1980: il tennista svedese Björn Borg, vincitore di quattro finali consecutive di Wimbledon, si appresta a difendere il proprio titolo di campione contro l'americano John McEnroe, nuova promessa del loro ambito sportivo. A prima vista sembra che si tratterà di un duello tra personalità diverse: Borg è noto per la sua imperturbabilità, mentre McEnroe ha la cattiva fama di prendersela con tutto e tutti. Ma le apparenze possono ingannare, e Björn deve fare i conti con i propri demoni interiori se vuole vincere quella partita, la prima dove anche lui pensa di non essere per forza all'altezza della sfida...
Rivalità leggendaria
A trentasette anni dalla mitica finale di Wimbledon del 1980 arriva al cinema il rapporto antagonistico che definì il tennis e segnò quella che molti ritengono la partita più bella nella storia del campionato, fatta eccezione forse per lo scontro tra Roger Federer e Rafael Nadal nel 2008. A partire dal duello tra l'inscalfibile svedese e l'irato americano è stato costruito un lungometraggio che, partendo da una base modesta di stampo puramente scandinavo (a livello produttivo è una collaborazione tra Svezia, Danimarca e Finlandia), si è tramutato in una pellicola dall'aura prestigiosa, scelta per inaugurare i Festival di Toronto e Zurigo e arrivata in Italia tramite la Festa del Cinema di Roma, dove il film è stato presentato in anteprima al termine della manifestazione e ha vinto il Premio del Pubblico BNL.
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Borg McEnroe è il primo film di finzione del documentarista danese Janus Metz Pedersen (Armadillo), il cui occhio attento al reale traspare pienamente nell'estetica del lungometraggio, che ricostruisce la Svezia, il Principato di Monaco e l'Inghilterra dei decenni passati con grande precisione ma senza scivolare nel nostalgico (anche la scelta di casting più "furba", quella di far interpretare il Björn Borg preadolescente al vero figlio del campione, è una mossa vincente poiché la performance del giovane non distrae e diventa un elemento fondamentale per la resa psicologica del tennista svedese sullo schermo). Più che dalle parti del biopic sportivo siamo quasi in zona da thriller, poiché l'antefatto della fatidica partita è resa con un concentrato di tensione a tratti insostenibile, così come il match stesso che è capace di tenere sulle spine anche chi conosce ogni dettaglio del celebre duello sul suolo britannico. Il tutto però con la classica asciuttezza nordica, senza cedere alla tentazione delle lacrime facili.
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Contendenti non tanto diversi
Il punto di forza maggiore del film sta nella contrapposizione apparente tra i due giocatori, con un'attenzione particolare - e inevitabile, data l'origine scandinava del progetto - alla figura di Borg (per la cronaca, la pronuncia corretta è "Bori"), la cui leggendaria imperturbabilità viene analizzata e smontata nei minimi dettagli mettendo in evidenza le contraddizioni interne di un uomo il cui stesso nome suggerisce una natura duplice: da un lato, qualcosa di animalesco, pronto ad essere scatenato al minimo segnale di pericolo (björn, l'orso); dall'altro, l'inamovibilità allo stato puro, resistente ad ogni tipo di attacco (borg, la fortezza). È questa la sfida maggiore per l'attore Sverrir Gudnason, la cui immedesimazione nel ruolo va oltre la notevole somiglianza fisica e ci restituisce un uomo perfettamente imperfetto, dal quale è impossibile distogliere lo sguardo, che sia da solo o in compagnia del fidato allenatore (Stellan Skarsgård).
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Ben altro discorso per Shia LaBeouf nei panni di McEnroe, il cui nome a pari merito con quello del rivale nel titolo del film è in realtà ingannevole: la sua è una parte volutamente, discutibilmente inferiore, forse anche perché la sua natura esteriore non cela grandi segreti: a differenza di Björn, che col tempo ha imparato a nascondere le proprie emozioni, John scende in campo con il cuore e la bile in mano, pronto a distruggere chiunque gli crei problemi. Svantaggiato in termini di presenza effettiva nel film (e anche sul piano linguistico, poiché nella versione originale lo svedese domina sull'inglese), McEnroe ha quindi bisogno di un volto capace di trasmettere immediatamente tutte le informazioni necessarie per comprendere e apprezzare il suo ruolo nella storia. E da quel punto di vista la scelta di LaBoeuf, attore notoriamente tormentato e "complesso" e qui in cerca di redenzione sul piano professionale, è assolutamente incontestabile. Senza alcun dubbio, quello che vediamo è McEnroe allo stato brado, la forza della natura che riuscì ad intaccare anche solo in parte la solidità della roccaforte proveniente da Stoccolma. Uno scontro fra titani, che il regista traspone in tutta la sua tesissima, furibonda gloria, per la gioia degli appassionati e di chi non si è mai particolarmente interessato allo sport.
Movieplayer.it
4.0/5