Dissacrante, anticlericale, antiborghese. Luis Buñuel è passato alla storia per le sue idee radicali e una visione anarchica della settima arte votata alla scomposizione spietata della realtà e avulsa dagli intransigenti dogmi della morale, soprattutto cattolica. I manuali di cinema lo annoverano tra i principali esponenti del surrealismo, uno dei maestri del cinema spagnolo che fece della provocazione la cifra dei primi lavori da Un chien andalou - Un cane andaluso realizzato insieme all'amico Salvador Dalì all'eretico L'âge d'or, film messo al bando subito dopo la sua uscita. Non parte invece dall'immagine dell'artista brillante il ritratto di Salvador Simó, in sala dal 5 marzo dopo aver trionfato agli European Film Awards 2019 come miglior film d'animazione (potrete leggere di più nella recensione di Buñuel - Nel labirinto delle tartarughe). L'esperimento basato sull'omonima graphic novel di Fermín Solís ne restituisce una dimensione più intima e umana, concentrandosi su un giovanissimo Buñuel ancora alla ricerca di uno stile e un linguaggio propri. Un'animazione stilizzata e dal tratto deciso, elementare, bidimensionale, capace nella sua semplicità di restituire tutta la carica visionaria di uno dei più indomiti pionieri della libertà d'espressione.
Una trama tra animazione e immagini del reale
La storia di Buñuel - Nel labirinto delle tartarughe ripropone uno spaccato della vita di Buñuel non ancora famoso: è il 1930, l'uscita del suo primo lungometraggio L'âge d'or ha provocato l'indignazione della società clericale e borghese dell'epoca e il giovanissimo cineasta spagnolo decide di prendere le distanze da Salvador Dalì con il quale un anno prima ha scritto e prodotto uno dei manifesti dell'avanguardia surrealista, il cortometraggio Un chien andalou. Lo chiamano l'eretico spagnolo, lo scandalo provocato da L'âge d'or non si placa e nessuno è disposto a finanziare un nuovo progetto a cui da tempo pensa: un documentario ambientato in una delle zone più povere e depresse della Spagna, Las Hurdes nell'Extremadura, al confine con il Portogallo, un cumulo di rocce e case scavate nella pietra, un labirinto di tetti che "ricordano gusci di tartarughe" e dove la popolazione combatte ancora con malattie come il gozzo, la malaria e la dissenteria.
Sarà solo grazie alla generosità dell'amico Ramón Acín, che alla lotteria di Natale vince 150 mila pesetas, se Luis potrà nel 1932 cominciare a lavorare al film che sarebbe uscito nelle sale con il titolo Terra senza pane.
La narrazione di quell'avventura, che avrebbe segnato una svolta nella sua carriera e nel modo di concepire il surrealismo, si rivela sin dall'inizio un affresco suggestivo e affascinante soprattutto per alcune scelte stilistiche: dall'essenzialità del disegno alla trovata di combinare insieme animazione e spezzoni di immagini del documentario di cui il film racconta le riprese.
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Le contraddizioni del personaggio Bunuel
L'irruzione del reale nel flusso del racconto animato rappresenta uno dei momenti più toccanti del film, quelli in cui l'animazione di Salvador Simó si dimostra un'operazione coraggiosa e di rara libertà espressiva, che passa al vaglio alcuni nodi irrisolti del passato di Luis, mettendone a fuoco la controversa personalità: il rapporto con Dalì e quello complicato con la figura paterna austera e anaffettiva, la sua formazione religiosa e poi la dissacrazione dei modelli borghesi.
A livello stilistico gli aspetti più estremi del Buñuel personaggio si traducono nella distorsione degli incubi notturni o in ricorrenti immagini surreali e non ci si ferma neanche davanti alle sue scelte più estreme come le scene ricostruite ad arte delle capre che cadono dalle mulattiere o del mulo in fin di vita dopo l'aggressione dell'alveare che portava in groppa. Perché, diceva Buñuel, "la morte si nasconde in ogni angolo e non uscirà se non la facciamo vedere", aiutandola con degli escamotage: sparare un colpo secco per girare la prima delle due scene o liberare delle api per realizzare la seconda. La narrazione procede, seppur con qualche lentezza, raccontando gli inciampi a volte rocamboleschi della piccola troupe in un territorio inospitale come Las Hurdes. Gli stralci delle immagini grottesche di quel documentario insieme alla poesia del disegno regaleranno momenti di inattesa commozione.
Conclusioni
Non possiamo concludere la recensione di Buñuel - Nel labirinto delle tartarughe senza l'invito ad andarlo a vedere. Ne uscirete arricchiti negli occhi e nella mente; l'animazione di Salvador Simó, non è un film per bambini, è opera d'arte nel senso più colto del termine e di difficile fruizione per il pubblico dei più piccoli. Il surrealismo delle immagini, il senso del grottesco che spesso ne deriva, producono quella grazia e commozione che rimarranno a lungo accanto allo spettatore, come la voglia di vedere (o rivedere per chi lo ha già fatto) "Terra senza pane", il documentario di Luis Bunuel di cui il film racconta genesi e riprese.
Perché ci piace
- Efficace la trovata di combinare il disegno animato con alcune scene del documentario di cui il film racconta le riprese.
- L'animazione contribuisce a definire la dimensione umana dell'artista, scavando nel suo intimo e traducendone le paure in immagini distorte.
- La capacità di spiegare la complessità dell'opera del regista spagnolo anche a chi non lo conosce.
Cosa non va
- Adatto a un pubblico adulto, ma i meno avvezzi alle sperimentazioni potrebbe rimanere deluso.