Dopo aver premiato con il Federico Fellini Award il talento e la carriera di un artista poliedrico come Giancarlo Giannini, il Bif&st accoglie un altro protagonista assoluto del cinema internazionale. Britannico di nascita e per propensione caratteriale, Stephen Frears arriva per la prima volta a Bari per intrattenere il pubblico e la stampa del Teatro Petruzzelli con i segreti che hanno reso personale e riconoscibile il suo cinema. Un percorso non facile da seguire, visto che il regista inglese vanta al suo attivo ben venti lungometraggi e altrettante esperienze televisive in cui storie in costume come Le relazioni pericolose, l'indimenticabile The Queen, Cheri e Lady Henderson presenta si sovrappongono a narrazioni più moderne come Alta fedeltà, Eroe per caso, Tamara Drewe - Tradimenti all'inglese. Il tutto condito e arricchito da una personalità forse un po' complessa da gestire, ma sicuramente destinata a sedurre proprio per la sua naturale ruvidezza.
Guardando la sua carriera straordinaria, notiamo film di natura molto diversa tra loro che compongono un insieme variegato. Come sceglie i soggetti e quali qualità devono avere per colpirla? Stephen Frears: Dovrebbe fare questa domanda ad uno psicanalista. In realtà ho trovato le mie storie sempre in modo inconscio, un po' come si sceglie una moglie. Comunque, dove sono cresciuto c'era tantissima gente che lavorava scrivendo e a me chiedevano di metterle in scena le loro storie.
Cosa l'ha spinta a diventare regista? Stephen Frears: In realtà non ho mai voluto esserlo. Non sapevo nemmeno che esistesse come lavoro. All'università studiavo giurisprudenza, una cosa noiosissima. In quel momento ho Iniziato ad andare a teatro ed ho incontrato due registi molto importanti per me. Loro mi hanno praticamente sequestrato e mi hanno fatto capire che si poteva guadagnare da vivere facendo il regista cinematografico. Insomma ho scoperto tutto in modo retroattivo.Il suo cinema ha una forma sempre molto personale nonostante spesso nasca da romanzi preesistenti. Come lavora con gli sceneggiatori per mantenere intatto il suo tocco?
La storia è la cosa più importante. A me spetta il compito di raccontarla. In questa consapevolezza si crea lo stile. Si tratta soprattutto di dettagli che devono essere valorizzati per mantenere intatta la natura del soggetto. Ne Le relazioni pericolose, ad esempio, mi sono reso conto che la sceneggiatura aveva dei dialoghi troppo lunghi per il cinema. A quel punto ci è venuta l'idea di inserire la parte epistolare, anche per ritornare ad un'abitudine del tempo. Per Alta fedeltà, invece, mi sono reso conto che la sceneggiatura era riuscita a catturare perfettamente l'energia e la natura del libro, ossia il monologo interiore. Infondo, tramite il film cerchiamo di dare vita al mondo che si trova all'interno del racconto.
Non so bene come rispondere su Daniel. Mi aspettavo che fosse all'altezza del suo ruolo. Il personaggio lo ha interpretato così meravigliosamente da far risplendere tutto il film di luce riflessa. È stato fantastico, io all'epoca non ero un ragazzino e ammiravo la sua capacità di porsi, che mi era del tutto estranea alla sua età. In quel momento il cinema britannico ha compiuto una vera e propria rivoluzione e perché questo accada è necessario avere bravi attori, registi e scrittori. Tutti presenti nello stesso posto allo stesso momento.
Quali qualità devono avere gli attori per lavorare con lei?
Devono essere estremamente sexy, anche se sono le necessità della storia che forgiano i personaggi. Ad esempio, Michelle Pfeiffer doveva recitare con John Malkovich il quale, a sua volta, doveva innamorarsi di lei. Quando l'ho vista ho pensato che questo fosse assolutamente plausibile. Mentre di Helen Mirren ho avuto un po' paura. Mette indubbiamente soggezione, proprio come una regina.
Non faccio molte prove. Non ne vedo il motivo, visto che hanno affrontato un casting ed ho scelto delle persone per un motivo preciso. Mi auguro che siano bravi nel fare il loro lavoro. Non sono come Elia Kazan che considerava tutto il processo alla base delle trasformazioni di un attore. Io vado sul set e mi aspetto che loro siano brillanti nel loro mestiere.
Federico Fellini non era particolarmente interessato all'esito del film. Per lui era molto più importante il processo creativo. Qual'è la sua opinione a riguardo?
È un atteggiamento molto saggio che condivido. Personalmente mi diverto con il mio lavoro e mi innamoro degli attori. Amo sempre quello che faccio.
Non amo particolarmente parlare dei miei film, ma non voglio essere maleducato. Come accade un po' a tutti i registi, si è impegnati e distaccati allo stesso tempo. Ed è una condizione molto particolare. Quindi, se oggi sembro distaccato, magari ieri ero coinvolto.
Per finire, quali sono i suoi prossimi progetti?
Ho appena terminato di girare due film. Il primo è basato tutto sulla corte suprema americana in un momento in cui era molto meno politicizzata. Con il secondo, invece, torniamo ad ambientazioni inglesi. Si tratta della vicenda di una donna irlandese allontanata dalla chiesa cattolica.