Anche il contenuto di una semplice tazzina scomoda la questione dei punti di vista. Cos'è il caffè? Una bevanda profumata, ricca di aromi e sfumature, sintesi della spinta vitale o più semplicemente acqua nera, liquido pieno di amarezza? La domanda sembra insolita, il dilemma appare poco importante, ma in Caffè diventa fondamentale. Sfruttando il caffè come MacGuffin, puro e semplice espediente narrativo, il film di Cristiano Bortone racconta tre storie legate dalla caffeina e mosse da desideri di rivalsa, sogni goffi e cambiamenti radicali.
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione "Giornate degli Autori", Caffè rappresenta la prima co-produzione tra Italia e Cina, ma soprattutto un raro tentativo di proporre un racconto dall'ampio respiro corale nel nostro cinema. Uno sforzo pregevole non ripagato appieno da un film dai tanti retrogusti, dove i temi scomodati sono troppo impegnati per essere diluiti in diversi capitoli. Perché tra Italia, Cina e Belgio, Caffè ci parla di integrazione, razzismo, pregiudizi, disoccupazione e gerarchie sociali. Troppi ingredienti per un solo film, troppi sapori per una sola tazzina.
Desideri inespressi
Seppur distanti migliaia di chilometri, i personaggi di Caffè sono uniti da qualcosa. Il caffè, come detto, è solo un pretesto per dipingere un panorama umano impregnato di insoddisfazione, un deus ex machina che tra caffettiere da ritrovare, sacchi da rubare e piantagioni dove tornare, muove l'azione e motiva tutti i protagonisti. E come fossimo davanti a diverse dosi di zucchero, questa infelicità aumenta o si attenua a seconda della storia che guardiamo, con un livello di gravità che ondeggia al cambiare delle linee narrative.
In Italia Renzo e Gaia aspettano un figlio e soprattutto un lavoro dignitoso, in Belgio il commerciante iracheno Ahmed viene derubato ed è intenzionato a riprendersi quello che è suo, mentre in Cina troviamo Fei, un affermato manager costretto ad affrontare scelte impreviste ma decisive. Bortone abbozza il carattere di tutti e ne rappresenta le intenzioni attraverso i loro desideri. A tutti loro manca qualcosa (il lavoro, l'accettazione altrui, la felicità autentica), a tutti serve un pezzo per sentirsi persone davvero compiute.
Cremoso, amaro, annacquato
Questo bisogno impellente di completezza, perlomeno in due delle tre storie, assume presto contorni drammatici. L'incapacità di una ricerca armonica della propria felicità fa sfociare Caffè nella violenza, con i suoi personaggi che ci appaiono maldestri quando voglio perseguire i loro scopi. Bortone tenta di conciliare uno sguardo sulle brutture sociali con un'attenzione intima ai suoi protagonisti, ma ci riesce a tratti, non aiutato da una coralità potenzialmente significativa ma che alla fine sfilaccia le emozioni del film.
Sul nobile esempio di opere come Babel e Crash - Contatto fisico, Caffè aspira ad abbracciare tante vite senza però riuscire a coglierle tutte come meriterebbero. L'aspetto migliore rimane la capacità di fornire ad ogni storia, o meglio ad ogni luogo, un suo tempo e un suo stile di racconto. Se in Belgio emerge con veemenza l'odio razziale, in Italia assistiamo alla disperazione dei precari, mentre in Cina si venera il passato, là dove tutto è più dilatato, lento, pensato per essere goduto. Il regista romano dà così un aroma diverso ad ogni sua storia e invita il pubblico a sedersi per una pausa dove la dolcezza va ricercata nel fondo del caffè. E delle persone.
Movieplayer.it
2.5/5