Nella prima settimana di ottobre, in cima alla classifica del box-office francese si è attestato Bernadette, una commedia biografica incentrata sulla figura di Bernadette Chirac, moglie del Presidente Jacques Chirac, durante il periodo trascorso all'Eliseo. Qual è la presunta 'anomalia' di questo dato? Che ad attirare la più grossa fetta di pubblico in sala, in qualità di protagonista assoluta del film, sia stata un'attrice di ottant'anni. Pronosticare qualcosa di analogo negli Stati Uniti, dove nella stessa fascia di età troviamo comunque attrici del calibro di Jane Fonda e Diane Keaton, sarebbe pressoché impossibile; in compenso, sull'altra sponda dell'Atlantico, l'impresa è da poco riuscita a Catherine Deneuve, che oggi spegne appunto ottanta candeline: l'ennesima conferma di una popolarità non limitata soltanto ai molteplici, indimenticabili ruoli appartenenti alla prima parte della sua filmografia.
Gli ingredienti di un successo senza età
Caso più unico che raro perfino in un paese come la Francia, in cui il cinema è tutt'oggi parte integrante della cultura di massa (assai più che in Italia) e sembra immune al tipico ageismo hollywoodiano, Catherine Deneuve rimane attivissima sul set, a dispetto dell'ictus che l'aveva colpita nel 2019, ma da cui la star parigina si è ripresa senza gravi conseguenze. E continua a farsi apprezzare dagli spettatori al di là dei titoli che, a partire dagli anni Sessanta, ne avrebbero sancito lo statuto fra le più carismatiche interpreti della sua generazione: da Les Parapluies de Cherbourg di Jacques Demy a Repulsion di Roman Polanski, da Bella di giorno di Luis Buñuel a L'ultimo metrò di François Truffaut, passando per qualche solitaria incursione nel cinema americano (un caso su tutti, la vampira bisesssuale del cult di Tony Scott Miriam si sveglia a mezzanotte) e per la nomination all'Oscar ottenuta nel 1992 grazie al melodramma storico Indocina di Régis Wargnier.
È significativo che, a inaugurare il terzo millennio nel curriculum della Deneuve, sia stata un'opera quale Dancer in the Dark, sull'onda del fervente desiderio dell'attrice di affidarsi alla cinepresa di Lars von Trier. Ma lei, del resto, è sempre andata alla ricerca di cineasti audaci o addirittura spiazzanti, alternando film dall'impronta marcatamente autoriale (da Manoel de Oliveira a Raúl Ruiz, da Leos Carax a Philippe Garrel) a progetti dalla visibilità più ampia e 'commerciale': una formula che, anche negli ultimi vent'anni, le ha consentito di restare una presenza fissa nell'immaginario collettivo del pubblico francese (e non solo). Non a caso, vari film di questa fase più recente della carriera di Catherine Deneuve hanno giocato in maniera più o meno scoperta con l'icona stessa dell'attrice, proprio in virtù dell'imprescindibilità di tale icona; e spesso con risultati di notevole interesse, soprattutto laddove ne hanno messo in risalto la dimensione autoironica.
Da François Ozon, il cui approccio postmodernista non poteva non essere attratto dall'allure divistica di Madame Deneuve, a Hirokazu Koreeda, che nel 2019 l'ha diretta nel film d'apertura della Mostra di Venezia, e in attesa di vederla nel suo ultimo campione d'incassi Bernadette, di seguito ripercorriamo dunque i quattro ruoli più significativi interpretati dall'eterna Première Dame del cinema francese dagli anni Duemila in poi, fra i maggiori tasselli di un successo davvero senza età.
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8 donne e un mistero (2002)
L'eleganza aristocratica propria di numerosi personaggi di Catherine Deneuve è pure il tratto distintivo di Gaby, moglie alto-borghese fra le comprimarie di 8 donne e un mistero, fortunatissimo giallo in chiave musicale firmato nel 2002 da François Ozon, ispirandosi a una pièce teatrale di Robert Thomas. In un film che rivisita convenzioni e stilemi del cinema degli anni Cinquanta con un umorismo tinto di sarcasmo, una Deneuve impellicciata e altera abbandona progressivamente la propria compostezza, fino al punto di avventarsi contro l'odiata cognata Pierrette (Fanny Ardant) per poi abbandonarsi con lei a improvvise effusioni saffiche. Ricompensato al Festival di Berlino con un premio per l'intero cast (che include, fra le altre, Isabelle Huppert ed Emmanuelle Béart), 8 donne e un mistero si è rivelato uno dei titoli più popolari della Deneuve.
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Racconto di Natale (2008)
Già diretta da Arnaud Desplechin nel 2004 ne I re e la regina, nel 2008 Catherine Deneuve torna a farsi dirigere dal cineasta francese nel capolavoro del regista: Racconto di Natale, dramma corale che propone il variegato ritratto di una famiglia riunita a Roubaix in occasione delle festività natalizie. La Deneuve presta il volto alla matriarca del gruppo, Junon Vuillard, che scopre di essere affetta da una grave forma di leucemia e di avere urgente bisogno di un trapianto; ma l'autentico fulcro di Racconto di Natale rimangono comunque le relazioni fra i comprimari, il modo in cui le loro fragilità individuali si intrecciano alle complesse dinamiche sentimentali e familiari. E in tal senso la Junon della Deneuve, il cui nome rievoca non a caso la signora dell'Olimpo, ci appare come una figura fascinosamente ambigua, in cui si fondono benevolenza e distacco, una fredda autorevolezza e un profondo amore materno.
Potiche (2010)
È ancora François Ozon, nel 2010, a regalare a Catherine Deneuve un altro film campione d'incassi, ma rendendola stavolta protagonista assoluta. Tratto anch'esso da una commedia teatrale (a firma di Pierre Barillet e Jean-Pierre Gredy), Potiche vede la Deneuve nei panni di Suzanne Pujol, perfetto esempio dello stereotipo della "moglie trofeo", sottomessa all'autorità del burbero marito Robert (Fabrice Luchini), imprenditore di una fabbrica di ombrelli, fin quando non si troverà a prenderne il posto a capo dell'azienda. In Potiche - La bella statuina, questa divertita parabola femminista ambientata nella Francia degli anni Settanta, Ozon e la Deneuve illustrano con leggerezza la presa di coscienza di Suzanne, utilizzando i codici della tipica "guerra dei sessi", ma anche strizzando l'occhio alla carriera della diva: la fabbrica di famiglia richiama infatti Les Parapluies de Cherbourg, mentre l'entrata in scena di Gérard Depardieu non può non riportare alla memoria L'ultimo metrò.
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Le verità (2019)
E arriviamo infine alla singolare escursione in terra francese nel 2019 di Hirokazu Koreeda, fra i più stimati cineasti giapponesi contemporanei, con Le verità: un altro ritratto familiare che mette al centro della narrazione una matriarca, Fabienne Dangeville, in grado di catalizzare l'attenzione delle persone attorno a sé. In questa occasione, tuttavia, Koreeda innesta una possibile compenetrazione fra interprete e personaggio: anche Fabienne è una celebre attrice che, a dispetto dell'età, ha mantenuto un posto di primo piano nell'ambiente del cinema. E l'imminente pubblicazione della sua autobiografia sarà l'occasione per un serrato confronto fra la donna e sua figlia, la sceneggiatrice Lumir (Juliette Binoche). Ne Le verità, Koreeda cuce addosso a Catherine Deneuve uno dei suoi ruoli più densi e complessi, in un avvincente amalgama fra egocentrismo, tenerezza e malinconia.