Una casa in mezzo al bosco (anzi, una safe house), due ragazze e una corsa contro il tempo. In mezzo, la realtà e la fantasia, in una sfumatura che si incontra in quella zona grigia chiamata realtà virtuale. Dopo il successo di In The Trap - Nella trappola e di Shortcuts, Alessio Liguori prosegue il suo discorso all'interno dei generi con Black Bits, thriller distopico con protagoniste Alexandra Jordan e Yvonne Mai, che interpretano Dora e Beth, due truffatrici che hanno rubato dei rivoluzionari neurochip.
Ma come nasce Black Bits? Lo abbiamo chiesto, durante la nostra live Twitch, proprio ad Alessio Liguori: "Black Bits nasce da un'idea, quella di Daniele Cosci, socio con me di Mad Rocket Entertainment. Abbiamo prodotto il film con una società polacca, e la sceneggiatura è stata firmata insieme a Carlo Andrea Maucci e Fabio Sieni. C'era già una sfumatura, all'inizio. Ovvero: riflettere su cosa è vero e su cosa no, in un concetto di multiverso. Poi abbiamo letto un articolo, dove si riportava la creazione di un neurochip. Una tecnologia futuribile. Dei chip che hanno una funzione estesa rispetto all'Oculus. Una cosa simile vista già in Black Mirror. Tramite un chip, impiantato nel cervello, possiamo avere una visione differente della realtà. Uno spunto interessante per rimodernizare la sceneggiatura". Il film è infatti prodotto da Minerva Pictures e Simona Ferri e Agresiwna Banda con produzione esecutiva di Play Entertainment ed è distribuito da Altre Storie e Minerva Pictures.
L'arte come specchio della società
Come spiegato da Alessio Liguori, la frontiera cinematografica (e non solo) contemporanea sta affrontando la commistione tra digitalizzazione e artigianalità. "L'arte anticipa o accompagna la società. Il cinema che racconta delle invasioni UFO esplode durante la Guerra Fredda. Perché c'era paura del diverso. La strada, e il percorso intrapreso, è oggi duale. Da una parte la tecnologia facilita la nostra esistenza, ma dall'altra c'è alienazione. In Black Bits tocchiamo diversi concetti: sentire e vedere. Ci stiamo virtualizzando, stiamo entrando nel Matrix... sono discorsi che meriterebbero una maggiore riflessione". Matrix, come altri film sono alla base dell'esperienza filmica ricercata dal regista: "Matrix è un grande film di intrattenimento. Il cinema pop-corn è il migliore, quando poi ti lascia qualcosa nell'inconscio. Poi viene dopo Dark City di Alex Proyas, altro grande film. In Matrix si parla di risveglio, di sogni. Citando Spielberg, dovremmo alzare gli occhi al cielo la sera, per renderci conto della nostra vera dimensione"_.
Tra l'altro, Black Bits è un film dal doppio tono, che nasce piano e finisce in crescendo. Tra gli elementi di riferimento, la safe house che fa da sfondo alla vicenda: "Il film può andare in due direzioni. Ci siamo ispirati per l'illuminazione ad Ex Machina. La safe house è ricostruita in un bosco del Lazio. A Viterbo c'è un bosco del Trentino. Una sorta di esperimento botanico. È stato complicato costruire la scenografia, anche perché abbiamo girato in aprile. Abbiamo però rispettato il piano di lavorazione. Il supporto di Luca Santagostino, direttore della fotografia, è stato importante. Dovevamo incuriosire lo spettatore, da subito. Non ci sono elementi di acchiappo, non c'è nulla che richiama un immaginario collettivo. Bensì, troviamo una storia pura. Pe rendere il tutto interessante, abbiamo lasciato irrisolti alcuni argomenti fin da subito. Come Dunkirk: all'inizio non c'è Churchill, ma un soldato in mare aperto. Altro riferimento è Arrival. Un film di difficile lettura, almeno all'inizio. Tuttavia, in un panorama ricco, e irraggiungibile, volevamo dare una personalità che potesse regalare a Black Bits il giusto spazio nel mercato", prosegue il regista.
Black Bits, la recensione: un thriller distopico ambizioso e adrenalinico
Digitale e analogico
Black Bits è un film d'impatto estetico, che parla di virtuale ma resta coerente nel suo approccio tangibile. Una peculiarità che Alessio Liguori ha voluto mantenere: "Nel film c'è anche un discorso di percezione: sono cresciuto con l'avvento del digitale, ma ora inizio a tirare il freno a mano. Jurassic Park, del 1993, è un film reale. È tangibile. Jurassic World invece no, è tutto digitale. Immagini bellissime, ma non tangibili. E lo spettatore se ne accorge: la non tangibilità avvicina il film ad un videogame. Il cinema deve essere anche emozione, sogno. Il cinema mi ha portato oltre le stelle, ecco. Però bisogna pensare alla tangibilità del digitale nei confronti dei sensi. Altro esempio: Monsters di Gareth Edwards è un piccolo film, artigiano, che ha permesso ad Edwards di diventare un grande regista. Il cinema che fa la differenza è quello che mantiene l'identità e la personalità del regista".
Fin dal suo esordio, Report 51 (film found footage del 2013), passando per i successi di In the Trap - Nella trappola e Shortcut, o anche Il viaggio leggendario, ha puntato sulle suggestioni, in un mercato audiovisivo italiano che, poco a poco, si sta aprendo a nuovi spettatori e nuovi linguaggi. "In un film la cornice fa la differenza: quello che conta è ciò che vediamo. Spesso si sottovaluta. In the Trap è la prova: la texture è fondamentale, perché, che sia horror o sci-fi, ci sono dei riferimenti da cui non si può prescindere. Jason Blum ha iniziato a fare film a basso costo, poi si è creato un impero. Insidious è una saga di qualità, ambienta in una casa. Poi alcuni dicono che il cinema in Italia non paga, ma non è vero. Ultimamente c'è grande fermento, penso a Paolo Strippoli o Roberto De Feo. Hanno coniugato italianità e internazionalità. Ci vuole solo più coraggio. Come Sergio Leone: un italiano che ha scritto la storia dei film western. Ha fatto nascere un nuovo linguaggio. Spielberg, Tarantino, Scorsese si sono ispirati a lui. Dobbiamo lasciarci andare, cercando più il divertimento nelle cose che facciamo".