Con la recensione di Big Mouth 5 si torna a quel periodo dell'anno in cui Netflix diverte e al contempo sconvolge gli abbonati con dieci nuovi episodi dell'esilarante e terrificante creazione di Nick Kroll e soci, liberamente basata sulla preadolescenza degli stessi autori (fatto a cui la stagione allude in uno dei tanti momenti autoreferenziali che sono diventati un caposaldo dello show). Una serie che di anno in anno si fa più audace e ambiziosa, mescolando l'onestà del ritratto di un periodo difficile della vita umana con deliziose trovate surreali che cavalcano l'onda dello humour a base di imbarazzo, talvolta in senso letterale come quando nella seconda stagione le parti più spassose riguardavano il Mago della Vergogna. È un percorso coerente e appassionante, ancora lontano dal fermarsi (sappiamo già che avremo almeno un'altra stagione, grazie a un rinnovo multiplo avvenuto qualche anno fa), e che fa dello show una delle punte di diamante di Netflix per quanto riguarda il catalogo di produzioni originali in lingua inglese.
Parenti (e amici) serpenti
La quinta annata di Big Mouth continua ad esplorare le complicazioni che accompagnano la vita quotidiana dei suoi giovani protagonisti: Nick rimane affetto da un complesso di inferiorità che lo porta a trattare male gli amici, mentre Andrew è talmente fissato con la masturbazione che nel primo episodio il quartetto principale - lui, Nick, Jay e Jessi - indice una vera e propria sfida a chi può resistere più a lungo senza darsi piacere da solo (sì, è la parodia di uno degli episodi più amati di Seinfeld, unita a una voce narrante che fa il verso a Quei bravi ragazzi). I rapporti si complicano anche fra Jessi e Missy, e fra Nick e Jessi, e fra Jay e Lola, con svolte che portano all'introduzione di due nuove manifestazioni fisiche delle turbe preadolescenziali: l'insetto dell'amore e il suo corrispettivo malvagio, il verme dell'odio (che diventa un serpente in base all'intensità dei sentimenti negativi). Uniti, ovviamente, a tutta l'allegra banda che già conosciamo, dai mostri ormonali Maury e Connie (più il decrepito Rick) al già menzionato Mago della Vergogna, che ritroviamo a tenere compagnia all'allenatore Steve, immune ai poteri dell'entità in quanto assolutamente incapace di vergognarsi.
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Una stagione molto speciale
Pur avendo sempre avuto un sottofondo di cuore e intelligenza, la serie ha cominciato a dare prova di maturità a partire dalla seconda stagione, con una scrittura che cresce a pari passo con i ragazzini, affrontando temi delicati con un buon equilibrio tra sincerità e irriverenza. Questo si applica anche alla componente autoriflessiva, che in questa sede raggiunge nuove vette sia sul piano demenziale (Maury che si chiede chi gli presti la voce, dato che anche molti fan continuano a pensare che sia Will Arnett e non Nick Kroll) che su quello più profondo (la natura metaforica delle creature mostruose viene ribadita nel contesto della crescita interiore dei personaggi). Abbiamo a che fare, più che mai, con una sboccata lettera d'amore/odio indirizzata a quel traumatico periodo delle medie, rielaborato con tutti i suoi orrori fisici e psicologici in chiave a tratti grottesca, spesso surreale e sempre verosimile, anche quando viene tirato in ballo tradizionalmente più adulto come il revenge porn.
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E se sul fronte dell'animazione la serie ha sempre fatto un ottimo lavoro, ribadendo le potenzialità delle tecniche tradizionali in un mercato che privilegia sempre di più il digitale e la tridimensionalità quasi fotorealistica, in questa sede gli autori si sbizzarriscono con un meraviglioso episodio ibrido, uno speciale natalizio dove le storie stesse sono per lo più raccontate con lo stile classico ma la cornice narrativa è affidata a Maury, Connie e Rick in versione live-action, tramite pupazzi che in pochi minuti riescono a dare alla nozione dei Muppet in forma spudoratamente vietata ai minori quel senso che mancava quasi del tutto nel film Pupazzi senza gloria. È un concentrato di gioia e follia talmente inarrestabile che neanche i momenti più volutamente ruffiani - non mancano allusioni alla qualità dei singoli episodi, ovviamente in termini positivi - possono frenare l'avanzata di quello che si riconferma uno dei motivi più validi per cedere alla tentazione del bingewatching per ammazzare il tempo alla fine della settimana. Basta che, come alcuni dei protagonisti, lo si faccia lontano da occhi che potrebbero scandalizzarsi.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Big Mouth 5 sottolineando come si tratti di una stagione che riconferma i punti di forza dell'irriverente commedia animata di Netflix e aggiunge nuovi strati di maturità, approfondendo la psicologia dei personaggi con intelligenza e scatologia.
Perché ci piace
- La scrittura è sempre più solida e stratificata.
- Le battute autoreferenziali sono molto divertenti.
- L'episodio con i pupazzi è esilarante.
- I personaggi crescono in modo coerente e spassoso.
Cosa non va
- Come sempre, alcune scene possono risultare troppo forti per i gusti di parte del pubblico.