Blue Eye Samurai, la recensione della serie d'animazione Netflix: la via della spada

La recensione di Blue Eye Samurai, creata da Michael Green e Amber Noizumi e ambientata nel Giappone del 17° secolo: un prodotto dall'estetica appagante e dalla tecnica sopraffina che trova anche nella scrittura una delle sue più gradite qualità.

Blue Eye Samurai, la recensione della serie d'animazione Netflix: la via della spada

Periodo davvero propizio, questo dell'animazione in casa Netflix. Novembre segna un momento ricchissimo nelle produzioni originali animate del colosso dello streaming, soprattutto in ambito di qualità seriale. Oltre allo straordinario adattamento di Pluto, tratto dall'omonima opera del geniale Naoki Urasawa, sono infatti approdate in piattaforma anche la trasposizione di Onimusha - basata sul videogioco Capcom - e la gustosa Akuma-Kun invece trasposta dal manga di Shigeru Mizuki, mitico autore di Kitaro dei cimiteri.

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Blue Eye Samurai: una scena

Condividono tutti la natura non-originale dell'ispirazione, provenendo da titoli con una fan base già molto forte tra gli appassionati di fumetti o di videogame, eppure ognuno di essi ha portato qualcosa di unico e importante alle rispettive traduzioni sul piccolo schermo. Chi invece è partito da un'idea completamente originale ispirandosi comunque a tematiche sempreverdi e diversi generi di riferimento è questa bellissima Blue Eye Samurai, serie creata da Michael Green (Logan, Blade Runner 2049, Assassini sull'Orient Express) e da Amber Noizumi di raffinata e ricercata cura estetica e visiva, altrettanto sorprendente nella scrittura e nella regia degli episodi.

La Gru e il Tifone

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Blue Eye Samurai: un momento della serie

La storia di Blue Eye Samurai è ambientata nel Giappone del 17° secolo, nel 1633, in quello che è conosciuto come Periodo Edo. Un momento buio in termini di apertura sociale e culturale per l'arcipelago, con l'ordine dello shogunato di chiudere tutti i confini al resto del mondo. Gli stranieri - i bianchi - erano per lo più sconosciuti ai cittadini giapponesi, e i pochi nati da relazioni miste erano per questo considerati impuri, dei veri e propri mostri da rifuggire, ghettizzare o uccidere. In questo tessuto socio-politico votato al confinamento e al razzismo, le vie da seguire per i giapponesi erano quelle della tradizione: quella della cucina, dell'artigianato, dell'agricoltura e della spada. Mizu, la protagonista, è una ronin (guerriera vagabonda) di sangue misto dagli occhi "azzurri come il cielo, profondi come il mare", cresciuta sotto la protezione di un abile maestro di katane e totalmente votata alla filosofia del guerriero e dell'acciaio, in cerca di vendetta e spinta unicamente da questa motivazione. Non solo impura d'aspetto ma addirittura donna in un mondo tragicamente violento e patriarcale dove il femminile era appena sintomo d'inferiorità e debolezza (persino per le principesse come Akemi), soprattutto di un destino ancora più segnato degli altri: o moglie o prostituta.

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Blue Eye Samurai: una scena della serie

Per questo maschera la sua identità e reprime i suoi desideri, trovando proprio nell'acciaio quella solida volontà di perseguire l'unico scopo possibile. Come dice lei, però, "basta una brezza a portare una gru fuori rotta". E in contesto, lungo la sua via, si abbatte un vero e proprio tifone di nome Ringo, un entusiasta cuoco disabile che desidera essere il suo apprendista ("non per raggiungere la grandiosità ma per servirla"). Avvicinandosi sempre di più al primo dei suoi tre obiettivi, Mizu incrocerà la spada con avversarsi incredibili e vecchie conoscenze del suo passato, attraverso un paese flagellato dal malcostume e dalle disparità sociali in un inverno gelido e impietoso; una stagione che coincide con la temperatura della vendetta e con la glaciale apparenza dell'animo di Mizu, a sua insaputa imbarcatasi in un viaggio d'evoluzione, accettazione e riscoperta di sé, oltre i margini e l'impurità in cui è sempre stato identificata dagli altri.

Una katana sgargiante

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Blue Eye Samurai: la protagonista in una scena

L'impatto con Blue Eye Samurai è deflagrante. Lo stile animato sviluppato dai franco-canadesi di Blue Spirit sembra recuperare sensibilità artistiche di Klaus - I Segreti del Natale, ignorando in blocco una certa volontà d'imitazione e abbracciando invece uno stile elaborato e identitario. Ci sono delle immagini che mozzano il fiato, dei paesaggi che smuovono qualcosa nel profondo, legati come sono alle atmosfere e alla cultura nipponica del 17° secolo, tra il mistico e il romantico. Questioni di poetica che Michael Green conosce perfettamente, in grado di miscelare western, epica orientale e attualità in una sola e grande opera di respiro ampio e portentoso. Se gli stessi western erano ispirati in epoca d'oro al cinema di Kurosawa (per citarne uno dei tanti), qui la musa è nuda ed evidente, funzionale alla grammatica del racconto e persino capace di elaborare più di una riflessione pertinente sul tema aggrappandosi a tanti appigli narrativi differenti, quali l'empowerment femminile o la forza nascosta in chi forte non appare (e Ringo ricorda infatti Sam de Il Signore degli Anelli). Sfrutta un minutaggio eroico, comunque: otto episodi da 50 minuti ciascuno, che per molti potrebbero essere forse troppi per una serie animata di questo calibro. Ma anche qui è questione di epica del racconto di scelte evolutive, di come strutturare la crescita dei personaggi - spalle o eroi - e come creare il giusto pathos, la giusta empatia, il giusto livello d'escalation della violenza.

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Blue Eye Samurai: un frame della serie

Al netto di una cura visiva eccezionale - anche nelle espressioni dei protagonisti - e di una sceneggiatura che pesca dai migliori (da Samurai Jack, da Kubo e la Spada Magica, da Vagabond e L'immortale) per elaborare un prodotto avvincente, ben caratterizzato, ideato e confezionato, ad averci colpito più di ogni altra cosa è il modo in cui Green e Noizumi sono riusciti a sviluppare una storia tanto meticolosa e puntuale partendo dall'arte della katana e dall'analogia dell'acciaio. Dice il maestro di Mizu: "La spada è l'anima del samurai, quindi deve corrispondere all'uomo. La sua lama deve essere rigida e sottile e sgargiante. Pieghiamo l'acciaio per fonderlo. Battiamo il metallo fuso per eliminare le impurità: più è puro e più è duro. Ma se è troppo duro diventa fragile. Bisogna lasciare qualcosa come Dio l'ha fatta. Le impurità nel posto giusto sono una qualità". È davvero tutto qui. In una frase di appena 10 secondi. Un verità universale, un moto di perfezionamento dello spirito, racchiuso in poche parole: sono i piccoli difetti a forgiare le nostre personalità. E in questo senso, Blue Eye Samurai è una delle katane più belle, temperate e sgargianti tra quelle esposte nell'armeria Netflix.

Conclusioni

In un momento ricchissimo di novità animate in piattaforma, Blue Eye Samurai è forse una tra le serie più imperdibili del momento. Forte di una visione cristallina, di una cura estetica impressionante e di una scrittura ispirata, centrata e intelligente, lo show di Michael Green e di Amber Noizumi unisce western, poetica orientale e filosofia della spada in un prodotto sofisticato e avvincente, di personalità narrativa citazionista e artistica originale, impattante, vincente. Un "cartone" per adulti come se ne vedevano pochi, di recente. Finalmente!

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.8/5

Perché ci piace

  • La scrittura di Green e Noizumi è semplicemente eccezionale.
  • L'analogia dell'acciaio che guida la protagonista.
  • L'animazione regala momenti di vera poesia.
  • La regia degli scontri raggiunge spesso livelli cinematografici.

Cosa non va

  • Per alcuni il ritmo potrebbe apparire un po' compassato, la serie persino troppo lunga.