È arrivato finalmente nel catalogo di Netflix il documentario Casting JonBenet, che avevamo avuto modo di apprezzare in occasione dell'ultimo Festival di Berlino, restando stupiti per l'originalità e lo spessore di un'idea così particolare: il film riprende, infatti, uno dei casi più drammatici della cronaca statunitense, raccontando il terribile omicidio della piccolissima reginetta di bellezza JonBenet Ramsey, violentata ed uccisa a sei anni nel giorno di Natale 1996. Un delitto ancora irrisolto per il quale sono stati inizialmente sospettati, e poi parzialmente scagionati, i genitori ed il fratello della bambina.
L'interesse per la vicenda è tale che ancora oggi, a venti anni di distanza, ha senso parlarne ed ancor più se fatto con gli strumenti scelti dalla giovane regista Kitty Green, che abbiamo avuto modo di incontrare a Berlino per scambiare due chiacchiere e farci spiegare come ha scelto argomento e modalità del suo Casting JonBenet, che alterna interviste e ricostruzioni per approfondire non solo quanto accaduto quel giorno, ma concetti importanti come quello di verità stessa, dei media e dello sfruttamento dei bambini.
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Perché JonBenet?
Hai detto che la forma è venuta prima del contenuto, ci dici qualcosa in più su come è nato il tuo film?
Avevo fatto un corto che era basato su riprese di casting, ma era solo quello mentre il film è un'ampliamento di quel concetto e alterna delle ricostruzioni della realtà alle semplici riprese delle interviste, delle teste parlanti. Ma quello era sulla situazione ukraina, sul conflitto in Ukraina e cercavo un modo per esplorarlo senza scivolare nella propaganda per nessuna delle parti in gioco, volevo documentare la sofferenza delle giovani donne. È stato un lavoro bellissimo ed emozionante, ma non ho avuto un ruolo concreto in esso e volevo ampliare quell'esperienza ed avere anche un maggior potere d'intervento sul materiale. Cercavo uno spunto interessante per raccontare la sofferenza e quando siamo stati al Sundance con il corto è venuto spontaneo chiederci perché non fare qualcosa del genere in America. Le ragazzine del film erano tutte agghindate e l'idea è caduta subito su JonBenet Ramsey... ed abbiamo aperto il vaso di Pandora, perché quel caso è così sentito e complesso, con i genitori, Babbo Natale e i suoi misteri... è stato entusiasmante!
Hai lavorato sulla situazione ukraina ed hai radici australiane, ma qui ti sei concentrato su un caso profondamente americano. Questa distanza ti ha aiutato o è stata una difficoltà?
Penso che abbia aiutato questa distanza. Molti pensavano che sarebbe dovuto essere un Americano a dirigere questo film, perché tutte quelle cose che a me sembravano strane per loro sono abituali. Sono Australiana, non abbiamo cose come i concorsi di bellezza americani, ma proprio perché sono Australiana e lo sapevano ho potuto fare più domande e mi veniva spiegato tutto con maggiori dettagli.
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Eppure il tuo film non è solo sul caso di JonBenet...
Esattamente! È più su un'ossessione culturale, sul perché non si riesca a lasciare andare anche dopo tanto tempo. Sono passati venti anni da quando è morta ed è ancora sulle copertine delle riviste. È una pazzia! Mi sono concentrata più su questo, sull'eredità che porta dietro l'omicidio di JonBenet che sul caso in sé.
Il cast di Casting JonBenet
Ma chi sono le persone intervistate? Erano in qualche modo coinvolte nel caso?
Si è trattato di un casting aperto a tutti, abbiamo messo annunci su giornali, su Facebook, chiedendo di partecipare ad un casting per interpretare Patsy Ramsey e gli altri personaggi della vicenda. Siamo andati ai concorsi di bellezza del Colorado, abbiamo invitato chiunque volesse partecipare, quindi è un misto di persone reale e attori. Non si tratta di Hollywood, per questo parliamo di attori che hanno altri lavori e lavorano in teatri locali di sera o in pubblicità. Avremmo potuto fare questo film ad Hollywood o New York e sarebbe stato diverso, ma trattandosi del Colorado abbiamo avuto tutte persone per le quali era una seconda attività, un esperimento ed un'esperienza interessante.
Quindi il casting del documentario è stata un'attività più complessa?
Non esattamente. Quello che vedete nel film non è diverso da quello che abbiamo fatto nella realtà. Li abbiamo invitati, abbiamo visto chi si sarebbe presentato, abbiamo fatto le interviste e poi li abbiamo messi in abiti di scena e li abbiamo registrati. Ed è quello che si vede in Casting JonBenet.
Ma sapevano che non ci sarebbe stato un vero film? Gliel'ho spiegato. Non è stato facile, perché non ci sono altri film come questo da usare come esempio. Ho spiegato che avremmo usato il materiale del casting come nuovo modo per fare un film, per esplorare concetti come l'essere attori ed esseri umani, i personaggi, la colpa, la morta e l'innocenza. Ho spiegato che avremmo messo tutto questo in un film, ma è stato strano farlo.
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Hai avuto dei feedback dagli interessati?
I familiari non credo lo abbiano visto. Vedremo che succede. Molti della comunità invece, trentacinque di loro, sono venuti a Sundance e sono stati molto positivi al riguardo. Hanno postato le loro recensioni su Facebook, sono stati molto carini.
Come scegliere trecento ore di girato
Avevate molto materiale dai casting? Come avete scelto cosa includere nel montaggio finale del film?
Circa duecento persone sono venute al casting ed un centinaio sono state richiamate, quindi avevamo più o meno trecento ore di materiale. Ho lavorato come montatrice e sono stata un'assistente montatrice e catalogatrice di materiale, ho la mente predisposta, ma è difficile dire che tipo di materiale vuoi usare o quale cestinare. È molto importante il percorso emotivo che vuoi costruire, il modo in cui costruisci il film dal punto di vista dell'emotività, ma anche del caso che stai raccontando. Io e il montatore abbiamo lavorato a turno, per esempio io facevo tutta la notte e lui tutto il giorno, ed abbiamo continuato a mettere insieme pezzi e frammenti per un paio di mesi.
Hai detto che ti sei sorpresa di quante persone avessero un collegamento con il caso, ma ti aspettavi che avessero così tante storie personali da raccontare? Pensavi che il film sarebbe andato in quella direzione?
In realtà era proprio quella l'idea, come la gente abbia dato un senso a qualcosa che non può averlo, a un caso che non può essere risolto. Come si affronta una perdita di questa entità? Lo si fa pescando nel proprio bagaglio emotivo, rapportandolo ed esperienze vissute in prima persona, trovando una catarsi nelle proprie storie personali. Mi sono sorpresa di quanto fossero aperti, ma credo sia una cosa americana. La gente lì parla, è felice di parlare, Australiani ed Europei sono molto più riservati, e invece è stato interessante vedere come queste persone si sedevano davanti a noi e raccontavano le loro storie lasciandoci a volte in lacrime. Si sono fidati di noi, anche perché siamo riusciti a mettere in piedi un ambiente sicuro e di fiducia, solo con me ed una camera, con il resto della troupe dietro un muro.
È strano vedere come in un luogo così circoscritto ci sono stati così tanti omicidi, suicidi e drammi...
Ognuno ha un collegamento con qualcosa di traumatico, credo che sia così anche per noi che siamo in questa stanza. Credo che sia semplicemente umano. Semplicemente è stato facile per loro aprirsi e raccontarlo, senza nessun tipo di spinta a farlo. Per loro era immediato dire cose come "deve essere stata Patsy perché mia madre aveva disturbi bipolari e quindi...". Andavano immediatamente con la mente alla propria storia personale, senza che fosse necessario spingerli in quella direzione.
Far parlare queste persone è stato facile, ma c'è un aspetto di questo film che è stato più difficile di quanto pensassi all'inizio?
È stata dura perché molto di queste storie sono veramente cupe, pesanti, ed ho dovuto ascoltarle per tutto il giorno, ogni giorno, ed è qualcosa che mette alla prova dal punto di vista emotivo. Ricordo di averne parlato a qualcuno, ma cercavo di concentrarmi sul montaggio, su come mettere insieme i vari pezzi, senza pensare troppo a quanto fossero traumatiche alcune di queste parti. E non ho nemmeno incluso molte di esse! Ognuno ha i suoi drammi da raccontare e questa è stata senza dubbio la scoperta più grande che ho fatto lavorando al film. E quanto facilmente e velocemente riuscissero a diventare cupi e intensi, pur non avendo passato così tanto tempo con ognuno di loro.
Chi ha ucciso JonBenet?
Ti sei chiesta come mai dopo tanti anni questo caso sia ancora così sentito?
Ho due idee, ma sono solo mie supposizioni. Prima di tutto perché si tratta di una storia che riguarda un nucleo familiare ed è qualcosa con cui tutti possiamo immedesimarci. I propri genitori, il proprio fratello, un vicino inquietante, sono cose che tutti possiamo comprendere. È un caso che si è verificato la notte di Natale, c'è coinvolto Babbo Natale, un concorso di bellezza, ogni dettaglio è strano, più strano di Twin Peaks. E JonBenet aveva solo sei anni!
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E tu hai un'opinione su chi sia il colpevole?
No, non proprio... ma il film non è su questo, quindi ho scelto di ignorare questo aspetto. Non c'è modo di saperlo, non ci sono state condanne proprio perché non è possibile provarlo in nessun senso, quindi non ha senso fare supposizioni al riguardo. Il film è su come superare tutto questo in quanto comunità.
Hai detto che per te il film non riguarda il caso di JonBenet, ma alcuni degli intervistati pensano indubbiamente a quello. Come hai spiegato a loro il perché fare questo film?
Allo stesso tempo è sul caso di JonBenet e non lo è. Lo so, è confuso, ma il caso è la struttura, all'interno della quale indagare la sofferenza di una comunità. Quindi tutto si ricollega al caso, senza non avremmo il film, è quello che collega tutto, che unisce queste persone, è il motivo per il quale siamo in quella città, quindi sì, è sul caso... ma allo stesso tempo non lo è!
È stata la storia al femminile a interessarti più di ogni altra cosa?
Tutti i miei lavori sono sulla donna e la sua rappresentazione nei media. Ero interessata alla sessualizzazione della donna ed il caso di JonBenet rientra alla perfezione in questo quadro. Ma è anche un caso con molti livelli, con elementi molto più ampi di questo. Sono partita da quell'aspetto, ma poi ho trovato un argomento molto più ricco di quanto pensassi.
Eppure non molti condannano questi concorsi di bellezza.
Lo fanno, ci sono molte persone che si rendono conto che è sbagliato e che non lo farebbero. Ci sono state molte critiche al riguardo e al modo in cui è stata cresciuta la bambina, molte donne pronte a criticare la madre dicendo che non l'avrebbero mai fatto. Non credo ci sia un argomento più forte a favore che mostrare una bambina piccola come JonBenet vestita e truccata per un Beauty Pageant. A volte un'immagine può essere più forte di mille parole.
Come spieghi questo fenomeno?
Non so sinceramente, non credo sia una cosa positiva, ma è qualcosa di popolare solo in America, in nessun altro luogo. Nel fare ricerche per Casting JonBenet ne ho seguiti alcuni e capisco perché dicono che sia un bene per la fiducia in sé stessi e tutte le ragazze che ho incontrato erano brave a parlare pubblicamente, molto sicure di sé e me ne sono stupita, ma poi ci sono tutti gli ovvi aspetti negativi.
Il futuro di Kitty Green
Faresti un altro film con un bambino protagonista? Pensi che sarebbe diverso?
Non saprei, perché questo è un caso molto famoso, almeno in America, la gente conosce i dettagli. Dov'era ogni figura coinvolta, a che ora hanno mangiato l'ananas la sera prima, ogni cosa più strana. È anche un caso sensazionale, gli stessi genitori sono andati in TV, alla CNN, sono stati loro a rendersi pubblici sui media, non sarebbe stato giusta tutta questa attenzione se si fossero comportati diversamente. È un caso unico anche per questo motivo, difficilmente la nostra operazione è replicabile con altri.
Hai intenzione di fare altri casting in futuro?
No, credo di aver chiuso con questo tipo di lavoro, ma fare un vero documentario sarebbe noioso, così come realizzare un film di finzione lo sarebbe ugualmente. Sto cercando un modo per raccontare qualcosa con originalità, ma non voglio fare ancora e ancora la stessa cosa, perché la gente si stuferebbe.