Per chi scrive Tim Burton ha colorato il cinema (e ora anche la serialità) come nessun altro regista, pur se tra alti e bassi artistici. Una cosa però è certa: quel Big Fish - Le storie di una vita incredibile del 2003, che oggi compie 20 anni, è forse il punto più alto, coerente e coeso raggiunto dalla sua carriera, perché unisce le due anime del regista di Burbank, già perfettamente presentate nel cult Nightmare Before Christmas, sia a livello di scrittura che di regia. Un equilibrio talmente perfetto e impossibile da replicare, che i suoi vari lavori hanno sempre propeso per l'una o per l'altra essenza. Ma non in Big Fish. Vediamo perché.
Storytelling mon amour
Nella vita arriva un momento in cui un uomo ragionevole deve ingoiare l'orgoglio e ammettere di aver... sbagliato di grosso! Solo che io... non sono mai stato un uomo ragionevole!
Prima di tutto Big Fish è una grande lezione di storytelling meta-cinematografico. Ci ricorda un'abitudine umana importantissima e la mette ben in evidenza nella pellicola: quando raccontiamo un evento che ci è accaduto, non lo facciamo mai in modo letterale, ma tendiamo ad abbellire, gonfiare, rendere più accattivante il racconto per chi ci sta ascoltando, soprattutto se si tratta di un qualcosa con cui vogliamo fare bella figura agli occhi di chi ci ascolta, magari cambiandola leggermente di volta in volta che la si espone davanti a un "pubblico". È questo che ha fatto per tutta la vita Edward Bloom, il grande pesce del titolo, che uscito dal paesino dove era un campione e una superstar tanto da ricevere le chiavi della città, si è reso conto di essere solamente un pesciolino in un grande oceano. Eppure ha sempre saputo reinventarsi ed essere un grande uomo anche fuori da quella cittadina che gli stava così stretta. Per interpretarlo nelle due epoche diverse che si mescolano continuamente tra presente e flashback del passato - proprio come le storie del protagonista - furono scelti Albert Finney e Ewan McGregor, risultando entrambi giganteschi così come tutto il cast stellare meravigliosamente selezionato.
Ora che sta per diventare padre anche lui e che Edward sta morendo di cancro, il figlio Will, insieme alla moglie Josephine (Marion Cotillard), vorrebbe recuperare un rapporto col genitore, che negli anni ha allontanato perché sembrava tenere più alle proprie sedicenti avventure che alla propria famiglia, e soprattutto conoscere l'uomo dietro la storia. La scena più efficace del film, e allo stesso tempo forse una delle meno ricordate, è quella in cui, finalmente, il medico di famiglia racconta tutta la verità sul giorno in cui nacque il figlio del protagonista: una storia semplice, banale, senza guizzi. C'è a quel punto un'espressione sul volto del giovane, resa perfettamente dall'attore Billy Crudup, che denota soddisfazione ma anche un retrogusto di amarezza e delusione perché, forse, in fin dei conti avrebbe preferito la versione fantastica raccontata dal padre.
La sequenza ha un corrispettivo, molto più iconico e ricordato dagli spettatori, nel finale della pellicola quando il figlio, accettati i pregi e difetti del padre e compreso forse finalmente il vero valore dello storytelling, che si tramanda di genitore in figlio, proprio come la narrazione orale fin dall'alba dei tempi delle favole e delle fiabe, compie l'atto più generoso che può nei confronti di Edward. Questa volta sarà infatti lui a raccontare al padre la storia di come sarebbe morto, circondato dagli amici e da tutte le persone folli e meravigliose incontrate nella sua vita ricca e piena, in cui visivamente finalmente si mescolano realtà e fantasia, per un commiato che ha il sapore dell'epica antica, con il corpo del defunto che viaggia lungo il fiume (come una pira) e vi si tuffa, tornando ad essere il Big Fish del titolo. Pura poesia per immagini.
Tim Burton da Pee Wee a Mercoledì: come ha colorato il cinema e la tv
Di padre in figlio
Vi è mai capitato di sentire una barzelletta così tante volte da dimenticare perché è divertente? E poi la sentite di nuovo e improvvisamente è nuova. E vi ricordate perché vi era piaciuta tanto la prima volta... a furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie. Esse continuano a vivere dopo di lui, e così egli diventa immortale.
Tim Burton ha sempre avuto un rapporto molto complicato e altalenante con entrambi i genitori, e proprio nell'anno di Big fish - Le storie di una vita incredibile diventò padre per la prima volta. Fu questo che lo spinse a convincere John August (sceneggiatore per lui anche di La fabbrica di cioccolato, La sposa cadavere e Frankenweenie) ad adattare il romanzo di Daniel Wallace mentre lui si sarebbe messo in cabina di regia - storicamente infatti Burton dirige e non scrive i propri film, curando e supervisionando però l'aspetto visivo fin dai primi bozzetti e storyboard. Big Fish è infatti una vera e propria favola per adulti e piccini, che ne coglieranno sfumature ogni volta diverse, e che non possono non rimanere affascinati e venire catturati dalla caratterizzazione dei personaggi sopra le righe, delle incredibili scenografie e dei dialoghi iconici grazie ai quali praticamente l'intero film potrebbe essere citato.
Dialoghi che a volte ribaltano concetti e frasi che pensavamo di conoscere a memoria, come nel caso dell'incontro tra Edward e Sandra Templeton (Jessica Lange e Alison Lohman nelle sue epoche differenti): "Dicono che quando uno incontra l'amore della sua vita il tempo si ferma. Ed è vero. Quello che non dicono è che quando il tempo si rimette in moto va a doppia velocità per recuperare". Del resto la donna sarà l'amore della vita del protagonista come all'epoca era Helena Bonham Carter per il cineasta: "Per tuo padre sono sempre esistite solamente due donne. Tua madre... e poi tutte le altre". Burton diede all'attrice il ruolo della sedicente strega del villaggio e di Jenny, la bambina cresciuta del folle e surreale paesino in cui si imbatterà un giorno, dove era scomparso il poeta interpretato da Steve Buscemi.
Che dire di Carl il Gigante, delle gemelle siamesi, e soprattutto del padrone del circo che raccoglierà Bloom appena arrivato in città, Amos Calloway, interpretato da un perfetto Danny DeVito (che tornerà in panni circensi nel live action di Dumbo)? Personaggi talmente fantasiosi da fare il giro e risultare incredibilmente veri. Il circo era l'escamotage perfetto per rendere ancora più favolistica quella storia, e Tim Burton c'è riuscito. Forse sono anche un po' sue le storie di una vita incredibile del sottotitolo italiano, perché è proprio grazie a quei racconti e a quell'esistenza che il regista ha saputo regalarci un tale capolavoro narrativo e visivo, capace di emozionare ad ogni visione come fosse la prima.