Si dice che il lupo perda il pelo ma non il vizio. Un proverbio classico che dice la sua su un argomento complesso e spinoso: le persone possono cambiare? Chi fuma può smettere di farlo, chi tende a bere troppo può sforzarsi di limitarsi, ma il pericolo di ricadere nei medesimi vizi è sempre dietro l'angolo. Ancora più difficile quando si ha a che fare con comportamenti radicati, con stili di vita consolidati e duraturi. Chi è solito vivere in un certo modo, può riuscire a guidare la propria esistenza su binari diversi?
Provano a dire la loro sull'argomento anche il regista Paul Schrader ed il suo sceneggiatore Matthew Wilder nell'adattare in Cane mangia cane l'omonimo romanzo datato 1996 (ma edito in Italia nel 1999) di Edward Bunker, scrittore con passato da criminale che ha messo la sua esperienza in opere noir e crime. E a giudicare dall'opera, presentata lo scorso anno a Cannes nella Quinzaine des Realizateurs e ora in sala grazie ad Altre storie, l'opinione degli autori è che difficilmente è possibile farlo.
L'ultimo colpo
Protagonisti di Cane mangia cane, infatti, sono tre ex criminali, appena usciti di prigione e pronti a rimettersi in gioco per un ultimo colpo. Perché Troy, quella che si può considerare la mente del gruppo, pensa che prima o poi in carcere finirebbero per tornarci, mentre un ultimo grosso colpo gli permetterebbe di racimolare abbastanza soldi da poter rigar dritto e condurre una vita più tranquilla. Così Troy, il folle e violento Mad Dog e Diesel decidono di rapire la piccola figlia di un ricco gangster, ma considerando le personalità in gioco non c'è da stupirsi se le cose non vanno esattamente secondo i piani, tra distrazioni più o meno folli e l'inevitabile interesse delle forze dell'ordine.
I tre volti del crimine
Schrader parte in quarta e dedica la sequenza iniziale al più estremo dei suoi tre moschettieri, quel Mad Dog di Willem Dafoe che ci viene mostrato in tutta la sua follia, fatta di imprevedibilità ed esplosioni di violenza. Ma dopo questo incipit più selvaggio e psicheledico, tra inquadrature azzardate e filtri colorati, si concentra sul Troy di Nicolas Cage lasciando che sia anche lui a dettare il tono del racconto: quando si focalizza sul personaggio di Cage che spiega come sia essere in carcere per poi uscirne e del legame con gli altri due protagonisti, lo stile si fa più classico, il tono diventa da noir e la narrazione si fa più personale. Dei tre è infatti Troy quello che potremmo considerare il vero protagonista di Cane mangia cane, ma la maggior introspezione che ci viene offerta non è abbastanza da permetterci di empatizzare con lui, distratti come siamo dai continui cambi di registro di un film che cerca di essere tutto senza trovare una sua strada sicura e solida.
Crisi di identità
Il film di Paul Schrader, infatti, è fatto di grandi momenti di travolgente follia e funziona meglio quando si lascia guidare dagli eccessi di Mad Dog, ma fatica ad inserirli in un contesto generale coerente e compatto, vivendo di anime diverse che stentano a conciliarsi. Cane mangia cane oscilla tra momenti da commedia nera e vero e proprio dramma, ma non è mai né realmente divertente, né sufficientemente profondo. Allo stesso modo la componente più oscura della trama non è mai abbastanza spiccata da poterlo considerare un thriller. Ciononostante è un film che non annoia mai, ma di cui possiamo apprezzare singoli aspetti piuttosto che il suo insieme, dalla messa in scena di alcune sequenze memorabili alla prova di interpreti dei suoi protagonisti, da Cage e Dafoe a Christopher Matthew Cook che completa il terzetto nel ruolo di Diesel. È un film che rifiuta di ingabbiarsi in un genere, ma finisce per pagare lo scotto di questa sua anarchia stilistica.
Movieplayer.it
3.0/5