Scrivere, si sa, è una forma d'arte molto solitaria. Chi scrive ha ben presenti le lunghe ore passate davanti al foglio, o monitor ai giorni nostri, bianco, nel disperato tentativo di colmare quello spazio con parole, idee ed emozioni. Ancora più difficile, e disarmente, quando ci si trova a dover sfornare un secondo romanzo che sarà sottoposto al feroce giudizio di chi aspetta al varco, pregustando il fallimento da criticare con sadismo. Ed ancora più difficile se lo scrittore in questione è dedito ad abuso di alcool, soprattutto vino bianco, e droghe, seppur leggere, e se sta cercando di superare il recente abbandono da parte della sua ex, tentando di ignorare l'appartamento semivuoto che gli ricorda di lei.
Non c'è altro da fare in questi casi che rompere la routine, scacciare via la noia, uscire dai proprio schemi.
E' quello che cerca di fare Jonathan Ames, lo scrittore protagonista di Bored to Death, omonimo di un altro scrittore, questa volta reale, che la serie l'ha creata per la HBO, facendoci nascere il sospetto che nella storia vista sullo schermo c'è e ci sarà molto di autobiografico.
Inoltre la prima esperienza di Jonathan ha pure un'ulteriore svolta negativa e, nonostante riesca a rintracciare la ragazza scomparsa, finisce alla centrale di polizia, rilasciato dietro la minaccia di non accettare altri casi.
Cosa che, ovviamente, non farà. E' Jason Schwartzman a dare il volto al giovane scrittore ed ha il look adatto per dare il giusto tono al personaggio, ma la sua interpretazione è a tratti troppo manieristica; meglio funzionano i comprimari, da Zach Galifianakis a Ted Danson soprattutto, qui nel ruolo dell'editor di Ames al giornale con il quale collabora, che speriamo di vedere con più spazio a disposizione negli episodi successivi, soprattutto per i dialoghi che vedono coinvolti lui ed il protagonista, che rappresentano forse il punto di maggior interesse del pilot della serie.
Infatti non tutto è riuscito nel pilot di Bored to Death, intitolato Stockholm Syndrome, scritto proprio dal vero Jonathan Ames per la regia di Alan Taylor. Se da una parte idea, personaggi ed atmosfera funzionano ed hanno le potenzialità per stimolare lo spettatore, dall'altra si evidenzia un grosso difetto di fondo: la serie, almeno a giudicare dal suo primo episodio, non è divertente; e per una commedia si può considerare senza dubbio un difetto non da poco. La colpa è forse da imputarsi ad una scrittura troppo compiaciuta e ricercata, o forse alla ricerca forzata delle situazioni sopra le righe. Inoltre non stonerebbe un maggior approfondimento dei vari elementi messi in gioco, evitando quel sapore da versione annacquata di Misterioso omicidio a Mahnattan che traspare nel corso della visione.
Resta però la speranza che i giusti equilibri ed il giusto tono vengano fuori alla distanza, anche grazie alle altre guest star annunciate, come Jim Jarmush, costringendoci a cambiare idea già dopo due o tre episodi, consci della capacità della HBO di sbagliare raramente.