È un'immagine di guarigione e liberazione, quella che conclude Piccole grandi bugie; in essa, per la prima volta nel corso della miniserie, la minaccia nel cielo mutevole e delle onde dell'oceano lascia spazio a una gloriosa giornata di sole. Big Little Lies, come suggerito d'altronde dalle primissime battute, è costruito attorno ad una rivelazione finale che, pur non essendo la cosa migliore dello show, si rivela importante sia narrativamente che simbolicamente: non è il caso che ha fatto incontrare queste tre donne, è la malignità, la mascolinità tossica, la tirannia di Perry Wright. La sua strana e brutale morte libera le donne da una silente oppressione, allenta le tensioni nei matrimoni, consola i traumi dei bambini: risana, insomma, un'intera comunità.
Prima di arrivare a consegnarci la sua vera rivelazione, lo show scritto da David E. Kelley e diretto da Jean-Marc Vallée ci ha fatto attraversare infinite delizie più o meno sofisticate, e in virtù di quello che abbiamo vissuto al fianco di questi personaggi vitali e credibili è comprensibile che qualcuno speri nell'annuncio a sorpresa di una seconda stagione. Non è nelle stelle, ma non è nemmeno particolarmente attraente, per noi, l'idea di cercare nuovi drammi e nuovi conflitti dove quelli passati hanno appena iniziato a sanarsi: la strada di Celeste, Jane, Madeline, Renata e Bonnie riprende da quella spiaggia verso un futuro che non ci è dato di conoscere, ma assomiglia senz'altro a quello di tutte le donne che riescono a riconoscere ed elaborare i condizionamenti e ammaestramenti che le rendono nemiche, o per lo meno sospettose carceriere delle loro stesse sorelle, complici della propria oppressione. Un futuro di ricostruzione, conciliazione e solidarietà.
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Il cammino di Celeste
Nel mondo un po' patinato, non privo di evidenti artifici di Big Little Lies l'umanità e l'autenticità le dobbiamo a una scrittura brillante e intelligente, ma soprattutto alla grandezza delle performance: sembra quasi scontato dirlo considerato il prestigio delle interpreti, ma in effetti erano diversi anni che Nicole Kidman non centrava un ruolo in grado di rivelare la profondità del suo talento e le meraviglie della sua presenza scenica come succede in questo caso. Come sottolineavamo già nel nostro primo articolo su Big Little Lies, il suo personaggio è il più difficile da affrontare psicologicamente e fisicamente per varie ragioni. Siamo accanto a una di quelle donne che in tanti bollano come delle sempliciotte perché restano accanto a un marito violento, e Nicole ci mostra con chirurgica e devastante precisione la superficialità e l'indegnità di questi giudizi.
In fondo a quegli sguardi teneri e innamorati che avvolgono Perry e i bambini c'è il sedimento di anni di dubbi, attese, esitazioni: il nostro amore lo può cambiare, lo lascerò quando loro sarano cresciuti. Il suo corpo d'alabastro rivela la tensione perenne quando Celeste naviga intorno al marito, e trasfigura quando esce dalla sua influenza nefasta. E poi ci sono quelle incredibili sessioni con la terapeuta (la bravissima Robin Weigert), in cui Celeste emerge lentamente dai propri autoinganni: di fronte alla genuina preoccupazione di una professionista, la sua armatura si crepa, la sua vergogna si scioglie lentamente e inesorabilmente lasciandola alle prese con una situazione imprevedibile e insidiosissima. L'ultima illusione, "non farà mai male ai bambini", crolla in questo episodio finale You Get What You Need di fronte alle parole di Jane, nel momento in cui nessuna delle due sa ancora che Ziggy, Josh e Max hanno lo stesso sangue - e non lo sappiamo ancora nemmeno noi, a dire la verità, anche se siamo lì accanto alle loro madri a sperare che il sonnambulo Ziggy e il bullo Max possono essere salvati, possano crescere per diventare uomini sensibili e rispettosi. "It takes a village".
Se avete un dubbio, anche un solo fuggevole dubbio che il vostro compagno o la vostra compagna passino troppo spesso la linea sottile che esiste tra un contrasto e un abuso parlatene con qualcuno, perché può salvarvi la vita; non prendetelo come un consiglio fuori luogo e fuori contesto: perché stiamo ancora parlando dello show, e il monito ci arriva da Celeste. Lei ha i mezzi per crearsi una via di fuga, un frigo ricolmo, un nido per i suoi pulcini. La maggior parte delle donne non li hanno. Ma il punto è che, se può succedere alla colta, bellissima, ricca e privilegiata Celeste, può succedere a tutte.
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Giustizia per Jane?
Oltre a rappresentare la necessità che le donne facciano fronte comune contro l'abuso, il fatto che l'aguzzino di Celeste e Jane, e il padre dei loro figli, sia la stessa persona serve anche a portare a una condanna senza attenuanti per il villain. Alexander Skarsgård, con pochissimo spazio a disposizione, rende Perry una minaccia onnipresente e imprevedibile, ma allo stesso tempo riesce a donargli questa fragilità umanissima che inganna Celeste e inganna noi, fino a che la sua natura inequivocabile di mostro non è svelata appieno. Gli esseri umani sono complicati, anche gli individui più sadici e pericolosi possono mostrare sentimenti e avere qualità che potenzialmente li redimono: ma un ragionamento come questo funziona da distrazione dal vero problema, e il problema è l'esercizio del potere da parte degli uomini sulle donne.
Non possiamo essere indulgenti nei confronti di un potere che deumanizza le donne, che nella migliore delle ipotesi impedisce loro di realizzare il proprio potenziale e nella peggiore le uccide. La caduta dell'ambiguità su Perry solleva il velo sulla necessità di dare un giudizio netto e inequivocabile sugli abusi domestici.
Anche lo stupro ha poco a che vedere con il sesso e molto col potere. L'aggressione di Jane è una conquista fisica per Perry, l'ennesimo trionfo della sua mascolinità ai danni di quella che è lì per servirlo, in funzione di lui; ed è conseguentemente umiliazione e annichilimento per la sua vittima. Jane mostra tutti i sintomi di una forma non trattata di disturbo post-traumatico da stress, ma con l'arrivo a Monterey ha inizio la sua guarigione. Dalla rassegnazione e dalla repressione si sprigiona la rabbia; la pistola di cui si munisce e che impara a usare, come racconta a Madeline, le dà "potere", l'amicizia di Chloe, Amabella, Josh e Skye per suo figlio fuga gli atroci sospetti su Ziggy, il sodalizio con Maddie e Celeste le dà la fiducia, il coraggio di riconquistare la dignità e il terreno perduto. È arrivata lì alla ricerca dell'uomo che l'ha violentata, ma quando incontra il presunto aggressore rintracciato da Madeline a San Luis Obispo non sa nemmeno lei se vuole premere il grilletto; guardarlo negli occhi mentre stringe quell'arma le serve a superare il trauma che l'ha paralizzata per anni.
Quando la vediamo al gala scolastico nel finale, Jane è un'altra donna rispetto al pilota (e Shailene Woodley è assolutamente radiosa). In quel tripudio di tensioni e conflitti che Vallée mette in scena con incredibile attenzione ai dettagli e che i suoi montatori assemblano con maestria, Jane è il ritratto della serenità: ed è proprio allora che la caccia si conclude sorprendentemente. Perry riconosce Jane prima di morire? E Jane ha davvero bisogno che lui muoia? "You get what you need", recita il titolo dell'episodio, ammiccando ai Rolling Stones e al loro classico You Cant' Always Get What you Want, ma ad ottenere ciò che merita non è Jane, è Perry.
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Il dilemma di Madeline
All'inizio di questo articolo abbiamo proclamato che non il caso fortuito ma la malvagità di Perry a unire le protagoniste di Big Little Lies. Se la connessione tra Celeste e Jane è immediata, Madeline è attratta nella loro orbita, come rileva suo marito in uno dei primi espisodi, dalla sua inclinazione ad aiutare il prossimo - o a farsi i fatti degli altri, direbbero le sue figlie. Ed riesce a vedere oltre l'ammirazione e l'invidia che Madeline prova per Celeste per accorgersi dei danni che ha subito; anzi dimostra un notevole intuito e Maddie dovrebbe apprezzare le qualità dell'uomo che ha sposato, senza dover attendendere la serenata del finale; invece è decisa a curare i dolori degli altri per distrarsi dai propri.
Scottata dall'abbandono degli uomini più importanti della sua vita, frustrata per aver rinunciato alla propria realizzazione professionale, inarrestabile e inafferrabile nella sua energia e nel suo perfezionismo, Maddie finisce per sfuggire anche a Ed, e a non sapere come risanare la frattura prima che le conseguenze delle sue azioni li travolgano tragicamente. Ma a salvare Maddie e Ed è la stessa empatia che Maddie ha dimostrato verso le sue amiche. Le donne vanno sulla terrazza per consolarsi, spiegarsi, aiutarsi a vicenda: Jane segue Madeline, Renata segue Jane, Celeste cerca le amiche e infine arriva, con grande tempismo e un'ineffabile saggezza, Bonnie. Di queste forze complicate e bonarie Maddie è il catalizzatore, perché di tutte è la più aperta verso il mondo, in fuga com'è da sé stessa e da suo marito, ma il dramma di ognuna di queste donne è il prodotto di un'ingiustizia, di un'aberrazione o di un pregiudizio, e solo scoprendolo l'una nell'altra possono riconoscerlo, e solo insieme possono proteggere Bonnie che ha fisicamente rimosso il tiranno.
Perry Wright non è l'incarnazione del patriarcato, ma è un simbolo che, nell'ambito di questa particolare narrazione, getta luce sugli effetti del potere patriarcale sulla società intera e non solo sulla vita delle donne. Perry è la violenza, l'ipocrisia, la diseguaglianza, e se a queste donne tocca di risanare il male che ha compiuto, non è tanto perché ne sono le vittime, ma perché essere madri apre il cuore a tutto il dolore del mondo e ciò di cui abbiamo bisogno è la capacità di riconoscere il dolore degli altri nel nostro. Perché quell'immagine idilliaca delle madri e dei loro bambini sulla spiaggia, che si contrappone in maniera così efficace ed eloquente alla sequenza iniziale in cui Celeste è sola, straziata e terrorizzata sul pavimento della sua lussuosa stanza da bagno, sia davvero a portata di mano.
Movieplayer.it
4.0/5