla protagonista: all'inizio della serie non sappiamo come mai Suzanne, così gentile e mansueta, sia finita in prigione (lo apprenderemo solo più tardi, nel corso dell'episodio pilota, con brevi frammenti narrati mediante flashback). Del resto, Celblok H non si presenta come un dramma incentrato sul tormentato background della sua protagonista (o meglio, non è questo l'aspetto prevalente del racconto): il reale fulcro drammatico della serie risiede invece nei precari equilibri di potere esistenti all'interno del carcere, equilibri estremamente complessi e mutevoli. Un tema esplorato magistralmente dal cinema europeo degli ultimi anni grazie a film come Il profeta di Jacques Audiard e Cella 211 di Daniel Monzón, e qui declinato in chiave femminile in una sorta di Eva contro Eva in cui la finezza muliebre si trasforma in selvaggia brutalità. E una delle principali ragioni dell'appeal di Celblok H risiede non a caso nell'ambiguità con la quale, fin dal pilot, la serie dispone sulla scacchiera i "pezzi grossi" e le "pedine" di questa spietata partita per il controllo della prigione: con chi conviene schierarsi e di chi ci si può fidare? Decisioni che Suzanne sarà costretta a prendere in fretta, mentre attorno a lei la rivalità tra le diverse fazioni rischia di sfociare da un momento all'altro in un autentico bagno di sangue.
Annet, Freddy e Lex
L'episodio pilota della serie ci introduce immediatamente ai tre "poli" di potere impegnati in una guerra serrata e sfibrante. Innanzitutto c'è Annet Cetin (Daphne Bunskoek), la direttrice dell'istituto, sposata con una delle guardie, Altan Cetin (Mustafa Duygulu): donna giovane ma dal pugno di ferro, Annet appare come l'equivalente dell'infermiera Ratched di Qualcuno volò sul nido del cuculo, autoritaria e di inflessibile severità, disposta a ricorrere ad ogni mezzo pur di mantenere l'ordine all'interno del carcere. L'obiettivo primario di Annet è quello di neutralizzare definitivamente Freddy Hendriks (Eva van de Wijdeven), grintosa e carismatica galeotta che trascina fin da subito Suzanne in un losco traffico di droga. Ma quello che poteva apparire come un braccio di ferro fra Annet e Freddy si rivelerà invece un gioco assai più imprevedibile e pericoloso: perché Freddy non è l'unica leader delle detenute di Banckert. Fin dal pilot, infatti, fa il proprio ingresso sulla scena anche Alexandra Holt, detta Lex (Inge Ipenburg), una detenuta più matura e connotata da una serafica crudeltà (e saranno appunto i soprusi di Lex a far riaffiorare alla memoria di Suzanne i ricordi del proprio "delitto"). Considerata la "regina" della prigione, Lex è una donna fredda e crudele, consapevole che, per continuare a dettare legge all'interno del carcere dovrà per forza di cose eliminare Freddy, la sua nemica giurata. Il progressivo crescendo di suspense culminerà, già nel primo episodio, in un finale mozzafiato, durante il quale una di queste tre donne perderà la vita, mentre la malcapitata Suzanne dovrà macchiarsi le mani di sangue (letteralmente!). E da quell'istante in poi, la situazione non potrà che peggiorare...
Conclusioni
Basato sulla serie australiana Wentworth, il serial olandese Celblok H ci trasporta all'interno di un carcere femminile facendoci aderire allo sguardo della protagonista, Suzanne Kramer, impersonata in maniera più che convincente dall'attrice Isa Hoer: una donna dal passato tormentato costretta improvvisamente a destreggiarsi in un microcosmo ostile e sconosciuto, dominato dalle leggi spietate della brutalità e della sopraffazione. Celblok H costruisce fin da subito un intrigo accattivante e di notevole impatto, e a dispetto di qualche piccola ingenuità a livello registico si dimostra un prodotto coinvolgente, gravido di tensione e di colpi di scena.
Movieplayer.it
3.0/5