Ci siamo. Il 29 novembre esce anche in Italia Bohemian Rhapsody, l'attesissimo film che ricostruisce la storia di Freddie Mercury e dei Queen, dalla loro formazione al momento topico della loro carriera, il Live Aid. E capiremo se il film di Bryan Singer potrà entrare nel gotha dei grandi biopic sul rock. Che poi non sono tantissimi. Perché fare un "film rock", e non solo un film sul rock, non è affatto facile. Per fare un film su una rockstar, o una rockband, non basta raccontare la sua storia. Perché il rock è un'anima pulsante, un fuoco interiore, ma soprattutto un disagio, un dolore intimo, un grido che chiede di uscire. Raccontare un artista vuol dire raccontare un mondo, crearlo: perché i musicisti rock sono icone e non portano con sé solo le loro storie, ma un immaginario enorme. Raffigurare una rockstar sullo schermo vuol dire raccontare non solo lui, ma tutto questo. In questo articolo abbiamo rievocato i 10 migliori film sulle star del rock, meledette, geniali, iconiche, indimenticabili.
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1. Control
"Il presente è fuori controllo". L'esempio migliore di quello che stiamo dicendo è Control, il film di Anton Corbijn su Ian Curtis, leader dei Joy Division scomparso suicida il 18 maggio del 1980. Control parla di controllo, quello che Curtis perdeva spesso, a causa dell'epilessia, quello che nella sua vita aveva perso anche a causa del successo. Control è un'opera perfettamente coerente nel raccontare Ian Curtis e i Joy Division, e nel continuare il discorso artistico di Corbijn. Quel bianco e nero sgranato è il marchio di fabbrica del fotografo olandese che ci aveva colpito nei suoi video e nelle sue copertine di album storici. E coglie alla perfezione lo spleen espresso dalla band, che Corbijn aveva conosciuto, e fotografato, nel 1979. Quel grigio che troviamo tra il suo bianco e il suo nero è il colore della Manchester di fine anni Settanta, è il male di vivere che accompagnava Ian. Le inquadrature sono spesso fisse, come nei famosi ritratti di Corbijn che scrutano l'anima dei suoi soggetti. E indugiano sugli oggetti, come quello stendipanni che diventerà il terribile strumento di morte di Curtis. A interpretarlo c'è un pazzesco Sam Riley: lo sguardo fisso nel vuoto, impaurito e incredulo, le movenze a scatti. E quel muoversi sul palco, quella sorta di marcia per restare fermo, che sembra raccontare la sua vita, una corsa che non è andata da nessuna parte. Il bianco e nero di Corbijn rende tutto impietoso.
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2. Io non sono qui
"Io accetto il caos. Non sono sicuro che il caos accetti me". Per un film essere rock vuol dire spesso anche non essere lineare, ma sghembo, sfaccettato, umorale. Proprio come tante canzoni di Bob Dylan. Io non sono qui (I'm Not There, 2007) di Todd Haynes per rappresentare un artista sfuggente come Dylan lo fa interpretare da sei attori diversi. Ci sono il Dylan bambino (Marcus Carl Franklin), simbolo della musica delle origini, che si chiama Woody Guthrie, il Dylan poeta e contestatore, Arthur Rimbaud (Ben Wishaw) e che sputa sentenze in un processo, il Dylan folksinger delle canzoni di protesta, Jack Rollins (Christian Bale), che ritroveremo negli anni Settanta nella fase "cristiana". E poi Robbie (Heath Ledger) il Dylan attore e il Dylan privato, che ci fa vivere il suo matrimonio, e soprattutto Jude Quinn (una Cate Blanchett mimetica e indimenticabile) il Dylan traditore, quello della svolta elettrica e rockstar planetaria. E Billy The Kid (Richard Gere) il Dylan adulto, che ha lasciato lo show business. I sei entrano ed escono come schegge impazzite dal film, un manifesto sulla libertà di essere chi si vuole, e non essere rinchiusi in definizioni e schemi. Ce lo spiega la sequenza felliniana in cui Dylan/Jude mette alla berlina un certo Mr. Jones, simbolo dell'ossessione mediatica per la sua figura, mentre ascoltiamo Ballad Of A Thin Man. Schizofrenico, spiazzante, stratificato, I'm Not There è forse l'unico modo possibile per rappresentare Dylan.
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3. The Doors
"Questa è la fine, la mia unica amica". Amato ma anche vituperato, eccessivo come il personaggio che racconta, Jim Morrison dei Doors, ma anche come il suo regista, quell'Oliver Stone per cui ogni film è un personale Vietnam. The Doors (1991) è un biopic rock in senso classico, il racconto della vita di Morrison e la sua band dall'inizio fino alla morte, avvenuta a Parigi il 3 luglio del 1971. In mezzo l'amore per la moglie Pamela, interpretata da Meg Ryan (ma anche per altre donne), i suoi eccessi sul palco, con tanto di arresto in un concerto, le celebri prime esibizioni al Whisky a Go Go di Los Angeles, l'apparizione televisiva all'Ed Sullivan Show. Ma The Doors è molto di più della vita di Morrison e della band, ci porta nelle visioni del cantante e poeta, nei suoi viaggi lisergici, nell'anima di canzoni come The End. Visionario, allucinato, infuocato come il deserto della California, The Doors vive anche e soprattutto sull'interpretazione totale di Val Kilmer, che canta con la sua voce. Kilmer non interpreta, è Jim Morrison.
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4. Nico, 1988
"And what costumes shall the poor girl wear?" Che abito indosserà la povera fanciulla? Sono le parole di All Tomorrow's Parties e a cantarle è Nico, l'algida ragazza tedesca che Andy Warhol aveva inserito nel progetto The Velvet Underground & Nico. Ma cantava solo in tre canzoni, e per il resto era dietro a suonare il tamburello, racconta lei. Nico, 1988 (2017), è il biopic rock che non t'aspetti: senza luci e senza gloria. Ed è un film italiano, della nostra Susanna Nicchiarelli. Segue Nico (una bravissima Trine Dyrholm) negli anni Ottanta, dopo che il successo è già lontano, e Christa Paffgen, questo il suo vero nome, viaggia tra le macerie dell'Europa dell'est, sordidi pub inglesi e feste di piazza italiane. Non è più bionda, ma mora, e fa la sua musica, non quella di Lou Reed: un folk rock tra suoni balcanici e avanguardia. Nei suoi occhi blu c'è il dolore, quello per un figlio perduto e ritrovato. Nico, 1988 è il rock dopo che le luci del palco si spengono, dopo che il pubblico se ne va, e sul pavimento restano solo cocci, bottiglie vuote e sporcizia.
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5. Nowhere Boy
Un film minore, sottovalutato, un biopic parziale, perché della storia ci racconta solo un pezzetto, anche se è molto importante. Nowhere Boy (2009), di Sam Taylor-Wood, è il giovane Lennon, quello che vive con la zia Mimi nella Liverpool del 1955, dove, via mare, arrivavano i dischi americani. Siamo prima di Amburgo, e molto prima della Beatlemania. John Lennon è un'anima divisa in due: la zia Mimi è la regolarità, la madre - che lo ha lasciato ma lo frequenta - è la passione, la musica, le lezioni di banjo. Una famiglia a pezzi più Elvis e il rock'n'roll: Lennon è diventato Lennon, parole e musica, grazie a questo. E poi c'è l'incontro della vita, quello con Paul McCartney: uno beve birra, l'altro tè, ma insieme, in quella cameretta, creano cose mirabili. Poi arriverà George Harrison, e nasceranno i Quarrymen, una band di skiffle, un pre-rock'n'roll locale e povero. Nowhere Boy ci piace perché dà vita alle scene che abbiamo sempre immaginato. Aaron Taylor-Johnson è un Lennon non troppo somigliante, ma con la giusta sfrontatezza. I nostri partono per Amburgo, finisce la storia e inizia la Storia. Schermo a nero, e parte "Mother, you had me but I never had you".
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6. Velvet Goldmine
Usciamo un attimo fuori strada, perché Velvet Goldmine (1998) non è un biopic vero e proprio. I personaggi non si chiamano David Bowie né Iggy Pop. Ma chi davvero crede che non siano loro? Todd Haynes, ancora lui, il regista di Io non sono qui, una decina di anni prima aveva girato questo Velvet Goldmine, che aveva definito "non un film sul glam, ma un film glam", che è proprio quello che stiamo cercando di dire in questo articolo. Velvet Goldmine è un film che crea un'atmosfera (come il brandy di quella famosa pubblicità), racconta uno stato d'animo, un modo di essere, un mondo. La storia, che riprende la struttura di Quarto potere, vede un giornalista (Christian Bale) che cerca di ricostruire l'ascesa e la scomparsa di Brian Slade (un grande Jonathan Rhys Meyers), che aveva inscenato la propria morte sul palco anni prima. Chi vi ricorda? Sì, Ziggy Stardust. E Velvet Goldmine entra nello spirito del glam e di Bowie molto più di quello che avrebbe fatto un biopic classico. Bowie, all'epoca, non concesse le sue canzoni. Ma si ascoltano quelle dei T-Rex, dei Roxy Music, di Iggy Pop e The Stooges. E Satellite of Love di Lou Reed.
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7. Last Days
Anche qui ci prendiamo una licenza. Il biopic definitivo su Kurt Cobain e i Nirvana non è ancora stato girato. E forse non lo faranno mai. Finora il leader della band di Seattle è stato raccontato benissimo da due documentari, Kurt Cobain: About a Son, e Cobain: Montage of Heck. Ma questa è un'altra storia. C'è un film di finzione che è andato molto vicino a cogliere l'anima di Cobain: si chiama Last Days (2005), e l'ha girato Gus Van Sant. Quelli che vediamo sono gli ultimi giorni della sua vita, ma sanno già di morte. La rockstar in questione si chiama Blake, e si aggira come un fantasma tra persone con cui non riesce a entrare in contatto: sta per morire, ma forse è già morto. Ed è proprio l'imperscrutabilità di Kurt Cobain, l'insondabilità della sua anima ciò che ci arriva dal film di Gus Van Sant: chi può dire infatti di aver conosciuto Cobain? Nei panni della star del grunge c'è Michael Pitt che entra nel ruolo con la marcia giusta, senza l'obbligo di somigliargli, ma con quello di tratteggiarne un affresco.
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8. Quando l'amore brucia l'anima - Walk The Line
Quando l'amore brucia l'anima - Walk the Line (2005) di James Mangold racconta la storia di Johnny Cash, leggendaria voce della musica country, e padrino di una generazione di rocker. Come spesso accade in queste occasioni, il film è un'altra storia di incredibile immedesimazione: Joaquin Phoenix ha imparato a suonare la chitarra, a cantare, camminare e parlare come lui. Il labbro curvo, la camminata strascicata, il modo di incurvare le spalle e di tenere alta la chitarra lo hanno avvicinato al Man in Black. Fino a che Phoenix si è accorto di bere troppo, proprio come il personaggio che stava interpretando. Il film, che vi consigliamo di recuperare su InfinityTV, è pieno di scene realistiche nella ricostruzione dei concerti, e riesce a farci arrivare il talento di Cash. Ma funziona - vedi anche il titolo italiano - più come una storia d'amore che come un film su un artista che ha segnato la storia della musica.
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9. Ray
Ci mettiamo anche Ray (2004) nella lista. Perché Ray Charles è stato il padre del soul, perché ha fatto la storia. E perché il film è esemplare nel mostrare quale sia uno dei tratti vincenti di un biopic di questo tipo. L'interpretazione è una delle chiavi del successo. E Jamie Foxx, nel ruolo di Charles, è bravissimo, così come è ottima la ricostruzione storica. Ma il film di Taylor Hackford, che è attualmente disponibile su InfinityTV, ha uno dei grandi difetti che possono avere i film di questo tipo: quello di soffermarsi troppo sulle vicende private, e non abbastanza sulla musica, con il rischio di diventare una sorta di soap opera. Allinea una serie di schemi - gli amori, i tradimenti e la dipendenza da droghe - che tendono a reiterarsi in maniera piuttosto schematica, finendo per annoiare. Hackford ha qualche buona idea, come quella di enfatizzare i suoni, visto che per un cieco le orecchie sono gli occhi, e l'uso di movimenti di macchina e montaggio più frenetici nel "momento Trainspotting" del film, quello della disintossicazione dalla droga. Per il resto, si tratta di una regia piuttosto convenzionale.
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10. Lennon Naked
Lennon Naked - Essere John Lennon (2010, regia di Edmund Coulthard), è un film tv della BBC e chiude la storia che inizia Nowhere Boy. Siamo nel 1964, in bianco e nero, in piena beatlemania, quando Lennon incontra il padre dopo 17 anni. Saltiamo al 1967, a colori, quando esce Magical Mistery Tour, mentre iniziano le domande su chi guidi veramente la band. Sfilano la morte di Brian Epstein, la crisi tra Lennon e la moglie Cynthia, l'incontro con Yoko Ono. Il 1968 è l'anno dell'India e dei Beatles "più popolari di Gesù". E di Yoko Ono, tra dialoghi surreali e gli esperimenti musicali di Two Virgins. Nasce l'idea che grazie alla sua fama possa cambiare il mondo. Lennon: Naked ci mostra momenti della vita di Lennon che avevamo solo immaginato. Ma risente dell'impossibilità di racchiudere l'autore di Imagine in 80 minuti, finendo per semplificare ed essere manicheo (McCartney è raffigurato come un idiota). Christopher Eccleston è un Lennon somigliante ma troppo legnoso per essere veramente credibile. "Don't believe in Beatles", non credo nei Beatles, canta in God, che sentiamo alla fine, quando parte per New York. È il 3 settembre 1971: Lennon non tornerà più.