Qualcosa di nuovo per la saga. Qualcosa di familiare per il pubblico. Bumblebee si ferma qui, a metà strada tra il bisogno di cambiare pelle e il desiderio di regalare allo spettatore qualcosa di rassicurante. Dopo cinque film e dieci anni stracolmi di roboanti avventure robotiche, il franchise di Transformers aveva bisogno di essere fedele al suo stesso nome e alla sua stessa natura: doveva cambiare, evolversi, cercare nuove strade. La saga stava iniziando ad avere il fiato corto, complice anche un quinto capitolo non proprio esaltante e con incassi al di sotto delle aspettative. E così nel 2018 arriva Bumblebee a mettere in chiaro le cose. A ricordarci come si rinnova un franchise in modo coerente, sensato e vincente. È successo con un film ibrido, una via di mezzo tra il prequel e lo spin-off, capace di fungere sia da capitolo autosufficiente che di allargare la mitologia della saga. Oggi, in occasione dell'arrivo di Bumblebee su Infinity, cerchiamo di capire cosa rende il film di Travis Knight lo spin-off ideale.
Una storia più piccola
Con Michael Bay in cabina di regia la saga di Transformers era stata ovviamente plagiata dal tocco di un autore esagerato in tutto. Gli enormi robot di casa Hasbro si sono sempre prestati alla messa in scena esorbitante di Bay, stracolma di un'azione talmente esasperata, roboante ed esplosiva da diventare a tratti nauseante e confusionaria. Consapevole di questo, Bumblebee sembra iniziare sugli stessi binari della tradizione, grazie a un prologo epico e spettacolare, per poi trovare la sua strada. Quell'incipit così familiare per il pubblico sembra quasi un ultimo saluto al passato da cui trovare la forza propulsiva verso qualcosa di nuovo. E così Travis Knight ha avuto la grande intuizione di abbassare l'asticella della spettacolarità per puntare tutto su una storia più piccola, più intima, con meno esplosioni e più silenzi, con meno azione e più abbracci. Il vero cuore pulsante del film batte nel rapporto tra Bumblebee e Charlie, due creature che in qualche modo si assomigliano.
La ragazza non riesce a integrarsi con i suoi coetanei, avverte la mancanza della figura paterna e si rifugia nel suo walkman (che ha gli stessi colori di Bumblebee, ovvero il giallo e il nero) pur di trovare la sua dimensione; Bumblebee è un fuggitivo, un robot costretto a scappare dal suo pianeta sotto assedio per cercare aiuto sulla Terra. I due sono personaggi in ricerca, con dei vuoti da colmare, e la loro amicizia così spontanea e sincera andrà a riempire proprio quelle voragini. Accade tutto in un film che racconta la loro intesa con grande semplicità, rievocando grandi classici come Il gigante di ferro, soffermandosi sulla sfera degli affetti. Questa è stata la piccola, grande rivoluzione di Bumblebee per la saga di Transformers: fare un passo avanti facendo un passo indietro.
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Citazioni e ammiccamenti
In apertura parlavamo della doppia natura di Bumblebee. Se il cambio di tono e di registro segna il grande passo verso la novità, il periodo in cui è ambientata la storia ha il sapore della nostalgia e del grande salto nel passato. Il film è ambientato nel 1987 e non si accontenta certo di essere un film sugli anni Ottanta, ma vuole quasi essere un film degli anni Ottanta. E ci riesce bene richiamando a più riprese i grandi classici dell'epoca. Con un mix equilibrato di avventura e buoni sentimenti, conditi da dialoghi immediati nella loro schiettezza, Bumblebee ha davvero un sapore simile a film come Corto Circuito e (per certi versi) anche E.T., con quell'amicizia inter-specie tra Charlie e il nostro robot giallo dagli occhioni espressivi a suggellare il tutto. La sensazione è quella di un rassicurante "ritorno a casa", di un balzo in quegli anni Ottanta che non vogliono proprio saperne di finire su grandi e piccoli schermi, dove vengono continuamente rievocati con tanta malinconia di quell'epoca spensierata. Bumblebee non si sottrae al gioco delle citazioni, sfrutta con grande furbizia la moda degli anni Ottanta, e crea un juke box colorato in cui canzoni cult, abiti e oggetti ci tuffano dentro un'epoca sempre stracolma di fascino. A condire il tutto anche una marea di citazioni cinefile, che scomodano i Gremlins e soprattutto quella perla assoluta di The Breakfast Club. Tutti ammiccamenti che ammaliano il pubblico creando un habitat comune tra personaggi e spettatori: quello della cultura pop.
La coerenza di fondo
Nonostante si allontani dal filone principale degli altri Transformers, Bumblebee non rinnega le sue origini, anzi affonda volentieri le sue radici nello stesso terreno degli altri film della saga. È come se il film tagliasse dei rami secchi per seminare novità nel brand, ma nel complesso si avverte sempre una coerenza di fondo che rende Bumblebee uno spin-off ideato con grande cura e lungimiranza. Ormai è da tanti anni che Hollywood sforna degli strani ibridi, a metà strada tra il reboot e il sequel. Film come Creed, Jurassic World o lo stesso Star Wars: Il risveglio della Forza sono pensati sia per accogliere un pubblico nuovo che per riabbracciare vecchi fan. Bumbleblee fa qualcosa di simile, ma con un balzo verso il passato della saga. In questo senso il film riesce ad allargare ancora di più la mitologia di Transformers, raccontandoci dettagli inediti sull'eterna lotta tra i Decepticon e il team capitanato dal mitico Optimus Prime. Pur essendo un film più piccolo, Bumblebee arricchisce la lore del franchise e soprattutto rinfresca il brand con una formula che gli garantisce un futuro. Un futuro aperto da un maggiolone giallo, capace di arrivare lontano, a metà strada tra fedeltà e indipendenza.