Bonjour Ben
Dopo Dogville il pubblico italiano (il poco pubblico che potrà vedere Bonjour Michel) ha il piacere di ritrovare Ben Gazzara, e per di più in un ruolo da protagonista.
Arcangelo Bonaccorso è alla sua opera prima, ma può vantare vaste conoscenze nel mondo di un certo tipo di produzione (è amico di Lattuada, fu aiuto-regista di C'era una volta in America), che gli hanno permesso di agganciare il leggendario attore statunitense. Al suo fianco l'attrice televisiva Elena Arvigo, già intravista in Distretto di polizia.
Bonaccorso ha ambizioni che vanno ben al di là delle sue possibilità, finanziarie ed artistiche. Tutto il film è una ricerca di senso (senso nella vita, senso nella morte, senso cinematografico) che scorre via senza incidere né formalmente né contenutisticamente.
Le avvisaglie si manifestano sin da subito. La descrizione di un disorientamento, di un disagio esistenziale come è quello del protagonista si pongono subito su un piano che esula da una narrazione tradizionale, per porsi sul piano del richiamo epico-onirico. Ma la realizzazione è confusa e superficiale, e sin da subito mancano i presupposti per un radicamento della storia nell'immaginazione e nel sentimento dello spettatore. E l'impatto blando e confuso tende a confermarsi con il proseguire della pellicola, che non riesce a sfornare scene madri né a privilegiare una certa continuità di tensione. Tutto il film prosegue sbrodolandosi sulla novità iniziale, quella dell'incontro dell'anziano e stanco Gazzara con la giovane e aitante Arvigo, accontentandosi di far dipanare la storia mollemente, cercando di ridestare l'attenzione con malriusciti colpi di scena.
La musica che sottolinea incessantemente e senza lasciar tregua ogni scena è pallida e fastidiosa fino alla noia. La fotografia svolge il suo compito diligentemente, anche se sorge qualche dubbio sulla costruzione di alcune scene, che sembrano tagliate da fasci di luce del tutto inspiegabili.
Non è di certo sulla tecnica che puntava questo Bonjour Michel, ma sulla densità di senso. Mancando di base la prima, e venendo a mancare la seconda, il risultato è, malgrado Gazzara, del tutto mediocre. Contribuisce in una certa misura anche lo script, che mette in difficoltà a tratti gli interpreti con una costruzione dei dialoghi sfasata.
Un discreto tentativo, che si lascia guardare per lunghi tratti (e che fa assopire per altri), ma che non si rende conto che non basta la presenza di un grande attore per rendere un film altrettanto grande.