"Bella esperienza vivere nel terrore, vero?"
Nonostante alcune dichiarazioni di circostanza fiere e un po' spaccone ("credo di poter dire che sia il mio miglior film"), immaginiamo il regista Denis Villeneuve in queste ultime settimane che hanno preceduto l'uscita di Blade Runner 2049 spaurito e impotente come Deckard ai piedi di Roy Batty. Solo che ad infierire e terrorizzarlo non c'è il replicante interpretato da Rutger Hauer ma milioni di cinefili di tutto il mondo che sono cresciuti con il cult diretto da Ridley Scott e che attendono al varco il regista canadese, reo di aver osato realizzare un sequel del film di fantascienza più amato e famoso di tutti i tempi.
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Tutti quei momenti di terrore e quelle critiche preventive andranno però perdute nel tempo come lacrime nella pioggia, perchè il lavoro di Villenueve dietro la macchina da presa è assolutamente ineccepibile. La prima cosa che si nota in Blade Runner 2049 è la meraviglia visiva. Ma immediatamente sopraggiunge la consapevolezza di una bellezza mai fine a se stessa, ma perfettamente coerente con quella mostrataci 35 anni prima: quando entriamo nel film, fin dalle primissime immagini, siamo nuovamente catapultati nella Los Angeles distopica che abbiamo amato fin da giovanissimi. Solo che così com'è passato il tempo per noi spettatori, lo stesso è avvenuto anche nell'universo ispirato a Philip K. Dick.
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Ho visti sequel che voi umani non potreste immaginarvi
A differenza di moltissimi altri sequel recenti, in cui semplicemente si riprendono gli elementi cardine del film originale e si ripropongono in maniera quasi pedissequa, il film di Villeneuve espande ed amplia in modo significativo quanto mostratoci da Ridley Scott sette lustri fa. Ritroviamo la stessa città (Los Angeles) ma con significative aggiunte e cambiamenti; andiamo a scoprirne i dintorni e le città vicine (San Diego e Las Vegas); vediamo come il rapporto della società con i (nuovi) replicanti sia mutato radicalmente e come anche gli stessi "lavori in pelle" abbiano aspettative, sogni e sentimenti. Tutti costruiti, programmati e innestati artificialmente attraverso dei (finti) ricordi.
Che questo sequel sia ambizioso e per nulla banale lo si capisce già da questo, da come sceglie di partire dal primo Blade Runner e dalla sua mitologia per poi prendere altre strade più tortuose e difficili, eppure molto affascinanti. Non tutto nella sceneggiatura funziona per il meglio e i 163 minuti di durata a tratti (soprattutto nella parte centrale) un po' si fanno sentire, ma è proprio questa ricchezza di trovate a rendere il film un nuovo potenziale cult di cui si parlerà per molto tempo. Perché di certo un film del genere non potrà mai avere l'impatto devastante e rivoluzionario del progenitore, ma è altrettanto vero che ci troviamo davanti alla fantascienza più pura, quella che anticipa i tempi, pone dilemmi morali e quesiti esistenziali.
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Il paradiso del Dio della biomeccanica...
Il regista ha chiesto a tutta la stampa internazionale di non rivelare dettagli di nessun tipo sulla trama ed esaudiamo volentieri il suo desierio, anche perché effettivamente è importante che il percorso dello spettatore sia lo stesso del protagonista, interpretato da un convincente (ma non esaltante) Ryan Gosling. Nel suo viaggio (fisico e metaforico) sarà accompagnato da una moltitudine di personaggi secondari, tutti molto ben caratterizzati e ricchi di sfumature e suggestioni. Aiuta la presenza di un cast di alto livello - Dave Bautista, Jared Leto, Robin Wright, Hiam Abbass più piccole conoscenze del piccolo schermo quali Mackenzie Davis e Lennie James ed un paio di "ritorni" inaspettati ed eccellenti - così come quella del sempre carismatico e magnetico Harrison Ford, qui relegato nel terzo atto ma molto a suo agio nei panni di un Rick Deckard invecchiato ma combattivo.
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La vera sorpresa è però la bellissima attrice cubana Ana de Armas a cui spetta un ruolo che diventerà probabilmente iconico, soprattutto grazie ad una scena d'amore tra le più originali e belle che ci sia capitato di vedere da molto tempo a questa parte. Ma è in realtà tutto il suo personaggio, Joi, a rappresentare forse l'anima di questo sequel che, seppur in modo imperfetto, indaga ancor più fondo del suo predecessore sul senso di identità e sull'incapacità di riconoscere ciò che è reale e cioè che non lo è. Un argomento attualissimo che trascende la fantascienza e, in un'epoca di rapporti sempre più virtuali, ci riguarda tutti direttamente.
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... e della fotografia
Ma se è vero che per un film di fantascienza sono da sempre fondamentali il tema e il messaggio, un sequel di Blade Runner non potrebbe essere considerato tale se non avesse un risultato visivo meno che eccezionale.
Ed è esattamente questo il caso, perché scenografia ed effetti speciali sono perfetti, così come tutto ciò che riguarda il sonoro, con una menzione speciale per le musiche di Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch che omaggiano lo score insuperabile e seminale di Vangelis senza per questo limitarsi a copiarle.
La vera superstar del film, però, per una volta non è un divo o un attore da premio Oscar, ma anzi un uomo che di Oscar ne ha finora persi ben tredici: tante sono le nomination raccolte dall'ormai mitico Roger Deakins, che mai come questa volta meriterebbe una statuetta ed una infinita standing ovation al Dolby Theater il prossimo 4 marzo. La fotografia di questo film è semplicemente sensazionale, non ci sono altre parole per descriverla; da sola merita il prezzo del biglietto nella migliore sala possibile, così da godersi al meglio quel crescendo di maestria e genio che è il lavoro di uno dei più importanti cinematographer della storia del cinema, uno che con le luci e con le ombre sa fare qualsiasi cosa. Anche ricreare e migliorare il look di uno dei più grandi e importanti capolavori della storia del cinema. Ce l'avessero detto qualche anno fa, avremmo detto "questa sì che è fantascienza!".
Movieplayer.it
4.5/5