Gianni Amelio è un fiume in piena. Il ritorno in concorso con il suo nuovo lavoro, Campo di battaglia, in uscita il 5 settembre con 01 Distribution lo rende incredibilmente ciarliero. Il racconto della genesi del film diventa perciò un flusso di coscienza in cui il regista, accompagnato dal suo cast mescola aneddoti e ricordi. "Io ho un modo di lavorare non condiviso dagli altri registi. Io non penso, sento" esordisce Amelio. "Non parto da idee a tavolino, scrivo e riscrivo le sceneggiature che continuano a mutare e ad evolversi anche sul set. Ormai i miei attori non si sconvolgono più, anzi, se ogni giorno non gli facessi arrivare una scena nuova si preoccuperebbero".
Il campo di battaglia a cui fa riferimento il titolo del film di Amelio non è solo quello della Prima Guerra Mondiale, epoca in cui la storia è ambientata, ma allude all'ospedale in cui si consuma lo scontro silenzioso tra il medico militare interpretato da Gabriel Montesi, che ha dichiarato guerra ai soldati che si fingono malati per tornare a casa, e quello incarnato da Alessandro Borghi, che li assiste segretamente per permettergli di sfuggire al conflitto. I due si contendono, inoltre, l'affetto dell'infermiera Anna, che ha abbandonato gli studi medici per via dell'ostracismo nei confronti delle donne. Ad aggravare ulteriormente questa situazione di tensione interviene lo scoppio dell'epidemia di Spagnola, che trova tutti impreparati.
Il cinema come un tempio
Nonostante il tema bellico, Campo di battaglia lascia la guerra mondiale nel fuori campo e ne esplora le conseguenze mostrando i soldati feriti e i civili impoveriti e prostrati dal conflitto: "Ho scelto di fare un film di guerra senza la guerra perché le immagini di guerra sono ormai usurate tanto da sembrare irreali" spiega Gianni Amelio. "Dopo tutto quello che la televisione ci mostra siamo assuefatti alle immagini di morte. Il mio non è un film di guerra, ma è un film sulla guerra e la scelta di non mostrare il conflitto lo rende ancora più drammatico". Il regista ribadisce poi la necessità di vedere un'opera come la sua sul grande schermo per apprezzarne ogni singola sfumatura: "La sala cinematografica per me è un tempio e va onorata, perché quando si entra si dovrebbe ricevere delle emozioni uniche. Dobbiamo preservare questa esperienza".
Per conservare l'unicità del suo cinema, Amelio si è rivolto stavolta al libro di Carlo Patriarca, La sfida, testo a metà tra saggio e romanzo che ha adattato elucubrando idee nella cucina di casa sua insieme al fido co-sceneggiatore Alberto Taraglio: "La storia è nata dal nulla. Abbiamo trasformato idee in personaggi in carne ed ossa e poi abbiamo aggiunto l'ospedale. Nel film la guerra non si svolge al fronte, ma in un ospedale e diventa tanto più violenta all'arrivo della Spagnola quando le poche certezze dei personaggi vengono spazzate via definitivamente".
L'esperienza del cast
Essere diretti da Gianni Amelio è un'impresa decisamente impegnativa. A testimoniarlo è Alessandro Borghi, che rivela come il suo coinvolgimento in Campo di battaglia sia avvenuto un anno e mezzo prima dell'inizio delle riprese. "Non ho mai conosciuto nessuno come Gianni" confessa l'attore. "Lui è la benzina di tutto il processo creativo. Non ti fa intervenire a cose fatte, ti responsabilizza e ti rende parte del processo. Questa cosa è proseguita sul set dove ogni giorno aveva nuove idee sulle scene, ma se viene fatto un buon lavoro prima dover cambiare la direzione ti permette di scoprire aspetti che non avevi considerato. In un'industria che ragiona sempre più solo di numeri e visualizzazioni, l'entusiasmo di Amelio è qualcosa che vedo sempre più raramente".
Emozionatissimo, Gabriel Montesi aggiunge: "Gianni mi ha spiegato il valore dell'inquadratura. Mi piace essere libero come attore, ma lui mi ha guidato e mi ha permesso di entrare in contatti anche coi lati del mio personaggio che non apprezzavo". Gli fa eco Federica Rosellini, che rievoca il suo impegno a calarsi nei panni dell'infermiera Anna. "I nostri personaggi fuggono da qualcosa, soprattutto Anna" spiega, definendo l'infermiera un "personaggio inafferrabile perché lei è la prima a non definirsi e a non comprendersi. Anna è anche gli occhi del pubblico, è il ponte dello sguardo in cui lo spettatore può specchiarsi per capire e prendere posizione".
Tutto il cast è concorde nell'apprezzare la scelta di Gianni Amelio di realizzare un film che pone domande più che fornire risposte. "Tra i tanti temi del film per me il più importante è la relatività di cosa sia giusto e sbagliato" dice Borghi."Nel corso della storia il mio personaggio viene mostrato come il buono di turno, ma tutto è relativo. Il suo metodo è poco ortodosso, come reagirebbe un genitore a vedersi tornare a casa il figlio senza una gamba? Il film ti spinge a riflettere, ma non prende posizione".