Sarà anche stato definito dal settimanale americano People come l'uomo più sexy del mondo, ma Bradley Cooper, attore tra i più quotati a Hollywood negli ultimi anni, sembra giustamente più lusingato dalla nomination agli Oscar per la sua interpretazione da protagonista nell'ultimo film di David O. Russell, Il lato positivo - Silver Linings Playbook, in uscita italiana il prossimo 4 marzo grazie a Eagle Pictures, che non dall'esito lusinghiero di un sondaggio del genere; non fa male sapere il pubblico femminile vada in visibilio per la faccia da furbissima canaglia, però la felicità vera sta da un'altra parte. Il ruolo di Pat insomma, uomo affetto da disturbo bipolare che la relazione con la giovane e altrettanto problematica Tiffany riporta alla serenità, è la consacrazione di una carriera segnata da tanti successi al botteghino, vedi la saga di Una notte da leoni, ma non ancora glorificata del tutto.
E' bastato, si fa per dire, incontrare un regista come Russell, 'responsabile' degli Oscar a Christian Bale e Melissa Leo per il suo The Fighter, dividere il set con un mostro sacro come Robert De Niro, che nel film veste i panni del dispotico padre del protagonista, duettare con un'altra giovane stella di Hollywood come Jennifer Lawrence e con una dolce signora come Jacki Weaver e l'incantesimo si è compiuto, con tanto di consacrazione da parte dell'Academy che ha candidato in blocco tutti e quattro gli interpreti. Merito anche di una storia accattivante, ma non superficiale, tratta dal romanzo di Matthew Quick, L'orlo argenteo delle nuvole, frase idiomatica inglese che rappresenta il superamento di una crisi (quando il sole fa capolino dalle nuvole, ne illumina i contorni con una luce d'argento). Gioca col cellulare, Bradley, prima di venirci incontro e stringerci la mano sorridente. Che non sia una posa di circostanza lo si capisce appena inizia a parlare; Cooper è letteralmente elettrizzato dalla possibilità di parlare di un film che significa molto per lui.
Bradley, leggendo il copione hai avuto subito la sensazione che sarebbe stata l'occasione della vita?
Sì, certo subito ho percepito la grande sfida che mi si preparava davanti. Se non mi avessero chiesto di fare il film, non so se mi sarei presentato da solo. Il che, se ci pensate, è una cosa da matti perché sono di Filadelfia, sono per metà irlandese e tifo per gli Eagles, insomma tutto era dalla mia parte, ma l'idea di interpretare un ragazzo depresso con disturbi dell'umore, beh non sapevo proprio se sarei stato in grado di farlo. A conti fatti posso dire di essere felice che David O. Russell abbia riposto in me la fiducia che nessun altro aveva avuto. Inoltre sono convinto che il personaggio meritasse in assoluto tanta attenzione, anche se non fossi stato io a recitarlo. E' stato uno dei ruoli più tosti della carriera.
Anche perché il film è contraddistinto da cambi di tono repentini...
Un aspetto di cui eravamo coscienti sin dal primo momento. E' stato un po' come guidare una macchina sportiva che doveva prendere le curve alla giusta velocità.
Recitare realisticamente, in modo da credere ai personaggi, anche quando si mettevano a ridere e poi a piangere nel giro di pochi minuti. Potrei dire che abbiamo avuto fortuna a catturare il momento, ma so bene che non si è trattato di buona sorte. Il merito è tutto del lavoro di un grande regista come David, che è stato capace di radunare un gruppo di attori di cui si è fidato. Sapeva che sarebbero stati in grado di lavorare così. E' stata un'esperienza gratificante.
Uno dei temi importanti del film è quello della malattia mentale, un argomento che a volte spaventa il pubblico. Che tipo di approccio hai avuto con il tuo personaggio, in qualche modo avevi timore di poter essere stonato, o questo non ti ha preoccupato?
Mi sono innanzitutto reso conto di quanto fossi prevenuto sulla questione prima prima di girare il film, per questo sento di aver imparato moltissimo dal personaggio di Pat. Lui ha uno squilibrio neurologico che gli impedisce di affrontare le emozioni, non ha insomma la capacità di lasciar perdere certe cose e in qualche modo questo lo fa sentire scisso. Avrei potuto affrontare una cosa del genere? Certo che sì e avrei reso umano tutto ciò non lavorando sulle grandi cose, ma sui piccoli aspetti della vita. Credo che il film funzioni per questo. Tante persone mi hanno detto di essersi rivisti in Pat e se ci pensate è un risultato senza precedenti. Quante volte basta pronunciare la parola bipolare per dire, no, quello non sono io, non mi riguarda. Questo film ci dice che forse tutti noi siamo così e forse c'è bisogno di dare un'occhiata un po' più profonda dentro noi stessi.
Quindi...
Attenzione alle etichette, tutti siamo un po' scombinati, la verità è che abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Certo che erano realistiche! Ero io a ballare, senza controfigure, tizi con le parrucche e via di seguito. E' stata semplicemente un'esperienza meravigliosa, la danza mi ha permesso di rendere al meglio il mio personaggio dal punto di vista fisico. Ho capito molto di Pat dal modo in cui ballava all'inizio. Ancora mi commuovo quando penso alla scena in cui impara a muovere le spalle così (ci mostra il movimento), nella palestra di Tiffany. Era vulnerabile, e cercava solo la approvazione della donna.
Che differenza c'è, dal punto di vista della recitazione, a lavorare in una rom-com come Il lato positivo ed un film classicamente ridanciano come Una notte da leoni?
So che non ci crederete, ma non c'è tanta differenza. Il segreto è essere sempre veri, il resto arriva da sé. Con la speranza che chi recita con te sappia stare al gioco e improvvisare. Gli aspetti comici del film sono legati alla musica di Pat e Tiffany. Prendete la scena della tigre in Una notte da leoni. Non abbiamo mica detto e ora come facciamo far ridere? Abbiamo recitato esattamente come avrebbero fatto i tre personaggi. Stu è disperato perché ha perso un dente, e non riesce a mettere a fuoco nient'altro, Alan è spaventato dagli animali, e Phil sta semplicemente sclerando e così è in questo film. E' il ritmo, l'alchimia naturale e spontanea tra Tiffany e Pat a contare. Questo è il trucco.
E invece mettendoti per un attimo nei panni del regista, come descriveresti il film?
Il lato positivo ha tante frecce al proprio arco. All'inizio ha un ritmo forsennato, tanto quanto il personaggio di Pat, poi quando entra in scena Jennifer la corsa si ammorbidisce. E' stata una scelta specifica di David che ha voluto dare un impatto visivo alla storia attraverso questo ritmo. Non è tanto una questione di generi, ma una volontà specifica da parte del regista di raccontare il cuore di questi personaggi.
Non la malattia mentale, ma la lotta per sopravvivere della gente a dispetto delle circostanze sfavorevoli, della crisi economica e della perdita di lavoro. Così come The Fighter non era un film sulla boxe, ma sulla famiglia.
Christoph Waltz ha detto in occasione della première di Django Unchained che preferiva non improvvisare, perché sarebbe stato un po' come tradire Cechov. Con David com'è andata?
Non credo che Christoph Waltz abbia parlato di improvvisazione in generale, ma di improvvissazione con Quentin Tarantino, per questo ha detto che sarebbe stato come tradire Cechov. Improvvisare non vuol dire cambiare le parole di una sceneggiatura. Grandi registi come Woody Allen, Paul Thomas Anderson, forse il più grande di tutti, Martin Scorsese, ammettono l'improvvisazione, non a casto sto citando registi che sono anche sceneggiatori. Dipende dalla storia e dal modo di agire del regista. Se Tarantino non la pensa così va bene, ma quando lavori con David devi essere pronto al cambiamento. Lui scriveva a mano le modifiche alla sceneggiatura mentre stavamo recitando e ci passava il foglietto con le battute cambiate, stava sempre a scrivere, sempre a pensare, perché è il suo modo di agire, è un creativo, non si addormenta mai, ma è sempre sul chi va là.
Hai mai pensato di fare come Pat e lanciare dalla finestra quei libri che non si chiudono con un lieto fine?
No, non ho mai pensato di farlo e sinceramente non conosco libri che mi possano spingere a farlo, ma amo il fatto che si possano interpretare i classici attraverso gli occhi di una persona che ama il lieto fine. La vita è davvero difficile. Avete presente le battute che dice su Addio alle armi di Ernest Hemingway. Il protagonista fa di tutto per stare vicino alla donna che ama, supera la guerra, il dolore e poi? Lei muore! Cosa? Ammetterete che ha senso quello che dice Pat.