Il Teatro Petruzzelli di Bari è gremito e immerso nel buio, mentre sul palco due soli fari fanno luce su un vecchio diario del 1993, sulle confessioni di un uomo che sfoglia se stesso. Sono pagine bagnate dal sudore e scritte da mani poco ferme, piene di dubbi e ripensamenti. È l'immagine poetica di chi ha sempre prediletto un cinema di parola, di frasi più che di fotografie. Nanni Moretti catalizza su di sé tutta l'attenzione dell'ultimo giorno del Bif&st 2015 e lo fa con la solita semplicità al limite dell'ordinario che per una volta lascia spazio ad un'emozione sempre composta e asciutta.
Poche ore prima di ricevere il Fellini Award per l'eccellenza artistica dalle mani di Ettore Scola, Moretti ha riaperto al pubblico il suo Caro Diario ben due volte: prima con la proiezione del film premiato a Cannes con la Palma d'Oro alla Regia, poi leggendo un personale quaderno di appunti sulla sua travagliata lavorazione. Una matrioska di ricordi che ha permesso di conoscere meglio la visione istintiva di uno degli autori più impegnati nel racconto del suo Paese attraverso personaggi dal basso profilo e piccole storie, spesso emblematiche di identità personali e nazionali.
Note a margine
Caro Diario è un film disomogeneo "che è fiero di mostrarsi per quello che è, ovvero per niente compatto", non solo per la sua composizione in capitoli, ma perché frutto di un progetto di scrittura molto blando e poco strutturato. "In realtà quel film era nato per essere un cortometraggio, girato in totale leggerezza e spensieratezza, senza dover dare conto a qualcuno. Arrivai molto impreparato alle riprese ed è per questo che è stata una produzione piuttosto particolare". Così, dal leggio fuoriescono parole private e cariche di una certa inquietudine sempre mitigata dal solito sarcasmo: "A volte penso che il film possa essere sbagliato, avvertito come pretenzioso, perché onestamente non mi sento in grande forma e ho poche idee. Non vorrei si risolva tutto in una bolla di sapone". A scalfire la già traballante autostima di Moretti arriva anche la visione di Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza di Edgar Reitz: "Dopo averlo visto mi sento uno zero assoluto. Sono invidioso di Reitz, lui è più emozionante e disponibile di me, ma è talmente bravo che forse non sono più invidioso".
L'esperienza di Caro Diario procede tra "dialoghi scritti la sera prima del ciak" e un mole eccessiva di materiale girato, sintomo di grande insicurezza, tanto da spingere il regista a scrivere: "Non ho talento e credo di riuscire a difendermi sono con l'ironia, infatti quando mostro le immagini del film alla troupe nessuno mi fa i complimenti. Stanno tutti zitti". Il vulcano di Stromboli non fa che esasperare la fobia dei tanti viaggi in elicottero, la scena sulla mitica Vespa viene rigirata in una Roma particolarmente vuota a Ferragosto ("a chi potrà mai interessare un motorino che gira per Roma?"), la colonna sonora cambia di colpo compositore, passando nelle mani di Nicola Piovani e, intanto, il montaggio diventa una fase stressante perché l'obiettivo diventa "farcela per il Festival di Venezia". La sofferta lavorazione arriva finalmente al termine e dopo la prima proiezione ("dove mio fratello e mia sorella si misero a piangere") il verdetto personale è lapidario: "il film non è brutto ma nemmeno bello". Siamo verso la fine del 1993 e il diario di Moretti si arricchisce di un'ultima testimonianza toccante, parallela alla produzione del suo film: "Ricordo il silenzio di Cinecittà e la sua atmosfera ovattata. Ricordo una bara e mi resi conto che era davvero troppo piccola per contenere Federico Fellini".
Il finale alternativo e il capitolo tagliato
Pagine aggiunte e altre strappate. Il diario di Moretti è fatto anche di questo. "In realtà avevo girato un finale diverso per il capitolo Isole, una scena nella quale Carpentieri finalmente riesce a riabbracciare il suo idolo di sempre: Mike Bongiorno. Poi avevo persino scritto un quarto capitolo per il film, ma alla fine mi sono reso conto che era troppo slegato dagli altri. Si chiamava Il critico e il regista e raccontava la storia di un regista mediocre (sarebbe stato interpretato da Silvio Orlando) che nonostante il suo scarso talento era riuscito a convincere tutti di essere capace. Tutti tranne un solo critico che avrebbe cercato a tutti i costi". Finiti i ricordi, il regista ha cercato di spiegare il motivo del successo di Caro Diario: "Dentro e dietro quest'opera c'è tanta casualità e tanta fortuna, ma se devo proprio individuare le ragioni del successo del film, forse risiede nella sua semplicità e nella sua ironia, soprattutto nel capitolo che tocca il tema della malattia. Ho cercato di evitare il compiacimento, senza celebrare con sadismo la sofferenza. Pensate che persino le ricette e le prescrizioni mediche che si vedono sono tutte vere. Il realismo era il mio primo obiettivo".
Due generi di scrittura
Guardando la sua filmografia con sguardo disincantato e schietto, Nanni Moretti riesce a distinguere due scuole di pensiero ben distinte: "I miei primi film, e mi riferisco ad Aprile, Palombella rossa e Caro Diario, hanno sceneggiature piene di buchi narrativi che ho colmato di volta in volta nel corso della loro produzione. Il mio è stato un atteggiamento quasi reazionario ad un certo tipo di cinema dove la scrittura era troppo accademica e rigorosa. Al contrario, film successivi come La stanza del figlio e Habemus Papam sono molto più strutturati, preceduti dalla stesura di copioni solidi".
Fare cinema secondo Moretti
Con i ricordi pieni di paure ormai alle spalle, chiusi nel vecchio diario, adesso Moretti è in grado di dare un peso specifico ad ognuna della fasi che compongono la creazione di un film; lui che nel cinema ha vestito qualsiasi ruolo: autore, regista, attore, produttore, distributore, direttore di festival (per due volte al Torino Film Festival) e persino esercente. "Con il passare del tempo, ho come la sensazione che l'atto della scrittura sia diventato più gestibile perché ho trovato il mio equilibrio. Prima scrivevo sempre da solo, vivendo un'esperienza esclusivamente personale e molto introspettiva. Adesso scrivo sempre con altre due persone e la stesura del copione è diventata più piacevole, è come una traversata che si vive insieme, fatta di noia, di digressioni, di momenti morti sino alla nascita di idee costruttive. Senza dubbio il momento della scrittura è quello più difficile, quello delle riprese il più faticoso e pieno di ansia, mentre il montaggio è il tempo del sollievo. Amo particolarmente il secondo montaggio, ovvero quando le scene inutili vanno via quasi da sole. Di sicuro vivo i periodi di pausa tra i miei film come momenti per ricaricarmi senza viveva alcuna ansia da inattività". E proprio quando ci avvicina agli ultimi film, al significato del suo Il caimano, alla clamorosa lungimiranza di Habemus Papam e a qualche anticipazione sull'imminente Mia madre (in uscita il prossimo 16 aprile), Moretti sceglie la via del mistero: "Trovo giusto lasciare libertà alle interpretazioni del pubblico, anche per questo molte delle storie che racconto non affrontano un unico tema e spaziano tra tanti riferimenti. Alla fine ritengo che i film non debbano essere un cruciverba con un'unica soluzione. E se proprio deve essercene per forza una, non deve certo arrivare dal regista". Una chiusura secca, inaspettata, con un tempismo spiazzante. Alla Nanni Moretti.