A dodici anni di distanza dalla sua precedente visita, Bong Joon-ho è tornato al Florence Korea Film Fest. Accompagnato da un tifo da stadio e da una sala cinematografica sold-out strapiena di giovanissimi, il regista di Parasite fa ritorno in Italia forte di un enorme successo internazionale e di ben tre Oscar. Anche ora che è proiettato nell'olimpo dei grandi, Bong Joon-ho non ha perso i suoi modi affabili e resta coi piedi ben piantati per terra, ribadendo l'importanza dell'influenza del cinema italiano sulla sua formazione.
"Sono un po' geloso della vostra storia" ammette, indicando Ladri di biciclette e Psycho come i due film che più lo hanno influenzato durante l'infanzia. "Ladri di biciclette l'ho visto a 10 anni, avevo appena avuto la mia prima bicicletta. Dopo un mese me l'hanno rubata quindi mi sono sentito parte del film. Psycho l'ho visto a 9 anni, mi ha sconvolto e quello shock è sedimentato nel tempo. Il film era in bianco e nero, ma la cosa strana è che il sangue che colava me lo ricordo rosso". Tra i registi italiani che lo hanno formato, Bong cita inoltre Elio Petri e Marco Bellocchio, con cui si è trovato a cena ("Ero talmente emozionato da non essere in grado di proferire parola"), ma ammira anche Alice Rohrwacher e il suo Lazzaro felice, che "parla dello sfruttamento lavorativo anche se non è completamente realistico".
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Il rapporto con gli attori
La ricchezza del cinema di Bong Joon-ho nasce anche dalla collaborazione alcuni grandi interpreti, sia coreani che internazionali. Quello con Song Kang-ho può definirsi un vero e proprio sodalizio, visto che lo ha diretto in quattro film tra cui il più recente, Parasite. "Song Kang-ho è una fonte di ispirazione e coraggio per tanti registi" spiega il regista. "Parasite contiene scene molto eccessive, ma il fatto di avere Song mi ha spinto a osare perché ho pensato che lui sarebbe riuscito a convincere il pubblico".
Park Hae-il, anche lui ospite di questa edizione del Florence Korea Film Fest, compare in due film di Bong Joon-ho, Memorie di un assassino - Memories of Murder e The Host. Bong ha scommesso su di lui affidandogli un ruolo molto delicato in Memories of Murder, molto lontano dal suo background, visto che fino a quel momento aveva interpretato soprattutto l'eroe romantico: "Park è così bello, sembra un cerbiatto, o uno psicopatico che sa di sapone. Per un'attore questa dualità è una benedizione. Guardando il film, tanti speravano che fosse lui il colpevole. L'ho scelto perché era il solo che poteva interpretare questa ambiguità". Come rivela divertito Bong Joon-ho, lo stesso interprete era dubbioso sulla natura del suo personaggio: "Una volta mi ha telefonato alle due di notte ubriaco fradicio e mi ha chiesto 'Il colpevole sono io o no?' Gli ho risposto 'Più fai così e più il pubblico si convincerà che tu sei il colpevole'. Poi ho riattaccato". Il regista informa poi il pubblico fiorentino ridendo che "il vero colpevole è stato arrestato nel 2019 e ora è in carcere a Busan. Non è tanto diverso da Park Hae-il".
La metafora del mostro
The Host, del 2006, esula dai film precedenti di Bong Joon-ho perché per la prima volta il regista si misura col genere fantascientifico e con un budget più elevato. L'esperienza lo preparerà a Snowpiercer dove si troverà a gestire un cast internazionale a bordo di un treno che corre a tutta velocità. "Il mostro di The Host è una metafora" ci svela lui. "Nel film c'è un funerale di massa, tanta gente morta tutta insieme. All'epoca, erano i primi anni '2000, molti incidenti hanno funestato la Corea e quel mood angosciato è confluito nel mio mostro". Riflettendo sulla differenza tra il lavoro sul sci-fi coreano e Snowpiercer, Bong si sofferma sulle "difficoltà di comunicazione e sui regolamenti. All'estero le regole sulla protezione dei minori sono stringenti, ogni 45 minuti di riprese i bambini devono riposare 15 minuti. Lavorare in inglese non è stato facile, ma siamo riusciti a capirci grazie agli interpreti. Ma stare su un set coreano e controllare tutto è un'altra cosa".
La rivoluzione di Parasite
Snowpiercer e Parasite hanno una cosa in comune: Snowpiercer sviluppa il tema delle disuguaglianze sociali nell'orizzontalità del treno, Parasite nella verticalità di Seoul. Bong Joon-ho ammette di non essere il primo ad aver usato l'espediente della rappresentazione visiva dei vari livelli della società "anche se ci siamo divertiti ad abbondare nella presenza delle scale. Quando la famiglia povera esplora lo scantinato, scopre qualcuno più povero di loro". Il regista riconosce l'importanza della dialettica tra interni, visto che "il 90% delle scene accade nelle case, che abbiamo cercato di rendere creature viventi. La casa della famiglia ricca è un set interamente costruito. Ho riflettuto tanto sul design del piano nascosto, l'ho disegnato personalmente. Quando disegno gli storyboard mi illudo di essere un disegnatore di cartoon, che era il mio sogno da piccolo".
Coi suoi personaggi stralunati e la sua lotta di classe, Parasite ha conquistato il mondo e si è portato a casa quattro Oscar. Bong Joon-ho riconosce l'importanza della dimensione comica anche nella tragedia: "Ogni evento drammatico ha un risvolto comico. Gli umili sono i più goffi, ma sono anche quelli capaci di ribaltare la situazione. Il poter criticare i potenti attraverso la satira è il privilegio a disposizione del pubblico e io amo mettere in scena i contrasto. Anche nella scelta della musica seguo lo stesso criterio. Come nel caso di Gianni Morandi. In ginocchio da te è una canzone così romantica e io l'ho messa in una scena violentissima".
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La fatica della scrittura
Da dove nascono le idee di Bong Joon-ho? Il regista ammette di non non avere un metodo preciso, ma di lasciarsi andare all'ispirazione del momento. "Quando inizio a preparare un film e a ideare la struttura, a volte l'ispirazione mi appare in forma di parole e a volte in forma di immagini" ci confessa. "Nel caso di Okja sono partito dall'immagine di un maialino rosa gigantesco dallo sguardo così triste che si trova in mezzo a una strada a 8 corsie sotto la pioggia. Per Parasite sono partito dalla parola 'invasione'".
Nonostante il suo innegabile talento sia riconosciuto da tutti, Bong ammette che ideare film non è affatto una passeggiata: "La sceneggiatura è lavoro disperato, solitario, a volte si è stremati prima di iniziare. Vorrei che qualcun altro lo facesse per me. Il mio sogno ricorrente è trovare una cassa di legno vicino a casa mia con dentro sette copioni già pronti. Per non parlare dei finali, trovare quello giusto è un dramma". E di fronte agli studenti di cinema giunti per avere da lui qualche consiglio, il regista si congeda ammettendo: "Non so se incitarvi a fare questo lavoro sia un bene, ma se siete tutti qui è segno che non potete più sfuggire al vostro destino".