Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, Hammer To Fall, We Are The Champions. È il poker che Bohemian Rhapsody, il film di Byan Singer su Freddie Mercury e i Queen cala nel finale della partita, portando a casa l'intera posta. Una vincita facile: perché quell'esibizione al Live Aid è stata talmente potente che, riproponendola quasi integralmente, l'effetto emotivo è pazzesco. Il merito di Singer, Rami Malek e tutto il team è di aver ricreato quel momento alla perfezione. Ma come andò davvero la storia della partecipazione dei Queen al Live Aid? Il film - di cui abbiamo parlato nella nostra recensione di Bohemian Rhapsody - ci racconta di una serie di telefonate che arrivano a Freddie Mercury e che non gli vengono passate. E di una band in frantumi che si riunisce poco prima di salire sul palco di Wembley. A livello narrativo funziona, ma non andò proprio così.
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I Queen e Bob Geldof: c'è chi dice no
Spike Edney, chi era costui? È un nome che conoscono in pochi, ma ai tempi del Works Tour accompagnava spesso i quattro Queen sul palco, suonando chitarre e tastiere, perché il nuovo repertorio dei Queen aveva molte parti di sintetizzatori. Edney suonava anche con i Boomtown Rats di Bob Geldof e, in una pausa del tour dei Queen, era tornato a suonare con loro. Una volta riunitosi ai Queen per delle date in Nuova Zelanda, venne chiamato da Geldof, che gli chiese di invitare i Queen al concerto che stava organizzando per raccogliere fondi da inviare in Etiopia: era il naturale proseguimento del disco Do They Know It's Christmas dei Band Aid. Il punto, però, è che i Queen per quel disco non erano stati chiamati. Anche per questo i Queen dissero di no a Edney. E risposero di no pure a Geldof la prima volta che li chiamò. Oltre al risentimento per il disco dei Band Aid, avevano parecchi dubbi che un concerto simile si potesse davvero fare. E, come loro, li avevano altre band. Geldof allora continuò a telefonare a Jim Beach, il manager dei Queen, dicendo che sarebbe diventato il più grande concerto di tutti i tempi, superiore anche a Woodstock.
Le ragioni del sì
Alla fine i Queen decisero di partecipare. Freddie Mercury era rimasto molto colpito dallo speciale televisivo sull'Etiopia da cui era nata in Bob Geldof l'urgenza di fare qualcosa. Ma la band capì che il Live Aid era qualcosa che poteva essere l'occasione per un grande rilancio. I Queen non se la stavano passando male. Erano reduci dal successo di The Works e della hit Radio Ga Ga. Ma erano anche incappati in un piccolo "incidente", quello di aver suonato a Sun City, in Sudafrica, nell'ottobre del 1984: era la città simbolo dell'apartheid, quella che quasi tutti gli artisti avevano boicottato. E avevano perso consenso in America, per una serie di fattori, come il video di I Want To Break Free, in cui i Queen apparivano vestiti da donne, e che la puritana America non accettò, per l'insuccesso del disco Hot Space e il cambio di casa discografica.
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Un juke box dei grandi successi dei Queen
Una volta deciso di esserci, c'era da discutere il loro set. Il manager Jim Beach ne parlò con Harvey Goldsmith, che si occupava dell'organizzazione. E che pensava che anche i Queen avrebbero voluto chiudere la serata, come chiesero in molti: si sa, essere gli ultimi a salire, gli headliner, ha il suo peso. I Queen invece avevano le idee molto chiare: volevano esibirsi alle sei del pomeriggio. Affare fatto. Nei giorni precedenti al concerto, sia Freddie Mercury che Roger Taylor erano consapevoli di una cosa, e lo ammisero anche davanti ai microfoni: quel concerto, con milioni di persone collegate da tutto il mondo, sarebbe stato una vetrina incredibile per loro, e per tutti i partecipanti. Però I Queen fecero le cose in modo diverso: molti artisti misero su le loro setlist un po' distrattamente, magari con i loro pezzi più recenti, alcuni (i Tears For Fears) diedero buca il giorno stesso. I Queen no. Freddie e i suoi presero la cosa molto sul serio. Si rinchiusero in un teatro (lo Shaw Theatre di King's Cross a Londra) per una settimana. Come tutti, avevano venti minuti a disposizione. E decisero di fare delle versioni più brevi delle loro canzoni per poterne suonare il più possibile. Il sottotitolo del Live Aid era Global Juke Box e fu questo che Geldof ribadì ai Queen: il loro set doveva essere un condensato dei loro grandi successi.
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Da Bohemian Rhapsody a We Are The Champions
Lo show era una sfida. Pensateci: stesso palco, stesse luci, stessa situazione per tutti. I Queen non avevano l'impianto scenico su cui erano soliti contare per le loro esibizioni. E non c'era soundcheck. Fare le loro canzoni migliori sembrava a tutti la cosa più logica. Serviva catturare il pubblico, servivano le hit killer del loro repertorio. E così il 13 luglio 1985, alle 18.41, si fa la storia. Proprio quando inizia il collegamento con l'America (ecco perché la scelta di quell'orario...), Freddie entra, canottiera bianca, jeans attillati e sneakers, e si siede al piano. Inizia Bohemian Rhapsody. E si leva un boato. È il brano che conoscono tutti, che fa cantare tutto il pubblico. Da lì parte uno spettacolo strepitoso, una scaletta che non lascia scampo: Radio Ga Ga, Hammer To Fall, Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You. E We Are The Champions. Freddie Mercury e Brian May torneranno sul palco più tardi, per Is This The World We Created. Fu un trionfo. Con un piccolo segreto: il tecnico del suono dei Queen salì sul palco per controllare i livelli. E la band ebbe il suono più alto di tutti.
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One Vision
Freddie aveva vinto. I Queen avevano vinto. Aveva pagato la scelta di esserci, in quel pomeriggio di luglio a Wembley. Aveva pagato l'idea di sparare tutte le migliori frecce del proprio arco. Quella di non prendere sottogamba l'evento. La loro professionalità. Aveva vinto la grinta di Freddie, la sua voglia di prendersi tutto quel pubblico, di conquistarlo. I Queen del 1985 non erano la band già sciolta che racconta Bohemian Rhapsody, ma era un gruppo che forse rischiava di rompersi. Con il Live Aid iniziava la loro nuova vita. Ancora oggi Brian May ammette che quel concerto probabilmente aveva salvato la loro carriera. La band aveva ritrovato fiducia, coesione, forza. Freddie aveva di nuovo voglia di tornare in studio per vedere cosa poteva venire fuori. Per raccontare l'unità di intenti nacque One Vision e un disco, A Kind Of Magic, che fu il punto di partenza per il Magic Tour, culminato in un altro, storico, concerto a Wembley. La storia dei Queen era ripartita.