Non si può non emozionarsi in un incontro stampa con M. Night Shyamalan, il regista che ha riscritto le regole dell'horror e del thriller per farne qualcosa di proprio, intimo, familiare. Proprio dalla famiglia è partita la chiacchierata con il regista di origine indiana naturalizzato statunitense. Un percorso che si è evoluto dai suoi primi film - da Praying with Anger (1992) e Ad occhi aperti (Wide Awake) (1998) e il suo Il sesto senso (1999) al più recente Old (2021). Un family man insomma: "Spesso penso che se fossi single farei solamente film su un ragazzo che va da qualche parte e si ritrova in qualche disavventura... (ride) penso ci sia una sorta di santità della famiglia - sia essa una casa, oppure un nucleo, i figli, i genitori. Le mie figlie ora sono grandi e lasciano la casa. Non riesco ad essere sicuro al 100% che saranno al sicuro e questo film è una sorta di monito sulla domanda: ti puoi fidare di chi bussa alla tua porta?".
Dave Bautista ha parlato nell'ultimo anno di come voglia diventare un attore maggiormente drammatico e Shyamalan ha voluto l'occhio nello sceglierlo per il ruolo: "Sono interessato agli attori che riescono ad arrivare a qualcosa. Avevo visto Dave Bautista in Blade Runner 2049 e, sebbene abbia una piccola parte, ci ho visto qualcosa in lui. Il ruolo di Leonard era scritto per un gigante che è innocente come un bambino. Non lo conoscevo da prima, non sapevo del wrestling e della sua vita, ma lo trovai meraviglioso e dopo il film ne ho la conferma. Dev'essere interessante, pensai, essere così grande e capace di ucciderci potenzialmente con un pugno (ride), ma allo stesso tempo sapere che quando parla con gli altri si sente responsabile di proteggerli. In fondo ha 50 anni e bisogna essere coraggiosi".
M. Night Shyamalan e la religione
La religione ha sempre fatto parte della vita di M. Night Shyamalan: ha frequentato una scuola cattolica e i suoi genitori sono indu, sua madre fin da piccolo gli diceva sempre di andare nella stanza della preghiera e coprirsi il capo di cenere. Bussano alla porta è un film sul credere più che sulla fede: "Tutti noi crediamo in qualcosa, bisogna riconoscere il dolore nel credere e la vulnerabilità nel farlo. Ora ho una diversa consapevolezza e non avrei potuto raccontare la stessa storia di quando ero ventenne con Il sesto senso. L'esperienza e la vita ti cambiano le prospettive, è cambiato anche il mondo nel frattempo. Nella bellezza, per arrivarci, c'è molta bruttezza e molte cicatrici. Lo dico sempre ai giovani registi che bisogna saper trovare un equilibrio quando si fa un film, nelle proprie opere e nelle proprie storie. Non ci dev'essere una polarizzazione di luce e oscurità. Non bisogna dire che c'è solo la luce perché non è così, la pellicola non può sempre finire con il grande touchdown e il ragazzo che porta a casa la vittoria all'ultimo secondo".
E aggiunge: "Sono affascinato dalla mitologia religiosa, se fosse reale come si manifesterebbe nel nostro mondo, qui ad esempio ci sono i quattro cavalieri dell'Apocalisse, che fino a quel momento si sentivano insignificanti. Si tratta di figure bibliche confuse e perse, sono delle persone normali alla fine. Io sono diventato dipendente in un certo senso da quel sentimento. Siamo importanti noi esseri umani, come nucleo familiare o come singoli individui. Venire a Roma a presentare il film, la città del Vaticano e del Papa, mi ha fatto riflettere: quali sono le storie in cui crediamo? Tutti cercano un significato specialmente oggi e hanno difficoltà nel trovarlo".
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M. Night Shyamalan e l'Apocalisse
Per questo film Shyamalan ha deciso di utilizzare il vecchio linguaggio del cinema, chiedendo il vecchio logo a Universal Pictures che distribuisce il film: "C'era un linguaggio più vecchio, delle lenti molto grandi, ingombranti e pesanti. La macchina da presa non poteva andare dovunque come il dolly ma l'ho fortemente voluto e l'ho preferito. Preferisco limitare gli strumenti a disposizione anche coi compositori e con gli altri sul set. Limitare la tavolozza di colori per riuscire a tirare fuori qualcosa di nuovo. Quando trovi inconsistenze in un film vuol dire che forse ha avuto troppa libertà in un certo senso. Come spettatore, devi percepire integrità in tutte le scelte del regista".
Bussano alla porta sembra continuare il discorso apocalittico di E venne il giorno: "Lì il destino dell'umanità era già deciso all'inizio del film e vedevamo le conseguenze, qui invece sono gli umani a deciderne il fato. Mi è stato chiesto se è cambiato il mio punto di vista sull'umanità e magari è così. Tutti noi siamo capaci di scelte impossibili e di scelte orribili in determinate circostanze, come in guerra, nel bene e soprattutto e bel male. Dobbiamo avere quel tipo di perdono verso noi stessi dentro di noi. Non siamo sicuri che ne valga la pena però è quello che lasciamo ai nostri figli".
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Bussano alla porta, le differenze con il libro
Dopo Old, ancora una volta M. Night Shyamalan si basa su una storia già scritta e non di suo pugno. Il film è infatti un adattamento del romanzo del 2018 La casa alla fine del mondo di Paul Tremblay. Ha spiegato come siano storie che lo hanno colpito, per tematiche affini alla sua poetica, dove poi cerca di portare le sue idee e il suo vissuto. C'è una combinazione irrazionale di elementi che lo porta a scegliere: "Di quest'ultimo film ho adorato la scelta di Sophie che c'è al centro del racconto. Volevo raccontare una differente versione della storia, non farne solamente un adattamento. Volevo raccontare di quando non esiste una risposta buona o giusta ma devi farla per forza. Un po' come in La parola ai giurati: bisogna portare i personaggi a scegliere qualcosa che non avrebbero mai scelto".
Continua Shyamalan: "Non sono sicuro ci sia differenza tra la paura dell'Apocalisse e le scelte degli esseri umani per essere arrivati al mondo in cui viviamo. Non so se conoscete la storia di Ishmael, un migrante chiamato scimmia che parlando con un altro uomo gli dice 'Avete sbagliato quando avete inventato la religione e pensavate di essere più importanti di noi. Nel film si tratta di credere nel proprio partner nella vita. Fidarsi. Nel libro sostanzialmente non compiono una scelta. Sarebbe stato disonesto per me come regista non farla data la domanda posta all'inizio della storia. Come ne La parola ai giurati".
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Bussano alla porta e il Covid
L'isolamento in cui si trovano i protagonisti di Bussano alla porta non può non far pensare all'isolamento che abbiamo vissuto negli ultimi tre anni a causa della pandemia: "Quando pensiamo a quello che ha fatto il virus, quanto ci siamo sentiti fragili e vulnerabili, è incredibile. Io ad esempio pensavo ai miei genitori, a come il comportamento disattento di altri poteva portarmi a prendere il virus e passarlo a loro, rischiando di farli addirittura morire. La loro vita era nelle mani degli altri ed è un pensiero difficile, abbiamo vissuto una sorta di crisi esistenziale mondiale, siamo stati pieni di paura. Basti pensare alla nostra reazione se qualcuno tossiva o starnutiva, non solo estranei ma anche membri della famiglia che non fossero del nucleo familiare più ristretto. O il cane di mia sorella che mi leccò la mano. Penso sia un periodo che ci ha insegnato molto, a scegliere la famiglia, quella ristretta, prima di tutto il resto".
Conclude: "Dal canto mio, essendo uno scrittore sono abituato a lavorare da solo e l'isolamento mi ha permesso di rilassarmi e godermi del tempo per me stesso. Avevo comunque i miei figli, i miei genitori e mia sorella vicino e sono stato fortunato in questo. Altri non hanno avuto questa fortuna".