Bohemian Rhapsody è una canzone di importanza vitale per i Queen e per il mondo del rock. Non stupisce che sia stata scelta per dar titolo al film che racconta la vita, personale e professionale, di Freddie Mercury e della sua popolare band. A interpretarlo è stato chiamato Rami Malek, amatissima star di una serie cult come Mr. Robot, interprete intenso e dai lineamenti particolari, adatto a incarnare l'eccentrica figura del cantante britannico, originario di Zanzibar, che ha scelto di cambiare il suo nome da Farouk Bulsara a Freddie Mercury. Mercury, come il messaggero degli dei.
I due interpreti, Malek e Gwilym Lee che nel film dà vita al chitarrista Brian May, hanno presentato il film in uscita il 19 novembre alla stampa italiana accorsa a Roma, rispondendo con disponibilità, ma senza nascondere una forte dose di timidezza, alle domande e curiosità che non riguardavano solo l'esperienza di un set travagliato (ricordiamo i problemi con il regista Bryan Singer), ma anche il rapporto con la figura di Mercury, icona indiscussa della musica internazionale e dello spettacolo in senso più ampio, prematuramente scomparso all'età di 45 anni.
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Essere Freddie Mercury
Qual è stata la principale difficoltà di interpretare Freddie, sia in quanto personaggio che in quanto cantante?
Rami Malek: Vi chiedo di chiudere gli occhi per un attimo e provare a dare una risposta a questa domanda. In realtà è stato estremamente difficile. Non voglio dire che sia stato un peso, ma la natura mitologica di quest'uomo ha fatto sì che significasse così tanto per la gente, che fosse quasi un dio dal punto di vista musicale, che potete immaginare quanto sia stato difficile per me. Per questo motivo è stato importante rendere giustizia all'eredità lasciata da lui, così mi sono immerso in quello che era Freddie Mercury, che ha voluto dire un anno e mezzo di lezioni di canto, di piano, di lezioni per imparare a entrare nei suoi movimenti e parlare col suo accento. Quando sono entrato a far parte del film, non c'erano ancora finanziamenti, così ho tirato fuori i soldi e sono andato a Londra per immergermi totalmente in questo personaggio.
Brian May aprì la porta del mio camerino e si trovò davanti ad una versione più giovane di sé stesso e siamo rimasti entrambi in silenzio.
Gwilym Lee, tu invece hai fatto qualcosa di diverso, vedendo il film ci si dimentica di guardare un attore. Sei diventato Brian May. Quanto hai studiato e quanto ti è venuto naturale?
Gwilym Lee: Anche io sono d'accordo con Rami. Anche per me è stata una prospettiva che intimidisce interpretare qualcuno amato da così tanta gente. Ogni volta che c'era la sensazione di essere travolto, mi concentravo su ciò che dovevo fare, su quello che era possibile ottenere. L'aiuto da parte di Brian è stato fantastico. Non dovevo imparare a suonare la chitarra in modo perfetto, ma dare la sensazione di farlo da una vita senza sforzo. Sembrare che suonare ci venisse estremamente naturale. Di solito quando mi avvicino a un personaggio, parto dall'interno, dalle sue emozioni e la sua psicologia. Con un personaggio come questo, che tutti voi conoscete, ho dovuto fare il processo inverso: partire dall'esterno per poi andare dentro. Lui è stato di grande aiuto in tal senso. La prima volta che mi ha visto in abiti di scena, vestito come lui, è stato al primo giorno di riprese. Ero nel mio camerino, ho aperto alla porta ed era lui. Si è trovato davanti a una versione più giovane di sé stesso e siamo rimasti entrambi in silenzio. È durato un paio di minuti, poi ha fissato i miei capelli e ha iniziato a correggerli dicendo "No, aspetta, io li portavo più così...". Questo dimostra quella grande attenzione ai dettagli che contraddistingue tutti i Queen.
Cosa ti ha incuriosito di più del privato di Freddie Mercury?
Rami Malek: Innanzitutto tutti quanti conoscono l'aspetto macho, audace, impertinente di Freddie Mercury. Ma non credo che molti conoscessero la parte più intima e personale. Per esempio non sapevo della sua storia con Mary o che fossero stati fidanzati. Nel fare il film ho scoperto tantissime cose, come il fatto che si chiamasse Farouk Bulsara, e penso che molte di queste cose saranno una sorpresa per molti spettatori. Quando ho accettato di mettermi nei suoi panni, ho accettato di affrontare tante difficoltà, ma poi ho pensato a questo ragazzo nato a Zanzibar, che aveva frequentato le scuole in India per poi tornare a Zanzibar e trovare una rivoluzione che l'ha costretto ad andare a Londra. Ho messo da parte la rockstar per concentrarmi sull'essere umano alla ricerca dell'identità, in cui mi sono potuto identificare da straniero negli Stati Uniti. Mi sono concentrato su quegli elementi che avevamo in comune.
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Il rapporto con i Queen
Che aiuto avete avuto da Roger Taylor e Brian May? Sono stati molto rompiscatole?
Gwilym Lee: La prima sequenza che abbiamo girato il primo giorno è stata quella del Live Aid e Roger e Brian erano presenti sul set per esaminare il palco e la ricostruzione. Brian è venuto da me e mi ha detto "Sì, mi sembra tutto preciso e accurato. Ma non dimenticare che io sono una rockstar." Io ho capito che cosa intendesse con quella frase, che oltre al look, alla ricostruzione, dovevamo metterci quell'ego, quella predisposizione che viene dall'essere quel tipo di figura. Roger e Brian sono stati sempre presenti sul set quando si trattava di performance musicali, ma ci hanno lasciato grande libertà per le scene più personali, in cui la recitazione doveva avere il sopravvento.
Rami Malek: Per quello che riguarda Roger e Brian, vi posso raccontare questa storia. Non mi avevano mai visto nei panni di Freddie e io avevo fatto un provino negli studi di Abbey Road in cui avevamo registrato quattro canzoni che avevo interpretato dopo essermi allenato nel canto e nel movimento: Dopo questa registrazione, lo sceneggiatore mi prese alla sprovvista facendomi domande come se fossi Freddie e io capii subito che avrei dovuto rispondere restando nel personaggio. Domande su cosa avesse significato crescere a Zanzibar o su chi fosse la persona di cui mi fidassi di più. Il giorno dopo feci vedere questa registrazione a Roger e Brian nel salotto di Roger. Andai lì e loro iniziarono a scrutarmi fin dall'inizio, dalla testa ai piedi. Poi guardammo le canzoni e anche lì sembrarono accettarmi. Infine guardammo le domande, e quando arrivammo a quella su chi mi fidassi di più, io andai in blackout, terrorizzato. "Avrò detto Roger o Brian?". Non lo ricordavo proprio, ma mi sentii rispondere che si trattava di Mary e loro si guardarono e annuirono: "Sì, ci può stare!".
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Dal privato al palco
Qual è stata la scena più difficile da girare?
Rami Malek: Ogni giorno è stato difficile. Cercavamo di ricreare tutto quello che era successo nella realtà e io continuavo a pensare a lui, a chiedermi cosa provasse, cosa avrebbe fatto in ogni situazione. Siamo partiti con la parte del Live Aid che è stata la più difficile perché è quella che abbiamo voluto ricreare nella maniera più precisa possibile. L'abbiamo ripetuta finché non siamo arrivati ad avere la perfezione. Ci ha drenato tantissime energie. Siamo saliti sul palco iniziando dall'ingresso e da Bohemian Rhapsody, il giorno dopo Radio Ga Ga, poi Hammer to Fall e poi tutte per una settimana fino a We Are the Champions. Alla fine sapevamo ci sentimmo sicuri, capimmo di aver assimilato tutto e abbiamo chiesto di rifarle tutte una dopo l'altra. Hanno montato tre gru e altre macchine da presa, in più c'erano dei fan dei Queen a fare da comparse e abbiamo cominciato a cantare tutte le canzoni in sequenza come nella realtà e ci siamo resi conto del crescendo di energia, della carica che ti dà quel tipo di esperienza. Alla fine finisci quasi per sentirti sovrumano, poi vai nel backstage alla fine e svieni. È stato il momento che ha creato il rapporto tra noi che abbiamo usato in tutto il film. Alla fine ci siamo stretti la mano, ci siamo guardati negli occhi ed è il momento che ci ha uniti come band.
Gwilym Lee: Aggiungo solo che ci ha aiutato a sviluppare un nostro linguaggio, col quale comunicare e interagire. Nel corso della registrazione del film, non seguivamo più una coreografia, improvvisavamo interagendo tra noi grazie a questo linguaggio sviluppato tra noi in quei primi giorni.
A poche settimane dalla fine delle riprese, Bryan Singer è stato licenziato e sostituito da Fletcher che non compare nemmeno dei titoli. Come è stato per voi sul set del film?
Gwilym Lee: In realtà ciò si è verificato verso la fine delle riprese, quando ormai conoscevamo bene i personaggi e la storia, e non ci ha creato particolari problemi. Eravamo molto uniti e non ha avuto un grande impatto sul nostro lavoro quotidiano. Sono cose che possono succedere in questo ambiente.
Dalla figura e dalle parole di Freddie Mercury, anche nel film, viene fuori la volontà di non rispettare le regole del gioco. Rami, condividi la stessa ambizione di recitare fuori dagli schemi?
Rami Malek: Ogni tanto devi accettare un ruolo perché serve a pagare i conti. Ma c'è sempre la sensibilità personale e ho sempre ritenuto di non voler fare qualcosa che non potessi guardare senza esserne orgoglioso. Ho sempre cercato di fare quei ruoli che in qualche modo potessero alterare la percezione della gente e essere fonte di intrattenimento, di accettare ruoli che potessero dare un minimo di contributo. Quello che mi è sempre piaciuto è la sfida. Essere sfidato in maniera positiva, cerco di collaborare con persone che l'amano ancor più di me e sono in grado di mettermi alla prova. Credo in qualche modo di averlo fatto con Mr. Robot, che ha a che vedere con la percezione che la gente ha del mondo e di sé stessi, o con Freddie che ha avuto un'influenza su un numero così elevato di persone. Non è solo stato un musicista rivoluzionario, ma un uomo alla ricerca di un senso di appartenenza, di salire sul palco e far arrivare tutto ciò al pubblico. L'ho trovata una cosa eccezionale.