Il 3 giugno 2020, alle ore 18, è stata annunciata in diretta su Canal+ (con possibilità di vedere il video in chiaro su Facebook, Twitter e YouTube) la Selezione Ufficiale di Cannes 2020, commentata dal delegato generale Thierry Frémaux, con la partecipazione del presidente Pierre Lescure. Un'usanza che di per sé non ha nulla di strano, se non fosse che la data ovviamente non è la solita e la classica ubicazione dell'annuncio (l'UGC Normandie a Parigi) vantava la sola presenza dei due diretti interessati e della ridotta troupe di Canal+, a cause delle norme vigenti legate alla sanità. E poi, naturalmente, c'è l'altro aspetto: Frémaux ha annunciato la selezione di un festival inesistente, dato che Cannes 2020, previsto per il mese di maggio (per l'esattezza dal 12 al 23), non si è potuto tenere nel periodo consueto, né sarà possibile organizzarlo in un altro periodo dell'anno. E con quella diretta si è raggiunto l'apice di quello spettacolo grottesco, che sfiora la farsa allo stato puro, che è stato l'intera gestione della 73ma edizione della kermesse francese sul piano mediatico, dall'inizio di marzo a oggi. Uno spettacolo che si proponeva come difensore del cinema, ma che in realtà aveva (e ha) a cuore solo ed esclusivamente gli interessi dell'entità Cannes.
In principio fu il virus
Ma andiamo con ordine. I primi segnali di allarme nel contesto di Cannes, legati all'emergenza sanitaria mondiale, sono arrivati già a fine febbraio, quando gran parte della stampa cinematografica internazionale era a Berlino (l'ultima grande manifestazione del settore che si è potuta svolgere in relativa tranquillità, al netto di nuove misure di igiene nei principali luoghi del festival). Interpellati da Variety, i portavoce della kermesse francese hanno dichiarato che in quel momento, tenendo conto della situazione in territorio transalpino, non era previsto alcun cambiamento a livello organizzativo. Anche tra i professionisti che coprono la Berlinale circolava un senso di incredulità, della serie "Ma no, dai, impossibile che Cannes salti!". Alcuni, a mo' di battuta, dicevano che nel peggiore dei casi non sarebbero stati ammessi i giornalisti italiani. Poi però passano i giorni, e già nella prima settimana di marzo si cominciava a capire la gravità della situazione: misure restrittive in molti paesi europei, con annullamento di vari eventi (in Italia il primo festival a farne le spese è stato il Bergamo Film Meeting) e successiva chiusura delle sale. E in tutto questo Cannes non demordeva, ribadendo alla stampa quanto fosse prematuro parlare del rinvio o annullamento del Festival due mesi prima della data prevista per l'apertura.
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Un atteggiamento a dir poco arrogante, con tanto di bieco uso dei social per trasmettere un'immagine posticcia di normalità: è diventata di culto l'immagine postata il 12 marzo dall'account Twitter della kermesse, dove un collaboratore della manifestazione trasporta il malloppo di film arrivati quel giorno per la visione da parte del comitato artistico. Poi, appena sette giorni dopo, l'annuncio che tutti aspettavano: l'edizione fisica non si potrà tenere a maggio. Escludendo l'opzione di un festival online, approccio che invece è stato adottato da altre kermesse più piccole, si è parlato in quel momento di un possibile rinvio alla fine di giugno o all'inizio di luglio, data limite oltre la quale non ci si sarebbe potuti spingere, come spiega l'apposita FAQ presente sul sito del Festival (perché, anche partendo dal presupposto che tutto possa tornare come prima entro la fine dell'estate, sarebbe impossibile evitare sovrapposizioni con altri eventi importanti e a ottobre/novembre iniziano i lavori per la selezione di Cannes 2021). Una strategia forse troppo ottimista, ma comunque più ragionevole rispetto a quanto visto nei giorni precedenti.
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Questa Cannes non s'ha da fare!
Circa un mese dopo, nella settimana di aprile tradizionalmente dedicata alla conferenza stampa del programma, il governo francese ha deciso che le grandi manifestazioni rimarranno vietate almeno fino alla fine di luglio, rendendo impossibile l'edizione fisica di Cannes nelle date alternative inizialmente proposte. E così, dopo l'annuncio unico delle sezioni parallele (Semaine de la Critique, Quinzaine des Réalisateurs e ACID) circa l'annullamento dell'edizione 2020, anche Thierry Frémaux si è arreso all'evidenza.
O meglio, ha sì riconosciuto l'impossibilità di poter organizzare il Festival nella sua forma classica (fa eccezione il Marché du Film, le cui attività si svolgeranno online), ma non per questo ha completamente gettato la spugna, lasciando intendere che in un modo o nell'altro i film che avrebbero invaso la Croisette in circostanze normali beneficeranno dell'effetto Cannes. Il delegato generale della kermesse ha tirato in ballo, in tale contesto, l'idea romantica della sala, sostenendo che un eventuale "bollino" di Cannes 2020 possa aiutare i film quando i cinema riapriranno (in Francia il 22 giugno), ma già prima di arrivare alla sera del 3 giugno è sempre stato chiaro che la vera priorità fosse un'altra: sottolineare l'importanza di Cannes, anche quando l'evento non si può tenere e il Palais per l'occasione ospita i senzatetto.
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Quello dell'importanza e del prestigio è un aspetto sul quale Frémaux e Pierre Lescure non hanno minimamente taciuto in occasione dell'annuncio della Selezione Ufficiale, trattato come se tutto fosse come prima (salvo la mancata suddivisione dei titoli in Concorso, Un Certain Regard e compagnia bella). Spiegando perché l'idea di un annullamento vero e proprio non fosse mai stata contemplata, Lescure ha parlato di come l'esperienza di Cannes non si limiti alle due settimane in Costa Azzurra, ma si estenda su tutto l'anno, fino ad arrivare agli Oscar (dove quest'anno ha trionfato Parasite, vincitore della Palma d'Oro nel 2019). E da quel punto di vista ha ragione: Cannes ha un peso specifico che gli altri festival non possiedono, e stando al Guinness dei primati è secondo solo alle Olimpiadi a livello di copertura mediatica e inviati stampa sul posto. Ma da lì a presentare un intero programma come se nulla fosse, facendo un'azione che in fin dei conti a nulla serve se non a marcare il proprio territorio, a suon di "Les Festivals, c'est moi!", ce ne vuole. Un programma che sostanzialmente si traduce in una versione più lunga e corposa di quello che è stato l'atteggiamento di Frémaux dopo che Roma, impossibilitato a partecipare al concorso di Cannes perché distribuito da Netflix, ha vinto il Leone d'Oro a Venezia: "Quello era un film nostro."
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E alla fine arriva il bollino
Sono 56 i film della Selezione Ufficiale di Cannes 2020, quelli che avranno effettivamente il "bollino" quando usciranno nelle sale o passeranno in altri festival (Frémaux ne ha elencati diversi, sottolineando anche che una tantum San Sebastián li potrà selezionare in concorso, cosa solitamente impossibile per regolamento). Manca quello che sarebbe stato il programma di Cannes Classics, la sezione dedicata ai classici restaurati e ai documentari sul cinema, ma Frémaux ha lasciato intendere che ne sentiremo parlare al Festival Lumière, che lui dirige a Lione. E mancano un paio di titoli che sapevamo essere in lizza, o perché già rinviati al 2021 (è il caso di Benedetta di Paul Verhoeven, che uscirà nelle sale francesi durante la prossima edizione di Cannes) o perché forse puntano ad altri lidi (Tre piani di Nanni Moretti), o perché hanno preferito fare a meno del marchio in ogni caso (Top Gun: Maverick e Da 5 Bloods - Come fratelli, entrambi presi in considerazione per il Fuori Concorso). Ma per il resto eccolo lì, il Festival di Cannes che sarebbe stato e non sarà, rappresentato da qualche decina di titoli che Frémaux per l'occasione ha suddiviso in categorie (i "fedeli", i neofiti, le opere prime, i documentari, le commedie e i film d'animazione), elencando anche percentuali - il numero di esordi e di film diretti da donne - che nel contesto di un'edizione che tale non è sanno solamente di marketing. E ammettendo spudoratamente una certa disonestà: continuando a vedere film dopo la scadenza tradizionale, Frémaux ha potuto includere dei lungometraggi che non sarebbero stati pronti per il mese di maggio.
La vera domanda, a questo punto, è: a cosa serve l'etichetta di Cannes 2020? Frémaux la giustifica dicendo che aiuterà i film nei loro percorsi in sala e ai festival che verranno, e la cosa ha effettivamente senso per titoli più piccoli, firmati da autori sconosciuti o quasi. Ma serve veramente farci sapere che sarebbe andato a Cannes per riuscire a vendere il nuovo film di Wes Anderson, o quello di François Ozon, o le nuove fatiche della Pixar e di Studio Ghibli? Sono tutti nomi che non hanno bisogno del sostegno di Cannes per arrivare al pubblico (nel caso di Ozon è stata annunciata anche la data di uscita in Francia, il 15 luglio). E negli altri casi, cosa può fare il bollino di Cannes che non avrebbe potuto fare una semplice collaborazione con altre manifestazioni, mettendo in atto una sinergia che al giorno d'oggi è fondamentale per tutelare i film? Frémaux può parlare quanto vuole dell'importanza della sala e della necessità di sostenere il cinema, ma la realtà è questa: Cannes nel 2020, per cause di forza maggiore, non avrà luogo, e annunciare la Selezione Ufficiale con le stesse modalità di sempre ha un che di offensivo. Anziché meditare su come adattarsi alle circostanze attuali e ripensare il modo di far arrivare i film agli spettatori, Cannes ha scelto di alzare la zampa e contrassegnare 56 alberi, per non perdere il proprio statuto di festival cinematografico più importante al mondo. Il giorno prima dell'annuncio, Frémaux ha parlato della Selezione in un articolo redatto per il sito del Festival, chiudendo con tre parole tanto care a Federico Fellini: "Viva il cinema!" In questo caso, però, viene da pensare più a Il Marchese del Grillo: "Io so' io, e voi non siete un cazzo!"