"Brie Larson è razzista / Brie Larson è sessista / Brie Larson non vuole che i maschi bianchi vedano il suo film." Queste sono le tre varianti principali della filosofia con cui una percentuale non particolarmente copiosa ma indubbiamente rumorosa del popolo di internet ha proposto il boicottaggio di Captain Marvel, la cui attrice protagonista in realtà era semplicemente rea di aver proposto, in contesti che c'entravano poco o nulla con l'uscita in sala del film, che l'accesso alle attività stampa, proiezioni incluse, fosse un po' meno difficoltoso per critici e giornalisti appartenenti alle diverse minoranze che caratterizzano l'America (e il mondo) di oggi. Si è cercato di travisare ciò che diceva la Larson, in un becero tentativo di far sembrare il nuovo film della Marvel una sorta di pamphlet femminista dove i maschi sono tutti brutti e cattivi. Un'immagine totalmente falsa, dato che il ventunesimo lungometraggio del Marvel Cinematic Universe contiene un messaggio profondamente umanista: durante lo scontro finale, Carol Danvers si sente dire da uno dei suoi avversari "Sei solo umana"; la frase è intesa dal villain come un insulto, lei invece lo prende come un complimento e se ne serve come ispirazione per attingere alla piena potenza delle sue capacità sovrumane.
Questo è solo l'esempio più recente di comportamenti astiosi e ostili da parte di alcuni spettatori (quasi esclusivamente di sesso maschile) nei confronti di determinati film dove personaggi femminili occupano ruoli centrali. In questo caso specifico non ci sono stati episodi di molestie o insulti diretti sui social, come invece accaduto a due attrici della nuova trilogia di Star Wars - Daisy Ridley e Kelly Marie Tran - che hanno scelto di non presenziare più su piattaforme come Twitter o Instagram. Lo stesso è accaduto a Diane Nelson, ex-presidente della DC Comics, presa di mira da alcuni fan che la ritenevano responsabile di quanto accaduto sul set di Justice League , ed è da circa un anno e mezzo che una fazione particolarmente agguerrita di appassionati del franchise stellare creato da George Lucas chiede che la Disney licenzi Kathleen Kennedy, responsabile della Lucasfilm e quindi del nuovo corso creativo della saga. Ma da cosa derivano atteggiamenti simili? Perché, nel 2019, è ancora così inaccettabile, per alcuni, che al cinema ci sia spazio anche per le donne, soprattutto in determinati ambiti?
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Hollywood, abbiamo un problema
Che l'industria cinematografica americana abbia (ancora) dei problemi di sessismo, per non dire misoginia, è risaputo, e non parliamo solo di quanto emerso in seguito al movimento #MeToo. Già prima, quando furono trafugate le mail della Sony Pictures, emersero verità scomode su alcune allarmanti disparità salariali, come quando Amy Adams, protagonista femminile di American Hustle - L'apparenza inganna, scoprì di essere stata pagata meno di Jeremy Renner, il cui ruolo nel medesimo film è sostanzialmente un cameo esteso. C'è anche la questione spinosa delle registe donne, poco visibili in occasione di festival o cerimonie come quella degli Oscar, ma anche svantaggiate quando si tratta proprio di far partire un progetto: laddove un flop può mostrarsi irrilevante per un regista uomo, per la sua controparte femminile il medesimo insuccesso commerciale può significare la morte artistica o quasi. Basti pensare a qualcuno come Bryan Singer che, nonostante 2-3 flop consecutivi, dal 2006 al 2018 ha realizzato ben sei film, mentre Karyn Kusama, dopo il doppio insuccesso di Aeon Flux e Jennifer's Body, dal 2009 a oggi ha diretto solo due film, più un segmento di un progetto collettivo.
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A questo si aggiunge il luogo comune sullo scarso appeal dei personaggi femminili in determinate produzioni cinematografiche come ad esempio i film su supereroine: prima di arrivare a Captain Marvel, la Casa delle Idee ha dovuto per anni fare i conti con un dirigente che non voleva portare sullo schermo le avventure di Carol Danvers perché secondo lui i cinecomics al femminile non funzionavano. Le prove a sostegno di tale tesi? Catwoman e Elektra, due film che sono effettivamente andati molto male al box office. Ma anche, e questo è il dettaglio che si tendeva (volutamente?) a dimenticare, due film che sono generalmente ritenuti molto brutti, sia dalla critica che dal pubblico. Che fosse questo il vero motivo dell'insuccesso di quei due lungometraggi specifici? Gli incassi del film su Danvers, arrivato ora a 900 milioni di dollari nel mondo, tenderebbero a dimostrarlo, così come il successo di Hunger Games e Wonder Woman. Ovviamente, e purtroppo, anche qua non mancano complottismi vari, dagli incassi "gonfiati" (stando ai detrattori le sale sarebbero in realtà mezze vuote) all'idea che le recensioni positive siano dovute solo al timore di essere etichettati come sessisti in caso contrario (ma lì basta dare un'occhiata a come sono stati accolti Nelle pieghe del tempo e Ocean's 8).
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Genere che vai, reazione che trovi
Vale la pena sottolineare che reazioni eccessive come quelle riportate sopra non sono riscontrabili per tutti i film dove i ruoli centrali sono occupati da donne: sono esenti tutti i lungometraggi il cui pubblico di riferimento è per lo più femminile, come Cinquanta sfumature di grigio o la stragrande maggioranza delle commedie romantiche, così come il cinema horror dove, tra scream queen e final girl, la donna ha sempre avuto una posizione importante. In entrambi i casi si tratta di prodotti che, anche nell'eventualità di grande successo commerciale, nascono per una cerchia di spettatori che, in un modo o nell'altro, si può definire di nicchia. Così non è per il franchise della Lucasfilm o per l'universo Marvel, il cui appeal è abbastanza universale. E così non fu neanche per Ghostbusters, l'altro franchise il cui recente ritorno sugli schermi con una squadra interamente al femminile sollevò un polverone tale che alcuni dei commenti negativi a priori furono integrati nella sceneggiatura durante le riprese. Commenti che misero in evidenza una certa ipocrisia sessista, con affermazioni del tipo "Non solo sono donne, ma pure brutte." Eh già, perché Dan Aykroyd, Bill Murray e Harold Ramis erano invece dei sex symbol...
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Stravolgimento generazionale
La differenza principale sta forse lì, anche per quanto riguarda l'età anagrafica di molti dei maschi indignati: non si lamentano per l'esistenza di personaggi come Ellen Ripley o Sarah Connor perché da un lato esistono "da sempre" e dall'altro fanno parte di franchise che, in linea di massima, non sono destinati a un pubblico giovane; gli acchiappafantasmi e le battaglie intergalattiche fanno invece parte dell'immaginario cinematografico della loro infanzia, mentre in ambito fumettistico avranno forse letto gli albi della Marvel. Arrivati all'età adulta vogliono preservare la "purezza" di ciò che hanno visto e letto da piccoli, ed ogni presunta deviazione dal canone classico è vista come un'aberrazione (questo vale anche per il piccolo schermo, come ben sa chi guarda Doctor Who). Presunta, perché le loro lamentele sono per lo più prive di fondamento: accusare la Disney (altro denominatore comune tra due dei franchise presi di mira) di volersi piegare al clima socio-politico odierno dimostra semplicemente che, decenni addietro, non avevano colto tutte le sfumature di ciò che vedevano: per ammissione di George Lucas, lo scontro tra Impero e Ribellione è basato sulla guerra in Vietnam, e nei prequel i leader della fazione separatista parlano, in originale, con accenti russi. La politica ha sempre fatto parte di quell'universo, così come i personaggi femminili forti: quarant'anni prima di Rey c'era Leia, e sul piccolo schermo abbiamo visto figure come Ahsoka Tano. Quanto a Carol Danvers, si tratta di uno dei personaggi più longevi della Marvel (è stata creata nel 1968) e le storie a lei dedicate avevano connotazioni femministe già cinquant'anni fa.
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Questa percezione errata del contenuto dei film si estende anche ai personaggi incriminati: dal dicembre del 2015 l'accusa più gettonata nei confronti di Rey è quella di essere una Mary Sue, ossia un personaggio praticamente perfetto, spesso ideato come alter ego del suo creatore. Ora, fermo restando che nel corso dei due film in cui l'abbiamo vista la fanciulla non è immune all'errore, cosa dovremmo dire di Luke Skywalker che, molto più di lei, è palesemente il tipo di personaggio descritto dai detrattori di Rey, anche per quanto riguarda il suo nome (da Lucas a Luke S. il passo è breve)? La stessa mentalità ha portato all'uso del soprannome "Captain Mary Sue" per descrivere Carol Danvers, sebbene il suo arco narrativo abbia dei punti in comune con quello di un altro protagonista della cultura popolare recente: Neo, l'eroe di Matrix. Nello specifico, entrambi arrivano al traguardo del loro pieno potenziale durante uno scontro con un'entità cibernetica, e alla provocazione dell'avversario che li chiama con un nome imposto dal sistema rispondono con il loro vero appellativo. Se Neo debuttasse al cinema adesso invece che vent'anni fa, verrebbe criticato perché troppo potente? Molto probabilmente no.
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Un'industria che si evolve (lentamente)
All'annuncio del duo registico incaricato di portare al cinema Captain Marvel sono partiti subito i commenti ironici su Anna Boden, del tipo "È talmente incompetente che ha bisogno dell'aiuto di un uomo" (trattasi di Ryan Fleck, suo marito e partner artistico sin dagli inizi della carriera). Ed è da un paio d'anni che, per il presunto "declino" di Star Wars (in realtà l'unico flop, dei quattro film usciti dal 2015 a oggi, è stato Solo: A Star Wars Story, quello che in teoria sarebbe piaciuto ai fan di vecchia data in quanto incentrato su un maschio bianco), si dà la colpa a Kathleen Kennedy, con tanto di teorie del complotto e illazioni sessiste su come sia arrivata al suo rango attuale (per la cronaca, è stata scelta personalmente da Lucas dopo tre decenni di attività come produttrice al fianco di registi come Steven Spielberg e David Fincher). Forse anche per quel motivo la Kennedy esita ad affidare la regia di uno dei futuri capitoli della saga a una donna, sapendo a cosa andrebbe incontro a causa di quell'arma a doppio taglio che è internet.
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Detto ciò, al netto di sporadiche eccezioni, stiamo assistendo all'evoluzione su scala più vasta di un fenomeno che esiste già da tempo: con il materiale giusto, la gente va in sala a vedere storie incentrate su personaggi femminili, e l'appetito per materiale simile è visibilmente aumentato, a giudicare dagli incassi. E qui, citando Brie Larson, viene spontaneo spiegare a chi teme una femminizzazione del cinema tout court che in realtà non accadrà nulla del genere: queste storie si aggiungono all'offerta esistente, senza soppiantare la miriade di prodotti prevalentemente concepiti per un pubblico maschile. E a chi chiede quale sia l'utilità di un film su Captain Marvel quando per le donne c'è già Wonder Woman non si può che ribattere che applicando tale logica nell'altro senso andrebbero estirpati praticamente tutti i film di supereroi in generale. Tanto abbiamo già Batman, per dire...