Sembra un folle raduno tra gli ultimi degli ultimi. Un incontro tra persone sfortunate che hanno perso, gambe, braccia, lucidità mentale, ma non la voglia di riscattare una vita mesta. Madre Natura si è davvero accanita con la banda messa su dal Papero, mendicante paraplegico al cui fianco ci sono l'amata e sensuale compagna senza arti superiori ma abilissima con le gambe (meglio nota come Ballerina), il fidato accompagnatore strafatto delicatamente soprannominato "il Merda" e l'abile scassinatore nano dalle improbabili doti canore rap, meglio noto come Plissè. I quattro sventurati, scarti degli scarti di un mondo che li ritiene invisibili, decidono di organizzare il colpo della vita in una banca di Roma dove vengono conservati soldi dalla dubbia provenienza. Il destino beffardo, però, non ha ancora finito con molti di loro, infatti qualcosa va più che storto e il piano dà il via ad un effetto domino fatto di disastri, altri arti amputati, tradimenti e doppiogiochisti.
La trama di Brutti e cattivi assomiglia ad una valanga inarrestabile, pronta a travolgere tutto e tutti: pubblico e personaggi. Il debutto alla regia di Cosimo Gomez dà vita ad un film scoordinato e sgraziato, dove, nonostante buone dosi di sfrontatezza e coraggio, il divertimento vero sembra più un privilegio del cast che del pubblico.
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Brutti e de-generi
I primi venti minuti di Brutti e cattivi sono esilaranti e promettenti. Con un ritmo narrativo tachicardico, ispirato a quello del cinema sovraeccitato di Guy Ritchie, l'opera prima di Gomez non si perde in utili preamboli e ci presenta tutta la sua banda di sgangherati mettendo subito le cose in chiaro: stiamo per conoscere dei personaggi follemente sopra le righe, incattiviti, sudici e scurrili. Il capobanda è un Claudio Santamaria che, quasi per contrappasso, perde tutti i superpoteri del suo ormai iconico Enzo Ceccotti apprezzato in Lo chiamavano Jeeg Robot, e riabbraccia Roma nei fetidi panni di un uomo più che depotenziato, senza gambe e dimenticato da tutti.
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Attorno a lui, invece, si muove un mondo scellerato, dove mafia asiatica e predicatori discutibili vivono di prevaricazioni e doppi giochi. La scintilla che smuove Brutti e cattivi è una rivalsa sociale prima che personale, è la presunta rivincita dei reietti che sputano in faccia al sistema precostituito, dominato dal socialmente accettabile. Tutti i personaggi di Gomez sono volutamente esasperati nel look come nei comportamenti, schegge impazzite che sembrano uscite da un film dei fratelli Farrelly. Tra commedia e caper movie, Brutti e cattivi racconta come, talvolta, cattiveria e ingegno vadano a braccetto, complici la cui convivenza è capace di raggirare l'ingenuità di chi crede ancora negli interessi del gruppo e non del singolo.
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Il troppo storpia
La figura del freak è molto lontana dalla nostra cultura, in grado di evocare immaginari legati agli Stati Uniti e all'Inghilterra di fine Ottocento. Storie di circhi e di fango, di disadattati e di società rigide, allergiche al deforme e al difforme. Ecco, una delle mancanze di Brutti e cattivi è proprio quella di non contrapporre alcuna "normalità" al suo gruppo di antieroi. La scelta di rendere tutto strano, paradossalmente, rende strano quasi niente. Questa esasperazione di bruttezza e di volgarità depotenzia la presunta forza anarchica di un film che sembra avere il ciclo di vita un mediometraggio. Se la prima metà di Brutti e cattivi diverte e intriga per il suo approccio sfrontato e originale, la seconda diventa sterile, priva di empatia per le sorti dei personaggi, dando quasi la sensazione di una strana assuefazione a quella continua esibizione di stravaganza. Di buono resta il coraggio di portare la commedia italiana in territori inediti e inesplorati, deridendo il politicamente corretto e scardinando ogni pigra abitudine del nostro cinema. Un tentativo lodevole per un risultato zoppicante. Un film freak, più che un film sui freak. Strambo, coraggioso, ma vincolato ai suoi limiti.
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2.5/5