Degli show creati e patrocinati da Shonda Rhimes (Grey's Anatomy, Le regole del delitto perfetto, Scandal...) si potrebbe parlare per ore, evidenziandone virtù e difetti, discutendo le opinioni di chi li difende a spada tratta come quelle di chi, invece, ne è un fervente detrattore. Una cosa è certa, però, non si può dire che la prolifera sceneggiatrice e produttrice statunitense non sappia come catturare e intrattenere il suo pubblico, colpendo nervi scoperti e toccando le corde più delicate dentro ognuno di noi. Se poi la suddetta signora - fondatrice della casa di produzione Shondaland - decide di mettere le mani sui romanzi di una delle autrici più conosciute ed amate di letteratura rosa ad ambientazione storica, Julia Quinn, un risultato quantomeno interessante è assicurato. Dal sodalizio tra la Rhimes e Netflix, un accordo pluriennale di cui sono già stati annunciati ben otto progetti, nasce una delle prime serie televisive ispirate a questo genere di romanzi, spesso snobbati ed osteggiati ma capaci di attrarre un vastissimo pubblico: come scopriremo in questa recensione di Bridgerton, disponibile sulla piattaforma streaming dal giorno di Natale, la serie basata su Il duca ed io (primo capitolo di una serie composta da otto romanzi, tutti dedicati ai membri della famiglia del titolo) è uno strano e particolarissimo miscuglio tra Downton Abbey, Scandal e Gossip Girl, qualcosa che non ci saremmo mai aspettati potesse davvero funzionare e che invece è riuscito a catturarci trascinandoci in un coloratissimo vortice di amori passionali, scandali e segreti, sullo sfondo di una Londra ottocentesca - quella del periodo Regency - fatta di balli sfarzosi e pettegolezzi scambiati a bassa voce tra una tazza di the ed un biscotto al burro.
Bridgerton, narrata nella versione originale da una voce iconica come quella di Julie Andrews, riesce a prendere le atmosfere a cui i romanzi di Jane Austen ed i loro adattamenti ci hanno abituati, mettendo però un po' da parte l'aderenza storica per attualizzarle e, nel toccare temi come le differenze di classe e - soprattutto - il ruolo della donna nella società, cercare il confronto con la contemporaneità. La serie creata da Chris Van Dusen trova infatti la sua forza nelle sue protagoniste femminili, figure magnetiche che mettono costantemente in discussione i limiti che il proprio mondo gli impone, cercando l'amore più che la convenienza o desiderando essere qualcosa di più che solo mogli e madri. Bridgerton riesce a mettere insieme davvero tanti elementi - dal romanzo rosa prende le scene molto passionali, a cui siamo così poco abituati in prodotti in costume di questo tipo - e riesce a trovare un suo particolare equilibrio: una serie che forse a tratti è fin troppo sopra le righe, ma che ci ha profondamente divertito e che per noi è diventata velocemente un imperdibile guilty pleasure.
Scandali e pettegolezzi nella Londra ottocentesca
La storia si apre all'inizio della stagione (in questo caso quella del 1813), periodo dell'anno in cui le ragazze nobili in età da marito vengono presentate in società con la speranza di essere accalappiate dallo scapolo di turno. Della numerosa famiglia Bridgerton, la prima a sottoporsi a questo importante rito di passaggio è la bellissima Daphne (Phoebe Dynevor), figlia perfetta dalle ottime prospettive di matrimonio: ma anche quello che viene definito il "diamante della stagione", che sembra essersi guadagnato in un attimo il favore della Regina, non è immune al pettegolezzo e allo scandalo.
In una società rigida come quella della Londra ottocentesca basta davvero pochissimo perché la reputazione di una signorina per bene venga rovinata per sempre: la presenza di un fratello iperprotettivo e l'arrivo di uno spasimante troppo appiccicoso, dalle cui avance la povera Daphne farà di tutto per liberarsi, rischiano di comprometterle il futuro. L'entrata in scena dell'affascinante Duca di Hastings, Simon Basset (Regé-Jean Page), è proprio ciò di cui la nostra protagonista ha bisogno. L'innocente debuttante e lo scapolo impenitente (definito da tutti rake, un libertino) decidono di stringere un accordo molto particolare: facendo credere che tra i due è in corso un corteggiamento, lui si leverà di torno le assillanti matrone a caccia di marito per le figlie, lei, invece, avendo catturato l'attenzione di un Duca attirerà anche quella dei migliori partiti della società londinese. Un piano apparentemente perfetto, e che dà subito i primi frutti, ma che non potrà essere portato avanti troppo a lungo se nella particolare amicizia creatasi tra i due si faranno spazio degli inaspettati sentimenti. A fare da contorno alla storia dei due protagonisti anche quella degli altri membri della famiglia Bridgerton, i fratelli e le sorelle di Daphne, e della famiglia Featherington, in particolare della giovane ed innocente Penelope (da sempre innamorata di Colin Bridgerton) e di Marina Thompson, lontana parente arrivata in città proprio per la stagione.
A portare confusione nelle vite di tutti questi personaggi la presenza della misteriosa Lady Whistledown (Julie Andrews), una dama - di cui nessuno conosce la vera identità - che pubblica nelle pagine del suo giornale i più sordidi pettegolezzi della nobiltà. Una nemica pericolosa ma anche una formidabile alleata per le nostre protagoniste, che facendo arrivare alle sue orecchie voci e segreti riusciranno a manipolare la situazione per raggiungere i propri obiettivi. Infatti, come ci dice la madre di Daphne, Lady Violet Bridgerton (Ruth Gemmell), le donne per risolvere i loro problemi - e decidere delle proprie vite - possono fare solo quello gli riesce meglio: parlare!
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Storie di donne tutte diverse
Come dicevamo, il punto di forza di questa storia sono proprio i suoi personaggi femminili: donne molto diverse tra loro ma che ci forniscono, un tassello dopo l'altro, un ritratto completo di quello che significava vivere in una società del genere. Tra loro abbiamo la nostra protagonista, Daphne, che si trova costretta a mettere da parte il sogno di sposarsi per amore per mantenere le aspettative che la società ha su di lei, c'è poi sua sorella Eloise, che vorrebbe altro nella vita ma è consapevole di non poter realizzare i propri sogni, e Marina Thompson (Ruby Barker), obbligata a prendere decisioni difficili per poter vivere una vita dignitosa. Più la visione procede e più ci rendiamo conto di come i personaggi femminili di questa serie finiscano inevitabilmente per mettere in ombra quelli maschili: proiettate verso la modernità le prime, ancorati al passato - e a principi ingombranti come tradizione e onore - gli altri. Alle donne di Bridgerton il proprio ruolo comincia a stare stretto, e sono abilissime nel trovare piccoli escamotage per guadagnarsi un po' di libertà in più.
Anche l'importanza data alla sessualità - la serie è ricchissima di scene passionali, come è facile aspettarsi dall'adattamento di un romanzo di questo genere - non è sempre fine a se stessa, e può fornire spunti di riflessione sul ruolo della donna in questo tipo di società: cercando di non svelare troppo, uno degli snodi centrali della trama è proprio legato all'ignoranza di Daphne sull'argomento. La ragazza si ritrova ad incolpare la madre di non averla informata a dovere su una parte così importante della vita coniugale: non è un controsenso, ci chiediamo con lei, che l'unico compito di una moglie sia quello di produrre degli eredi ma che le giovani spose non abbiano alcuna idea di come questo accada? I frutti di una gravidanza indesiderata, e qui ci riferiamo alla storyline di un altro personaggio, sono considerati responsabilità e "colpa" della madre, anche se però per le giovani per bene il sesso è un argomento proibito e devono restare all'oscuro delle sue inevitabili conseguenze.
Se il mondo femminile dell'epoca è ben rappresentato, il discorso sulle differenze tra classi sociali rimane forse un po' troppo in superficie. A questo proposito ci è risultata piuttosto discutibile una scelta in particolare: l'Inghilterra che scopriamo in Bridgerton è multietnica, ed il colore della pelle dei personaggi non sembra mai determinare la loro posizione ed il loro ruolo in società. In un episodio però ci viene brevemente accennato come questa straordinaria inclusività dipenda dal matrimonio tra Re Giorgio III e la Regina Charlotte, dal colore di pelle diverso da quello del marito. Della nascita di questa società multietnica - in cui non sembra esistere alcun tipo di razzismo - non ci verrà più detto altro, e quindi ci ritroviamo con una spiegazione piuttosto semplicistica per un tema che a questo punto doveva essere approfondito molto di più. In questo caso, forse, sarebbe stato meglio lasciare il tutto in sospeso, senza cercare di giustificare per forza a livello di trama le scelte di cast.
Daphne, Simon e tutti gli altri
A rendere davvero piacevole la visione della serie contribuisce la coppia di protagonisti, legati sullo schermo da un'affinità davvero palpabile, che ci coinvolge ancora di più nella vicenda. Daphne risulta tra i due quella meglio caratterizzata, ma anche Rege-Jean Page nel ruolo di Simon fa del suo meglio per dare spessore al suo personaggio (che risente un po' della sceneggiatura più incentrata sulla sua coprotagonista).
I personaggi secondari e le loro storyline, invece, non sempre ci hanno convinto appieno, forse perché in certi casi sembrano essere state inserite in questa prima stagione un po' forzatamente, forse solo per porre le basi di quanto accadrà nelle prossime. Se la serie di Chris Van Dusen continuerà a seguire il canovaccio dei romanzi di Julia Quinn nelle prossime stagioni ci troveremo infatti a seguire le vicende amorose di tutti i fratelli e le sorelle Bridgerton, da Anthony (la prossima) fino a Gregory.
Il guilty pleasure perfetto
Menzione speciale va fatta tanto alle scenografie che, soprattutto, ai costumi creati per la serie: in mano a Ellen Mirojnick i personaggi di Bridgerton vengono vestiti da abiti che sono un vero piacere per gli occhi, e contribuiscono a dare spessore e completezza al mondo effervescente e colorato in cui si muovono. I capi indossati dalle protagoniste femminili, pur seguendo il medesimo stile, sono tutti diversi e ne rispecchiano carattere e inclinazioni: dall'innocenza di Daphne, all'indole ribelle di Eloise e all'eccessiva ostentazione dei membri della famiglia Featherington.
Bridgerton, che consigliamo di vedere nella versione originale con una narratrice del calibro di Julie Andrews (la voce italiana risulta invece un po' troppo affettata), è una serie che potrebbe attrarre e piacere anche ad un pubblico che generalmente non si approccia a questo tipo di prodotti. Come dicevamo inizialmente, lo show di Van Dusen riesce a trovare un equilibrio unico e particolare, bilanciando il suo tono vivace e il suo essere leggero e divertente con la volontà di dare spazio anche a temi importanti ed attuali, che diventano parte integrante della storia. Il guilty pleasure perfetto, come dicevamo, ma che è capace di darci anche qualcosa di più.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Bridgerton sottolineando per l'ennesima volta come questa serie Netflix ci abbia inaspettatamente catturato. Sicuramente a tratti fin troppo sopra le righe, come molti dei prodotti Shondaland ci hanno abituato, ma la serie creata da Chris Van Dusen ed ispirata ai romanzi di Julia Quinn si è rivelata un piacevole guilty pleasure capace di darci anche qualcosa di più.
Perché ci piace
- La trama molto coinvolgente.
- I personaggi ben costruiti ed approfonditi, soprattutto quelli femminili.
- I numerosi spunti di riflessioni, specialmente riguardo al ruolo della donna sia oggi che all'epoca, che offre.
- Gli splendidi costumi creati da Ellen Mirojnick.
Cosa non va
- I personaggi maschili restano purtroppo un po' in secondo piano.
- Il discorso sulle differenze tra classi sociali non viene sviluppato a dovere.