È un'opera dura, secca, diretta, il nuovo lungometraggio di Andrés Arce Maldonado. Il regista colombiano trapiantato in Italia, già autore del sorprendente Falene, cambia decisamente registro in questo Carta bianca: l'ispirazione è ancora un fatto di cronaca (il ritrovamento, a Ferrara, del corpo di un giovane immigrato, morto per ipotermia nell'indifferenza generale) ma stavolta non c'è spazio per i toni grotteschi.
Nella Roma delle periferie e dei bassifondi, dei "mostri" architettonici che confinano con la campagna (il quartiere-ghetto di Corviale ne è fulgido esempio) si muovono tre personaggi che cercano disperatamente di sopravvivere: un piccolo spacciatore marocchino, amante dei libri e desideroso di integrarsi e iniziare una vita normale; una badante moldava, perseguitata dai ricordi di un passato (recente) di costrizioni e violenze; un'imprenditrice italiana, apparentemente forte e indipendente, in realtà segnata da esperienze difficili, innamorata solo del proprio cane e finita, quasi senza accorgersene, sotto il terribile giogo dell'usura. In un complesso incastro di vicende e coincidenze, segnate da un destino beffardo, questi personaggi così diversi finiranno per influenzare, in modo decisivo, ognuno le vite degli altri.
Del film, che sta per uscire in sala nel circuito di Distribuzione Indipendente, ha parlato nell'incontro stampa odierno lo stesso regista, insieme allo sceneggiatore Andrea Zauli e agli ottimi protagonisti Tania Angelosanto, Patrizia Bernardini, Mohamed Zouaoui, Valentina Carnelutti e Luigi Toto.
La scelta del soggetto
"Nella cronaca nera c'è quella che io chiamo l'umanità liofilizzata", ha esordito Arce. "La storia è paradossale, perché non tratta di razzismo: tutto nasce da un corpo ritrovato per terra, che poteva essere di chiunque. In realtà, si tratta di indifferenza, di paura. Nel razzismo, si hanno il 50% di possibilità di essere accettati: che equivalgono alla probabilità che l'altro sia della tua stessa etnia. Ma quando c'è indifferenza, la probabilità è zero". Alla domanda su cosa leghi, nel profondo, questi tre personaggi così diversi, il regista parla di una costante e infruttuosa ricerca: "C'è un rincorrersi dei personaggi senza soluzione di continuità: uno che desidera l'altro, che a sua volta desidera il terzo. Il film, in realtà, parla d'amore: è l'amore il legame tra loro, e la ricerca della normalità." "C'è un altro elemento che li lega, inoltre, ed è un pezzetto di carta", aggiunge Andrea Zauli. "Sono tre vite che rincorrono la carta quanto la carne, visto che c'è chi cerca il denaro, chi un passaporto, chi un contratto di lavoro. Sono pezzi di carta che diventano simbolici: in quella carta c'è, per ogni personaggio, una parte di futuro e una parte di passato."
Arce ha poi proseguito parlando delle problematiche che si incontrano nel girare un'opera indipendente: "Sembra paradossale, ma in realtà non ho incontrato nessuna vera difficoltà: quando ti butti in avanti, la vita ti aiuta. Certo, questo lo dico adesso, ma i problemi in realtà non sono mancati: spesso non avevamo le location, abbiamo girato certe scene senza i permessi. Tra queste, c'era quella dell'arresto di Kamal: se fosse passata una volante della polizia, avrebbe arrestato noi. In realtà, comunque, il progetto iniziale era quello di fare tre cortometraggi: per ognuno abbiamo impiegato tra una settimana e una settimana e mezza, circa. Il film è costato 15000 dollari, più altri 5000 circa di post-produzione. Posso dire di avere la coscienza pulita, perché so di non aver sprecato risorse. Avevo anche provato a rivolgermi a dei produttori, ma ogni volta mi dicevano che avrebbero letto la sceneggiatura, e intanto passavano mesi e non ottenevo risposte. Alla fine, dopo un anno, ho pensato che, se non mi fossi prodotto il film da solo, non l'avrei fatto. Se avessi avuto più soldi e più mezzi, non credo avrei cambiato molto del mio stile: sicuramente, quei soldi li avrei impiegati per pagare chi ha lavorato nel film".
Il cast
"Io avevo già lavorato con Andres e con la squadra di questo progetto, quindi mi sono sentita a casa", ha detto Tania Angelosanto, interprete sullo schermo della moldava Vania. "Stare sul set con Patrizia, poi, era come avere accanto una sorella. Andres lo conosco bene, e conosco il suo modo di lavorare. Per prepararmi al ruolo ho girato locali, ho guardato spogliarelli, ho parlato con le prostitute. Andres diceva che ero troppo dolce, femminile, che le moldave sono più dure e meno 'femmine': i loro problemi sono altri, devono innanzitutto sopravvivere. Ho dovuto fare un gran lavoro, anche sul mio corpo." "Per me è stato il primo lungometraggio, prima ho fatto corti e teatro, oltre a qualcosa in TV", ha rivelato Patrizia Bernardini. "Non riesco a distinguere, in questo film, l'esperienza professionale da quella umana: eravamo un gruppo che aveva già lavorato insieme, e chi ci è entrato per la prima volta, è entrato in una dimensione innanzitutto umana, anche con i suoi problemi e isterismi. In 25 giorni, è stata molta la fatica e lo stress. Ognuno di noi ha lavorato costantemente, anche quando non girava. La principale difficoltà interpretativa, per me, è stata che Andres, per la parte di Lucrezia, ha lavorato molto su ciò che andava espresso senza esser detto. È un personaggio che non piange mai se non alla fine: fa di tutto per salvarsi, e alla fine suo malgrado diventa un personaggio negativo. Non ha una speranza perché il mondo non porta a coltivare le speranze: il film parla proprio di questo. Con l'esperienza che ho ora, se dovessi rifare un film del genere, eviterei soprattutto qualche errore di comportamento. Ho imparato a mantenere la lucidità in ogni secondo: se sai che una scena l'hai girata all'80% anziché al 100%, sai anche che non puoi rigirarla di nuovo, perché il tempo non c'è."
"Io mi sono divertito, è stata un'esperienza bellissima", ha aggiunto Mohamed Zouaoui, interprete dell'immigrato Kamal. "Avevo già fatto altri lungometraggi, in passato, tra cui I fiori di Kirkuk, passato al Festival del Film di Roma. Questa, però, è stata un'esperienza fantastica, anche se dolorosa dal punto di vista umano: anche se la mia storia non rispecchiava precisamente quella di quell'immigrato trovato morto a Ferrara, non è stato facile interpretare un ruolo del genere. Diciamolo: il diavolo è ottimista, se pensa di poter peggiorare gli uomini. Ciò che conta, è che film come questi diano identità a persone e uomini che altrimenti finirebbero nel dimenticatoio."
Indipendenza morale, sostegno pratico
A prendere la parola è stata poi Valentina Carnelutti. "Io ho scelto questo film per tre ragioni", ha detto l'attrice. "La prima è che Andres è una specie di tornado, e nella vita è una persona molto generosa: a quel punto diventa difficile rifiutare qualcosa, se si è generosi, qualcosa torna sempre indietro. La seconda ragione è la presenza di Maura Morales Bergmann, una direttrice della fotografia che stimo molto e con cui avevo sempre desiderato lavorare. La terza ragione, che forse, egoisticamente, in realtà è la prima, è che volevo mettermi nei panni di qualcuno che fosse apparentemente così diverso da me: per la lingua, per i modi, e per il passato. Il punto di contatto che ho col mio personaggio, però, è la fedeltà: in questo sono simile a lei". L'attrice ha poi affrontato il tema delle difficoltà di lavorare oggi, in Italia, nel cinema indipendente: "Sono d'accordo che si debbano fare i film con slancio, andando anche all'arrembaggio, va benissimo: ma in assoluto, non credo giovi al nostro cinema fare tutto da soli. Credo invece sia un bene che tutto avvenga anche con il supporto di mezzi un po' più consistenti: non solo economici, ma anche umani, che aiutino tecnici e attori. Il cinema è un lavoro collettivo, non per pochi ma per tanti. Le mia parte è piccola, è durata in tutto un giorno, e mi sono divertita: ma dico la verità, se mi avessero proposto di lavorare per 20 giorni in queste condizioni avrei detto di no. Penso che il lavoro di tutti vada tutelato: il mio consiglio è quello di continuare con l'indipendenza morale, ma di chiedere anche sostegno."
"Il problema", ha proseguito Patrizia Bernardini, "è che certe volte si è disorganizzati perché magari certi progetti nascono dalle esigenze del momento. Il punto, in questi casi, è trovare sostegni e finanziamenti che purtroppo, qui in Italia, non ci sono". "Valentina ha ragione", ha concluso Luigi Toto, "ma io invece non avrei problemi a rifare tutto. Se ci si mette insieme e si uniscono le forze, anziché lamentarsi, si riesce sempre a tirare fuori qualcosa. Quando ho saputo che, come produttore, era rimasto solo Andres, sono stato felice di rinunciare al mio rimborso. Con un 'do ut des', si ottengono soddisfazioni che a volte valgono più dei soldi."