Lo diciamo fin da subito: Captain Marvel, in uscita in Italia il 6 marzo (dall'otto in quelle americane, non è ovviamente un caso), è uno dei migliori film del Marvel Cinematic Universe. Sicuramente tra i primi dieci. È uno dei migliori film dell'Universo Marvel perché è una origin story scritta come si deve, con interpreti perfetti (guardare Samuel L. Jackson nella versione più giovane di Nick Fury, anzi, solo Fury come ci tiene a precisare, è un piacere), con un uso sapiente dell'"effetto nostalgia" (e per una volta non sono gli 80s, ci siamo infatti spostati ai 90s), bei costumi, ritmo incalzante, colonna sonora spettacolare (Nirvana, No Doubt e Hole sono solo alcuni dei gruppi presenti nella soundtrack) e una gatta, Goose, che è già una star. Questo nonostante le critiche ricevute da Captain Marvel prima dell'uscita al cinema.
Il film, di cui abbiamo parlato nella nostra recensione di Captain Marvel, fa tutto quello che una origin story deve fare: parla e arriva a ogni tipo di spettatore, ci fa scoprire un personaggio, ci mostra la sua crescita, ci fa capire perché si comporta (e presumibilmente si comporterà) in un certo modo, collegandosi sapientemente alla trama degli altri film del MCU. In più (maledetto!) ci lascia con una voglia spasmodica di vedere Avengers: Endgame, non solo perché è un film destinato a entrare nella storia, se non del cinema, almeno in quella dei cinecomics, ma anche per vedere come questa Captain Marvel interagirà con gli altri Avengers. Già da ora ci pregustiamo dei duetti niente male tra Carol Denvers e Tony Stark. Tutto questo lo diciamo con cognizione di causa, dopo aver visto (due volte) il film che, sulla carta, è un cinecomic come gli altri, ma nella pratica si sta caricando di un valore che esula l'aspetto meramente artistico, esattamente come è successo per Black Panther e Wonder Woman. Non ci riferiamo a commenti prettamente americani, ma anche di casa nostra: in molti, ancora prima dell'uscita di Captain Marvel, hanno cominciato a sparare a zero sulla pellicola con protagonista il premio Oscar Brie Larson. Perché? La risposta potrebbe non piacervi.
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Tutta colpa di Brie Larson
Tutto parte proprio da Brie Larson, attrice premio Oscar nel 2016 grazie alla sua interpretazione in Room, che si è inimicata una bella fetta di appassionati di fumetti e critici cinematografici a causa di una polemica nata dopo aver dichiarato di essere stufa di analisi di film fatte principalmente da "maschi bianchi eterosessuali sui quarant'anni". Questa affermazione è stata fatta in occasione dell'uscita, lo scorso anno, di Nelle pieghe del tempo, film che, detto da una donna bianca con meno di quarant'anni, non è esattamente un'opera riuscita, anzi, ma che, effettivamente, bisogna considerare anche nell'ottica del pubblico a cui è destinata, ovvero bambini in fase pre-adolescenziale. Cosa che si dovrebbe fare per ogni film.
Possiamo quindi dire che le parole della Larson sono state riportate in modo forse più aggressivo di quanto intendesse l'attrice, ma sono sicuramente intenzionali: bisogna riconoscerglielo, il premio Oscar è coerente. Per il tour promozionale di Captain Marvel Brie Larson ha infatti fatto una richiesta precisa: ha voluto incontrare giornalisti il più eterogenei possibile, di differente sesso ed età, non soltanto lo stereotipo dell'appassionato medio di fumetti a cui I Simpson hanno dato un volto ormai scolpito per sempre nell'immaginario collettivo (l'Uomo dei fumetti, proprio lui). La richiesta, su internet, è diventata subito: "Brie Larson non vuole farsi intervistare dagli uomini, ergo sta facendo razzismo al contrario". Il risultato? Insulti a non finire su internet, boicottaggio del film, frasi come "lo vedrò soltanto per scoprire come perde l'occhio Nick Fury", più, in casi estremi, la maledizione completa del genere femminile, su tutte le "Nazi-Femministe". Fermiamoci tutti un attimo. Respiriamo. E riaccendiamo il cervello.
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Riscoprirsi razzisti e misogini grazie ai cinecomics
Giusta o sbagliata che sia la richiesta di Brie Larson (stabilire dei criteri di selezione per delle interviste, anche se con delle buone intenzioni, è facilmente interpretabile come una mossa autoritaria), di fatto, almeno al junket europeo di Londra (abbiamo potuto verificarlo di persona), a parlare con il cast di Captain Marvel non c'erano solamente donne, ma persone di sesso, età e colore della pelle differenti. La realtà italiana ci dice invece qualcosa di deprimente: se in tutto il mondo film come Wonder Woman e Black Panther hanno incassato moltissimo e sono diventati dei fenomeni culturali, in grado di assurgere a veri e propri simboli, qui da noi non è stato così. In proporzione sia il film della Warner Bros. che quello della Disney hanno incassato meno e, al contrario di quanto successo nel resto del mondo, sono stati bollati da molti come "il film per le femmine" e "il film dei neri". Purtroppo non siamo alle medie, ma tra i commenti di un qualsiasi post social. Sembra che, per una buona fetta di pubblico italiano, sia difficile immedesimarsi in un personaggio che non è esattamente come lui. Ma che male c'è se per la comunità black americana Black Panther è diventato un'icona? Che male c'è se le donne hanno accolto con gioia la Wonder Woman di Gal Gadot, la prima supereroina ad avere un film tutto suo? Sotto sotto ci stanno dicendo che un eroe nero o un'eroina non sono all'altezza di un supereroe bianco? Siamo ancora al livello di "esseri umani di serie A e di serie B"? Nel 2019?! Non ci volevamo credere, ma per alcuni è così.
Abbiamo potuto constatare questo livore in prima persona: per aver scritto sui social di essere felici di avere un'altra supereroina con un film tutto suo, che ha la faccia tosta di non chiedere scusa a nessuno per il fatto di avere dei poteri, che - nonostante tutti intorno a lei si sentano in diritto di spiegarle come dovrebbe comportarsi - sceglie di ascoltare solo se stessa, abbracciando la sua umanità e le proprie imperfezioni, per diventare più forte (il tutto con un costume funzionale e, finalmente, inquadrato in modo per nulla malizioso), ci siamo beccati anche noi delle nazifemministe. "Ma dov'erano tutte queste femministe quando noi leggevamo le storie di Carol Danvers nei fumetti?". "I film di supereroine vi danno un pochino alla testa probabilmente. Ora si spiega perché se ne producono pochi". "Attente a pretendere troppo, che poi diventate prepotenti". Questi alcuni dei commenti fatti sotto ai post di chi scrive e di colleghe che hanno malauguratamente condiviso il proprio entusiasmo post proiezione sui social. Il capolavoro poi è mettere a confronto Wonder Woman e Captain Marvel soltanto prendendo in considerazione la bellezza delle loro interpreti, il tutto riassunto da: "chi è più bona, Gal Gadot o Brie Larson?" (una discussione folle, che i film, i personaggi e le attrici non si meritano, anche perché sono bellissime entrambe e vi sfido a scegliere).
Ora: ci rendiamo conto che il paese è in recessione, in alcune parti del mondo le bambine vengono infibulate e si abortisce se si aspetta una femmina, quindi questo filosofeggiare sulla condizione delle donne a partire dal costume di Captain Marvel può che far sorridere e sembrare ridicolo, ma, visto che il cinema, oltre che intrattenere, rispecchia anche la vita, ci siamo ritrovati a fare diverse riflessioni, che forse, magari vagamente, si collegano al quadro generale.
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Da Han Solo a Captain Marvel, passando per Buffy: il superpotere dell'insolenza
Pilota di aerei come in Top Gun (la sua gatta si chiama Goose: anche qui nulla è lasciato al caso), guerriera addestrata all'arte del combattimento corpo a corpo di cui il Morpheus di Matrix sarebbe orgoglioso, macchina da guerra con "i pugni nelle mani": Carol Danvers sembra uscita da un action movie anni '80-'90. Ciò che la rende una vera eroina però è, almeno ai nostri occhi, un superpotere spesso sottovalutato: la sua insolenza. E anche la sua ironia. Da queste parti ci si è innamorati del cinema di avventura molto presto, grazie a un volto preciso: quello di Harrison Ford, amato prima come Indiana Jones e poi Han Solo in Guerre stellari. Faccia da schiaffi per eccellenza, la simpatica canaglia a cui nessuno riesce a resistere: l'attore americano incarna, almeno per noi, il vero spirito d'avventura. Fregarsene delle regole e fare tutto (o quasi) a modo nostro, anche se sappiamo che, quasi certamente, ce ne pentiremo: lo sguardo ironico e indomabile di chi è pronto ad accettare sfide di ogni tipo, sia fisiche che mentali, perché sa che è solo mettendo alla prova per primi noi stessi che si può cercare di arrivare dove nessuno ha osato per paura o per spirito di conservazione. Lo sguardo di chi ha l'avventura che gli scorre nel sangue è sempre anche un po' ribelle e strafottente, perché non ci sta a farsi dire come dovrebbe fare le cose, anche se magari il consiglio è giusto. In quell'insolenza c'è la scintilla rivoluzionaria della libertà.
Se lo spirito di Han Solo ha creato decine di figli e discepoli (pensando al MCU, il Peter Quill di Guardiani della Galassia ne è un discendente diretto), lo stesso non si può dire per le eroine: da Ellen Ripley a Sarah Connor, passando per Xena e Furiosa, diciamo che, nonostante siano tutte meravigliose e tostissime, non hanno quello sguardo che sembra sempre mettere in discussione tutto. Il loro è uno sguardo che uccide. L'unica supereroina, almeno sullo schermo, che incarna queste qualità e ha un ruolo da assoluta protagonista è la Buffy di Sarah Michelle Gellar: in Buffy - L'ammazzavampiri la sua ironia è ancora più pungente del paletto con cui fa strage di vampiri. Perché tutta questa digressione sull'importanza dell'insolenza? Perché, a quanto pare, è uno dei motivi principali per cui la Carol Danvers di Brie Larson sta antipatica a molti: quella faccia che sembra dire continuamente "tanto a me non la fai". Noi invece l'abbiamo amata anche per questo: nel non prendersi troppo sul serio, e non accettare nulla come se fosse una verità definitiva, risiede il segreto di chi può adattarsi a grandi cambiamenti e trovare nuove strade in fretta. Sorridere anche quando intorno a te c'è morte e ingiustizia: questa sì che è una rivoluzione e un atto di coraggio. Non quando qualcuno ti dice: "Ehi bella, me lo fai un sorriso?"
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L'importanza di sentirsi rappresentati sul grande schermo
Visto che Captain Marvel gioca molto sui piani temporali e sull'importanza dei ricordi, torniamo indietro di 23 anni: nel 1996, anno in cui è ambientato il film, chi scrive aveva esattamente dieci anni. Come già detto, qui si impazziva per Han Solo e Indiana Jones, così come per Sailor Moon, Fantaghirò (opera fondamentale profondamente sottovalutata) e Xena principessa guerriera. Più tardi sono arrivate anche Ellen Ripley, Sarah Connor e appunto Buffy, seguite poi da La Sposa di Kill Bill: Volume 1 e Furiosa di Mad Max: Fury Road. Tutti personaggi meravigliosi, grandi esempi di forza e coraggio, tenacia e volontà. Quando però dicevamo che volevamo essere come Indiana Jones o Han Solo, la risposta era sempre la stessa: "Ma tu sei femmina, non puoi essere come lui." "Non puoi essere questo", "non puoi fare quest'altro", "non sarai mai così". Chi non si è mai sentito dire, da piccolo, una cosa del genere non può davvero capire cosa scatta nella testa in quel momento: o cominciano a venirti una serie di complessi di inferiorità che ti porterai avanti per tutta la vita, o dici: "ti faccio vedere io". Ed è proprio per questo che un film come Captain Marvel, a prescindere dal suo valore artistico, diventa fondamentale: a Carol Danvers viene costantemente detto chi è e come deve essere, cosa può fare e cosa no, a chi deve sorridere e quanto, ma lei, nonostante le botte, nonostante le cadute e le delusioni, si fa scivolare tutto addosso e si rialza sempre. Un'immagine del genere, per una bambina di dieci anni, così come un bambino, è di una potenza incredibile.
La potenza evocativa del cinema, negli ultimi anni sempre più affiancata da quella delle serie tv, è inarrivabile: per quanto fondamentali, fumetti e romanzi non danno lo stesso impatto di un'immagine reale proiettata su un grande schermo, o comunque non hanno la capacità di arrivare a un pubblico così vasto ed eterogeneo con la stessa capillarità. Come ci ha detto Robert Rodriguez, parlando di Alita - Angelo della battaglia, ai giovani possiamo dire che non sono esseri insignificanti, oppure possiamo mostrarglielo attraverso un'immagine, che, grazie alla potenza del cinema, diventa vera. Ecco perché Black Panther, Wonder Woman e ora Captain Marvel sono molto più di semplici cinecomics: perché i bambini di dieci anni grazie a quegli eroi colorati sullo schermo possono capire, a livello istintivo, che, se vogliono, possono essere tutto ciò che desiderano, senza doversi sentire costantemente in difetto o chiedere scusa per le loro presunte mancanze. Possono cominciare a capire chi sono ed esserne orgogliosi.
"Sì, ma calmiamoci, sono solo film." Vero. All'anteprima di Captain Marvel a Roma però, quando, all'uscita, ci hanno regalato la maglietta del film con il simbolo dell'eroina destinata a sconvolgere il Marvel Cinematic Universe, abbiamo sentito un bambino dire: "Domani me la metto a scuola." Nessuno gli ha risposto: "Ma Captain Marvel è femmina." La dodicenne che è in noi ha sorriso "higher, faster, stronger".