Recensione Black Christmas - Un Natale rosso sangue (2006)

Glen Morgan propone una generale modernizzazione del remake di Black Christmas che, negli intenti, dovrebbe rendere il nuovo lavoro più accattivante e contemporaneo, ma di fatto lo impoverisce eliminando gli elementi più intriganti.

Black remake

Nel 1974 l'artigiano del B-movie Bob Clark realizza un piccolo horror che presto diviene oggetto di culto nonché precursore del genere slasher: Un natale rosso sangue. Dopo circa trent'anni Glen Morgan decide di riproporre una nuova versione della pellicola che, dopo una lunga serie di rinvii, esce oggi anche in Italia. La scelta di realizzare un remake, molto spesso, risulta penalizzante già in partenza perché la nuova pellicola dovrà confrontarsi con un originale ben presente nella mente dello spettatore e dotato di una schiera di fan accaniti pronti a difenderlo strenuamente. Quando poi la nuova versione, remake o non che sia, difetta in qualità, come è capitato di recente con Le colline hanno gli occhi di Alexandre Aja o col pessimo Il prescelto di Neil LaBute, ecco che il confronto si fa addirittura impietoso. Per tutte queste ragioni l'uscita di un nuovo Black Christmas - Un natale rosso sangue appare una mera operazione commerciale priva di reali motivazioni artistiche.

Le linee principali della trama originaria vengono riproposte senza particolari alterazioni: le componenti di un'associazione studentesca femminile che si apprestano a trascorrere il Natale nel pensionato in cui alloggiano divengono bersaglio di un killer che prima le terrorizza con telefonate anonime oscene e poi inizia a eliminarle una ad una. Se la sostanza della pellicola resta per lo più inalterata, Morgan propone, però, una generale modernizzazione dello script che, negli intenti, dovrebbe rendere il nuovo lavoro più accattivante e contemporaneo, ma di fatto lo impoverisce eliminandone gli elementi più intriganti. A scarseggiare nella nuova versione di Black Christmas è, principalmente, la suspence che regnava suprema nel film di Bob Clark, girato con un budget limitato, ma ricchissimo di idee registiche. Morgan sente, infatti, l'esigenza di colmare le lacune riguardo l'identità del serial killer, il folle Billy, di cui Clark ci diceva poco e niente, con un paio di flashback introdotti come metaracconti di personaggi informati sui fatti che spezzano la tensione della vicenda principale. L'incipit originario con l'avvicinamento in soggettiva del killer alla sua vecchia dimora (sequenza che ha influenzato pesantemente la straordinaria apertura di Halloween) viene sostituito da una frammentazione dispersiva di piani e da una lunga sequenza carceraria in cui viene mostrata l'evasione natalizia di Billy.

Il budget abbondante viene impiegato in direzione di una maggiore ricerca formale che si traduce nella mostrazione esplicita della violenza truce con cui Billy infierisce sulle vittime nonché in una generale dilatazione dei tempi dell'azione. Il risultato è un film impersonale e poco incisivo, soprattutto a paragone con la lucida asciuttezza del primo Black Christmas dove ogni inquadratura era necessaria all'economia della pellicola e dove il terrore nasceva dalla sottrazione, dal mistero, dall'inconsapevolezza dello spettatore tenuto all'oscuro con informazioni centellinate fino allo straordinario finale aperto. Non solo la regia, ma anche gli stessi personaggi risentono pesantemente del confronto con quelli originari: in quanto precursore del sorority movie (filone orrorifico tutto femminile alla Suspiria, per intenderci), l'horror di Clark presentava un cast variegato (che spaziava dalla zeffirelliana Olivia Hussey a Margot Kidder) valorizzato da uno script teso a evidenziare le differenze tra i vari caratteri femminili mentre Morgan attinge a piene mani ai vari Buffy e Final Destination utilizzando stelline che a fatica si distinguono l'una dall'altra nella piattezza generale dei personaggi. All'interessante e ambiguo pianista si sostituisce un Oliver Hudson confuso e intimidito che sembra muoversi a caso nel baillame generale senza saper che pesci prendere. Unica sopravvissuta del vecchio cast, Andrea Martin promossa da studentessa a buffa tenutaria del pensionato, destinata alla fine più ridicola e ingloriosa. In conclusione pochi brividi e tanti rimpianti.

Movieplayer.it

2.0/5