L'edizione numero 61 del Festival del cinema di Cannes si è chiusa da qualche giorno, abbiamo applaudito i vincitori, celebrato i registi italiani che ci hanno riempito di orgoglio, e ora non resta che tirare le somme su scala più ampia: e cominciamo, naturalmente, da questi campioni di casa nostra. Sembrava fatta per Gomorra, che, agli sgoccioli del festival, era il candidato più plausibile per la Palma d'oro, fino a che, proprio l'ultimo giorno, è arrivata la presentazione dell'eccellente Entre les murs, che ha stregato critica e giurati e ha finito per conquistare il premio più ambito. Resta la soddisfazione di aver visto non uno ma due film italiani, oltre che premiati, applauditi dal pubblico e lodati dalla stampa estera: non capita spesso di sfogliare periodici di importanza internazionale e leggere titoli come "Forza Sorrentino!" Infatti, per noi che già conoscevamo il valore del cinema di Paolo Sorrentino, la portata del fenomeno Gomorra e il talento di Matteo Garrone, l'eccellenza di queste due pellicole non è certamente una sorpresa, ma per il mondo l'originalità e l'abilità tecnica di questi due giovani autori sono state senz'altro una piacevole scoperta.
Oltre a Garrone e Sorrentino, anche il veterano Marco Tullio Giordana si è guadagnato una discreta dose di attenzione mediatica, dovuta forse in buona parte alla protagonista del suo Sangue pazzo, quella Monica Bellucci che in Francia è più che mai di casa.Guardando al concorso internazionale, questa edizione sembrava, almeno nelle premesse, partire con meno certezze della precedente; a giochi fatti, però, possiamo dire che buona parte dei premi apparivano ampiamente prevedibili. Prendiamo il riconoscimento per la migliore interpretazione maschile a Benicio Del Toro, un attore molto noto e molto bravo per una interpretazione monumentale - due film montati insieme per oltre quattro ore di pellicola - nei panni di un controverso e affascinante eroe popolare; una combinazione irresistibile per qualsiasi giuria. Molto meno telefonato l'esito nella pari categoria femminile, in cui il premio è andato alla brasiliana semiesordiente Sandra Corveloni, interprete di quel Linha de passe firmato da Walter Salles e Daniela Thomas che, pur non spiacendo del tutto, non ha certo suscitato grandi entusiasmi. La Corveloni ha offerto una prova indubbiamente apprezzabile, ma non è difficile individuare interpretazioni anche più convincenti in pellicole che hanno avuto un'accoglienza migliore. Anche il premio per la migliore sceneggiatura ai Dardenne è forse frutto più del loro status di grandi autori affezionati alla Croisette che della particolare riuscita di Le silence de Lorna.
Stupisce invece la totale assenza dal palmares di un film che ha colpito moltissimo gli addetti ai lavori, Waltz with Bashir di Ari Folman, pellicola intensa e di spessore in cui si fa un uso sorprendente dell'animazione 2D: non solo il film è piaciuto a tutti, ma sembrava rispondere a pieno ai parametri in base ai quali, secondo il presidente Sean Penn, i giurati hanno selezionato i vincitori.
Un discorso a parte meritano i premi speciali andati a Catherine Deneuve e Clint Eastwood, presenti a Cannes 61. come protagonista di Un conte de Noël di Arnaud Desplechin l'una, come regista del dramma The Exchange l'altro: riconoscimenti che servono a identificare due personalità quasi troppo notevoli per coabitare in competizione con i cineasti "ordinari".
Fa molto piacere, ed è meritatissima, la Camera d'or consegnata a Steve McQueen per quello straodinario debutto rappresentato da Hunger. Al regista britannico toccherà ora l'immane impresa di sfornare un'opera seconda che non faccia rimpiangere la prima. Se le aspettative non saranno disattese, siamo di fronte a un talento che ha le potenzialità di diventare un eccezionale filmaker.
Hunger era incluso nella sezione Un certain regard, che, nel complesso, quest'anno ha davero rischiato di eclissare il concorso per la qualità e la varietà delle proposte. Oltre ad alcuni picchi di eccellenza, infatti, il concorso ha anche riservato film a volte così imbarazzanti da indurci a domandarci come fossero finiti proprio lì, sulla più prestigiosa delle passerelle. A parte Eastwood, i grandi habituè, i nomi più altisonanti, sono stati quasi tutti un'autentica delusione.
In particolare, ha fatto un buco nell'acqua l'atteso film di aperture Blindness - Cecità, che, grazie ai nomi coinvolti, aveva suscitato grande interesse; a questo punto si può quasi parlare di una "maledizione dell'opener", dopo i fischi al blockbuster Il codice Da Vinci di due anni e l'accoglienza fredda, lo scorso anno, al ben più autoriale My Blueberry Nights di Wong Kar-Wai.
E delusioni sono arrivate anche nell'ambito degli eventi Fuori concorso: è un film indegno del nome del suo autore Mezzanotte a Barcellona, portato a Cannes da Woody Allen soprettutto in virtù delle superstar che invece hanno rinunciato alla spedizione (Javier Bardem) o hanno dato forfait all'ultimo momento (Scarlett Johansson).
Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, invece, ha fatto ciò che ci si aspettava facesse, anche se qualcuno si attendeva ancora più entusiasmo.
Infine, una nota a margine, e anche piuttosto preoccupante, sul mercato: sembrava che dopo gli scarsi affari siglati lo scorso febbraio a Berlino, Cannes dovesse rappresentare una ripresa. Non è andata così, il clima di pessimismo e sfiducia si è protratto per tutta la durata della kermesse, e anche pellicole ricche di appeal e grandi nomi come Che e Two Lovers hanno faticato a trovare un distributore. Sembra quindi che nemmeno il lancio in grande stile nell'ambito del più ricco e chiacchiarato dei festival cinematografici sia più una garanzia. L'appuntamento è al prossimo anno, con la speranza di vedere presto miglioramenti in questo e, perché no, in altri aspetti.