La verità delle cose arriva direttamente da Paola Cortellesi, emozionatissima, quando ha risposto alle domande della stampa durante la press line alla Festa del Cinema di Roma, dove ha presentato il suo esordio alla regia. "Durante una giornata non c'è una sola emozione. Non può esserci solo il dramma. E il mio senso del ridicolo ha spostato l'intera visione". Del resto, è tutta una questione di equilibrio. La vita, il cinema, le emozioni. E, a guardar bene, anche il successo è questione di equilibrio. Lo dimostra, appunto, C'è ancora domani, opera prima di una Cortellesi mai così amata nella sua essenza nazionalpopolare, resa immediatamente autrice irrinunciabile da quello che, secondo noi, è tra i migliori film italiani dell'ultimo periodo (qui la nostra recensione).
Esordio memorabile (1,65 milioni di euro nel primo week-end di programmazione), e la riscoperta del caro vecchio passaparola. C'è ancora domani, tra l'altro, dimostra quanto il grande schermo, nella sua sfuggente definizione moderna, sia ancora un luogo di aggregazione e di condivisione, ben lontano dal concetto di "esperienza" che, oggi, sta purtroppo minando l'identità del cinema. In un certo senso, Paola Cortellesi, che ha scritto il film insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti (che conosce fin dai tempi di Scusate se esisto!), riesce bene (benissimo) dove molti si sono incastrati: raccontare una storia. Ritornare al concetto di sceneggiatura, di linguaggio, di parola. Una storia semplice, diretta, leggera nelle sue marcate sfumature drammatiche.
Lividi, lacrime, risate
Perché dietro a tutto, C'è ancora domani è capace di trasformare l'infelicità in una nuova consapevolezza, aprendo poco a poco l'orizzonte di una messa in scena ricca di sorprese. Tuttavia, è l'equilibrio il concetto chiave nella poetica di Paola Cortellesi (di cui non vediamo già l'ora di rivederla alla regia), destreggiandosi perfettamente tra le smorfie, le lacrime, i sorrisi, i lividi, le risate. Ecco, C'è ancora domani, nel suo luminoso bianco e nero, è un film di incredibili cortocircuiti: nella Roma del 1946, a pezzi dopo una Guerra lunga, ma sempre gagliarda nello spirito e nel senso di rinascita, c'è la protagonista, Delia, sposata con Ivano (Valerio Mastandrea), e mamma di tre figli.
Dietro la scusa di "aver combattuto due guerre", l'universo maschilista e violento di Ivano si riversa quotidianamente su Delia. Ed è qui che C'è ancora domani diventa l'inaspettato: non c'è una diretta edulcorazione alla violenza di Ivano, bensì viene - per assurdo - enfatizzata dall'azzeramento della violenza stessa, invertendo la prevaricazione con un incredibile umorismo che si aggancia alla romanità slanciata di Valerio Mastandrea, spregevole nel suo essere irresistibile e volutamente comico nelle dinamiche, nel tono, nella cadenza di un orco figlio di una visione estremamente tossica.
C'è ancora domani, il cinema è questione di equilibrio
Del resto, se conta l'equilibrio, l'ironia è talmente spiazzante nei momenti più tragici (il film è un dramma, lo ripetiamo) che azzera la retorica, portandoci a ridere di qualcosa che, a conti fatti, è invece sconvolgente. Il dramma enfatizzato dalle risate, i sorrisi larghi che spostano le lacrime sulle guance, intanto che la scrittura si sposa con una rilevante scelta estetica e musicale. E si nota l'impegno, l'armonia e la fedeltà: Paola Cortellesi attrice e sceneggiatrice, resta stoicamente se stessa, giocando con gli umori e con le emozioni. Le sue, e pure le nostre. L'equilibrio, appunto, mai avveduto, mai sottolineato, bensì naturale nell'atteggiamento generale, portando lo spettatore a ridere e a detestare parte del mondo di Delia. Perché attorno a lei non c'è solo la cattiveria, ma anche e soprattutto la speranza.
La stessa che passa di sguardo in sguardo, bilanciati e folgoranti. La complicità con l'amica fruttarola Marisa (Emanuela Fanelli, a proposito di umorismo), o i silenzi carichi di significato tra lei e la figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano, che brava), che erediterà dalla mamma il coraggio di cambiare, alzando la testa, prendendo la giusta posizione. Personaggio fondamentale il suo, co-protagonista di una storia meravigliosamente corale. E universale. La condizione femminile dell'epoca (un'epoca in cui si poteva riparare tutto, e dove tutto aveva importanza), stabilita e decisa, viene dunque scoperchiata dalla Cortellesi grazie alla storia di quelle donne continuamente azzittite, e in qualche modo salvate (almeno idealmente) da una misteriosa lettera, la quale potrebbe cambiare il loro orizzonte. Qui, a pochi minuti dalla fine, C'è ancora domani cambia di nuovo il suo volto, sorprendendo per la sua precisione narrativa. Una precisione misurata al millimetro, senza mai strabordare, senza mai uscire fuori dai bordi. Come il rossetto rosso sulle labbra in un giorno di festa, simbolo di una rivoluzione di cui siamo (ancora) testimoni.