È stato un risveglio traumatico per tutta Europa: quello di un venerdì mattina che ha scaraventato nel panico le borse di mezzo pianeta, ha scatenato ironia o timori, frustrazione o esultanza a seconda dei casi, ha visto l'annuncio delle imminenti dimissioni del Primo Ministro David Cameron e, nella maggior parte dei casi, ha trasformato le prime pagine dei nostri quotidiani in carta per avvolgere il pesce. A dispetto dei sondaggi della vigilia e di giovedì sera, infatti, al referendum sulla Brexit, con il cinquantadue percento dei voti, ha prevalso il temutissimo leave.
Ovviamente, non vogliamo addentrarci qui in riflessioni di natura politica o finanziaria: fatto sta che la notizia di una prossima (e probabilmente inevitabile) uscita del Regno Unito dall'Unione Europea resterà senza dubbio fra i maggiori eventi di questo bizzarro 2016. Una notizia che ha suscitato reazioni contrastanti e che, fra legittime preoccupazioni e qualche tentativo di 'sdrammatizzare' la portata dell'evento sui social media, ha contribuito a ricordarci anche quanto tutti noi siamo legati alla cultura britannica, incluso il suo cinema. E oggi, proprio in reazione alla prospettiva di un distacco di cui ancora nessuno può calcolare con precisione le effettive conseguenze, vogliamo ribadire il nostro amore per il cinema della Gran Bretagna, per i suoi autori e per le storie che ci ha raccontato e continua raccontarci.
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Quello che segue, pertanto, non ha alcuna ambizione di proporsi come un 'canone' (tanti, troppi gli assenti illustri), ma è semplicemente un elenco in ordine cronologico di quindici film che, in epoche diverse, attraverso generi diversi e con diverse modalità stilistiche e narrative, hanno saputo parlare al mondo della cultura e della società britanniche. Oggi, del resto, la settima arte è ancora il veicolo più efficace e immediato per esprimere lo spirito di una nazione: e quando pensiamo alla Gran Bretagna, un paese afflitto da profonde divisioni interne, costantemente sospeso fra innovazione e tradizione, la nostra mente non può non correre anche a molti di questi quindici grandi film. Quindici titoli dall'indiscutibile valore iconico che, Brexit o meno, continueranno a farci amare la Terra d'Albione...
1. Breve incontro (1945)
Perché questo classico di David Lean, ispirato ad una pièce teatrale di una delle penne più raffinate del teatro inglese del Novecento, Noël Coward, vincitore della Palma d'Oro (quando ancora si chiamava Grand Prix) al Festival di Cannes 1946 e arrivato al secondo posto nella classifica del British Film Institute dei migliori film britannici della storia, è semplicemente una delle più struggenti love story mai rappresentate sul grande schermo. Perché la cronaca dell'amore clandestino fra Laura Jesson, madre di famiglia della middle class britannica, e Alec Harvey, medico e a sua volta padre di famiglia, è descritta con un realismo e una profondità davvero commoventi. Perché Celia Johnson e Trevor Howard sono due protagonisti magnifici. Perché questo film stupendo rimane uno dei modelli più ammirati e imitati di melodramma capace di calarsi nella realtà della vita quotidiana e della gente comune.
2. Il terzo uomo (1949)
Perché il capolavoro del regista inglese Carol Reed, vincitore del Grand Prix al Festival di Cannes 1949 ed eletto nel 1999 il miglior film britannico di sempre dal British Film Institute, è uno dei più superbi esempi di cinema noir, anche grazie alla sua abilità nell'amalgamare il contesto storico dell'Europa post-bellica con le suggestioni letterarie derivanti dal romanzo di partenza, firmato dal grande scrittore Graham Greene. Perché l'indagine condotta dal romanziere americano Holly Martins in una Vienna dai contorni quasi onirici continua ad intrigare ad ogni nuova visione. Perché il misterioso Harry Lime impersonato da un memorabile Orson Welles, con il suo celeberrimo discorso sull'Italia del Rinascimento, rimane uno dei villain più riusciti della settima arte. Perché la fotografia espressionista in bianco e nero di Robert Krasker, premiata con l'Oscar, e la meravigliosa colonna sonora di Anton Karas si stampano in maniera indelebile nella memoria.
3. Lawrence d'Arabia (1962)
Perché David Lean, fra i massimi registi britannici di ogni tempo, realizza uno dei più straordinari kolossal mai visti sul grande schermo: una narrazione dall'ampio respiro epico che, nell'arco di quasi quattro ore di durata, ci racconta un capitolo fondamentale nella storia del Novecento. Perché il ritratto del famoso ufficiale inglese Thomas Edward Lawrence, soprannominato Lawrence d'Arabia, da parte dell'attore anglo-irlandese Peter O'Toole rimane una delle prove più iconiche del cinema dell'epoca. Perché ogni singolo elemento di quest'opera imponente, dagli attori impiegati nei ruoli secondari all'indimenticabile colonna sonora di Maurice Jarre, è orchestrato in maniera impeccabile. Perché questa pellicola ricompensata con sette premi Oscar, tra cui miglior film, ed eletta al terzo posto nella Top 100 del British Film Institute, non ha mai smesso di ispirare generazioni di cineasti e di spettatori.
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4. Kes (1969)
Perché Ken Loach, che pochi giorni fa ha festeggiato ottant'anni, poco dopo aver vinto la seconda Palma d'Oro della sua carriera, già mezzo secolo fa era una delle voci più intense e autorevoli di un cinema pienamente calato nella società della Gran Bretagna. Perché questo commovente racconto di formazione dedicato a Billy Casper, quindicenne vessato sia in famiglia che a scuola, e del suo istinto protettivo nei confronti di un piccolo uccello rapace non ha perso un grammo della propria forza originaria. Perché con questo suo primo successo di critica e di pubblico, datato 1969, Loach ha insegnato al mondo che la settima arte aveva anche la potenzialità di parlarci della realtà e dell'umanità che ci circondano, e di aiutarci a comprendere entrambe in maniera più nitida e consapevole.
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5. Arancia meccanica (1971)
Perché pochissimi altri film hanno saputo parlarci delle contraddizioni, del vuoto morale, degli impulsi distruttivi e della repressione messa in atto da una società autoritaristica con la stessa vis drammatica e lo stessa irridente ferocia di uno dei massimi capolavori di Stanley Kubrick. Perché fin dai primissimi fotogrammi della pellicola, l'Alex DeLarge interpretato da un formidabile Malcolm McDowell oltrepassa lo schermo e fissa il suo sguardo sardonico dritto verso l'animo dello spettatore, senza più lasciarlo. Perché la potenza iconica delle immagini del film, del montaggio rivoluzionario o di una colonna sonora in cui riecheggiano le musiche più note del "buon vecchio Ludovico van" rimane ancora oggi inalterata. Perché di rado la violenza sullo schermo è risultata tanto disturbante e, al contempo, funzionale ad esprimere il senso del racconto. Perché, semplicemente, Stanley Kubrick è stato uno dei più grandi artisti dello scorso secolo.
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6. A Venezia... un dicembre rosso shocking (1973)
Perché, pur essendo ambientato a Venezia, questo thriller psicologico del 1973 costituisce l'esempio più evidente del talento visivo del regista e fotografo londinese Nicolas Roeg. Perché questo adattamento di un racconto della scrittrice Daphne Du Maurier ci conduce in un luogo misterioso al confine fra realtà e sogno, fra illusione e incubo, pervaso da un indefinibile senso di minaccia. Perché se il film funziona così bene il merito è anche del magnetismo fra Donald Sutherland e Julie Christie, protagonisti di una delle scene erotiche più ardenti ed esplicite negli annali del cinema. Perché i risvolti horror della storia e il suo agghiacciante finale continuano a tormentare lo spettatore anche molto tempo dopo la visione del film.
7. Monty Python e il Sacro Graal (1974)
Perché i Monty Python rappresentano una delle colonne portanti della comicità - non solo britannica - del ventesimo secolo, grazie alla loro indiscutibile abilità nel prendere di mira miti, istituzioni e archetipi della cultura inglese ed europea. Perché dopo la raccolta di sketch di E ora qualcosa di completamente diverso, nel 1974 con questo film i Monty Python si confrontano per la prima volta con un progetto di narrazione filmica vera e propria, assecondando un'ambizione artistica che avrebbe poi raggiunto pieno compimento con altri successivi cult movie quali Brian di Nazareth e Monty Python - Il senso della vita. Perché questa rielaborazione dell'immaginario medievale e del corpus letterario dedicato alle avventure di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda continua ad avere un effetto esilarante anche a quarant'anni di distanza.
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8. Brazil (1985)
Perché, sempre a proposito dei Monty Python, una delle fondamentali anime del gruppo, Terry Gilliam, si cimenta da solo dietro la macchina da presa in uno dei progetti più complessi, originali e impegnativi della sua altalenante quanto straordinaria carriera. Perché l'affresco da incubo di un futuro kafkiano dominato da una burocrazia soffocante costituisce una delle distopie più angosciose e, per certi versi, attuali e realistiche che la fantascienza abbia mai saputo offrirci. Perché pochi film sono stati in grado di regalare allo stesso tempo sequenze di sognante romanticismo e impressionanti momenti grotteschi (il volto umano deformato dalla chirurgia plastica). Perché l'immaginazione audace e visionaria di Gilliam e la sua abilità nel mescolare dramma e ironia non sono mai apparse tanto ispirate.
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9. Camera con vista (1985)
Perché l'incontro fra il più 'inglese' dei registi americani, James Ivory, e lo splendido romanzo dello scrittore Edward Morgan Forster non avrebbe potuto rivelarsi più felice. Perché pochissime trasposizioni dalla letteratura riescono a conservare la profondità e la densità psicologica della fonte d'ispirazione uniti però al fascino ammaliante di una messa in scena, ambientata in questo caso tra Firenze e l'Inghilterra, di estrema suggestione. Perché il romanticismo della storia d'amore fra la giovane Lucy Honeychurch e l'impulsivo George Emerson è perfettamente bilanciato con un'arguta riflessione sulle convenzioni sociali dell'età edoardiana. Perché il talento di star in ascesa come l'esordiente Helena Bonham Carter, Julian Sands e Daniel Day-Lewis si affianca a quello di attrici sopraffine come Maggie Smith e Judi Dench.
10. La moglie del soldato (1992)
Perché il regista e sceneggiatore irlandese Neil Jordan firma un thriller imprevedibile e multiforme, in cui la cronaca del conflitto fra l'IRA e il Regno Unito si fonde con un sorprendente melodramma. Perché la natura irrazionale della passione amorosa e la sua inestricabile ambiguità trovano in questo film una delle sue più esemplari rappresentazioni. Perché le figure di Fergus, l'ex terrorista interpretato da Stephen Rea, della dark lady Jude impersonata da Miranda Richardson e della misteriosa e sensuale Dil di Jaye Davidson sono fra i personaggi più intriganti del moderno cinema britannico. Perché il film contiene uno dei più clamorosi colpi di scena di sempre, molto prima della nascita del concetto di spoiler. Perché poche altre pellicole riescono a irretire, turbare ed emozionare lo spettatore con la stessa potenza de La moglie del soldato.
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11. Quattro matrimoni e un funerale (1994)
Perché il film di Mike Newell segna l'insuperato punto d'arrivo della commedia sentimentale britannica degli anni Novanta. Perché la sceneggiatura firmata da Richard Curtis è un fuoco di fila di battute irresistibili e di dialoghi pervasi di un romanticismo credibile e mai stucchevole. Perché Hugh Grant, nei panni dell'imbranato e ritardatario Charles, è un leading man impeccabile e di indubbia simpatia, ma anche tutto il resto del cast risulta quanto mai azzeccato: dalle eccellenti comprimarie Andie MacDowell e Kristin Scott Thomas ad ogni singolo caratterista nei più piccoli ruoli. Perché anche all'ennesima replica non si può evitare di sorridere, di ridere e, in più di una scena, di commuoversi come alla prima visione.
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12. Trainspotting (1996)
Perché nella sua trasposizione del libro di Irvine Welsh, il regista Danny Boyle ha dipinto un ritratto a suo modo unico e sconvolgente della quotidianità di un gruppo di ragazzi tossicodipendenti nella Edimburgo degli anni Novanta. Perché l'empatia nei confronti dei protagonisti non ci risparmia, neppure per un attimo, dall'assurdità e dall'orrore in cui vengono trascinati dalla loro incapacità di liberarsi dalla droga. Perché nella parte dell'eroinomane Mark Renton, un già bravissimo Ewan McGregor guida un cast di giovani talenti come Jonny Lee Miller, Robert Carlyle e Kelly Macdonald. Perché lo stile allucinato della regia di Boyle, che aderisce alla prospettiva e agli stati d'animo dei suoi personaggi, è di quelli che lasciano il segno con la forza di un pugno nello stomaco.
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13. Segreti e bugie (1996)
Perché con questo film, vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes 1996, il regista e sceneggiatore Mike Leigh si è confermato come il più acuto cantore dei piccoli e grandi drammi della gente comune nell'Inghilterra contemporanea, attraverso uno scrupoloso minimalismo che arriva dritto al cuore. Perché in questo racconto corale sulle vite dei membri di una famiglia della middle class londinese, i Purley, Leigh tocca vette di rara emozione. Perché tutto il cast, a partire da una strepitosa Brenda Blethyn (miglior attrice a Cannes) nei panni dell'operaia Cynthia, è in autentico stato di grazia, incluso l'altro attore feticcio del regista, Timothy Spall. Perché del cinema umanista e profondo di Mike Leigh c'è bisogno ora più che mai.
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14. Billy Elliot (2000)
Perché l'opera d'esordio del regista Stephen Daldry è uno dei più appassionati inni alla libertà e al coraggio di tutto il cinema recente. Perché l'undicenne Billy Elliot, preadolescente della provincia inglese con il sogno - inaspettato perfino per lui - di diventare un ballerino, è uno dei piccoli grandi eroi per i quali non ci stancheremo mai di fare il tifo. Perché il giovanissimo Jamie Bell è un'assoluta rivelazione, che avrebbe poi confermato le promesse di questo folgorante debutto. Perché, sullo sfondo, la descrizione delle lotte sindacali dei minatori inglesi contro il Governo di Margaret Thatcher è tanto realistica quanto coinvolgente. Perché il piccolo Billy continua a ricordarci di combattere con tutte le forze per inseguire le nostre vocazioni e rimanere fedeli a noi stessi, ma anche per sostenere le persone che amiamo.
15. Il discorso del re (2010)
Perché la pellicola di Tom Hooper, sostenuta anche dal consenso della critica e dalla vittoria di quattro premi Oscar, è uno dei drammi storici che hanno avuto il maggior impatto sul pubblico, coniugando la cronaca dei turbolenti anni Trenta, in un'Europa in cui si profilava sempre più l'ombra del nazismo e della guerra, con un racconto paradigmatico sulla lotta per superare quei limiti che appaiono insormontabili. Perché il ritratto di Colin Firth, premio Oscar come miglior attore, del sovrano Giorgio V d'Inghilterra, in un disperato braccio di ferro contro la propria balbuzie, è il frutto di una prova magistrale, mentre Geoffrey Rush ed Helena Bonham Carter sono due comprimari da applauso. Perché, in fondo, Il discorso del re è un'apologia dell'orgoglio e della determinazione di un paese, il Regno Unito, che nell'unità - appunto - ha sempre trovato una delle sue principali ragion d'essere; perlomeno fino a giovedì scorso...
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