Nel 2002 ha collaborato per la prima volta con Paolo Sorrentino e da quel momento per il nostro cinema ha rappresentato una presenza indispensabile da utilizzare nelle produzioni culturalmente più ardite e stimolanti. Sotto la direzione del regista napoletano, infatti, Toni Servillo costruisce capolavori come L'uomo in più, Le conseguenze dell'amore, il televisivo Sabato, domenica e lunedì e Il Divo, osannato al Festival di Cannes del 2008 insieme a Gomorra di Matteo Garrone. Da quel momento, continuando a dividere le sue energie con il teatro, primo e grande amore della sua vita, le richieste cominciano a farsi più numerose e Servillo presta il suo volto ad Antonio Capuano (Luna Rossa), Elisabetta Sgarbi (Notte senza fine), Andrea Molaioli (La ragazza del lago) fino a tornare sul set di Martone per vestire i panni di un inedito Giuseppe Mazzini in Noi credevamo. Film, questi, che caratterizzano una carriera gestita evidentemente senza rincorrere la visibilità a tutti i costi e che la trentesima edizione del Bellaria Film Festival ha deciso di omaggiate con il Premio Casa Rossa alla carriera a dieci anni di distanza dal primo riconoscimento ottenuto proprio grazie al film esordio di Sorrentino.
Signor Servillo, nel 2002 il Bellaria Film Festival le consegnò il Premio Casa Rossa per il film L'uomo in più. Come ricorda quel momento che, in qualche modo, cambiò il suo percorso cinematografico? Toni Servillo: Dieci anni fa non riuscii a venire purché impegnato in una tournee teatrale. Probabilmente all'epoca le stagioni duravano più a lungo. Comunque, fu una grande soddisfazione sapere che un festival aveva avuto il coraggio di investire su una scommessa. Ricordo ancora la soddisfazione di Paolo di fronte a questo premio.
Oltre al film il pubblico di Bellaria avrà la possibilità di vedere il documentario 394 Trilogia nel mondo di Massimiliano Pacifico, incentrato sulla tournée del suo spettacolo La trilogia della villeggiatura. Com'è stato prendere parte a questo progetto? Toni Servillo: Essenzialmente racconta le gioie e i dolori dell'allestimento di uno spettacolo itinerante. Il numero, in particolare, si riferisce alle rappresentazioni messe in scena durante un lungo giro che ha toccato più volte città come Parigi, New York, Mosca e Berlino. Massimiliano con la sua telecamera ha cercato di documentare quest'avventura che, a differenza di quanto si possa pensare, non ha collezionato solamente momenti gloriosi. Si è mischiato tra noi, è entrato nei nostri camerini condividendo anche le amarezze e le rinunce tipiche della vita teatrale.Com'e stata la risposta del pubblico? Toni Servillo: Oggi posso dire che si è trattato di un'esperienza esaltante. Per due stagioni siamo stati accolti da Parigi con lo stesso entusiasmo di una compagnia nazionale, c'è stata offerta la possibilità di recitare nel teatro di Brecht a Berlino, mentre a Mosca abbiamo toccato con mano i luoghi dove si sono formati i riformatori dell'arte scenica. Certo, dopo i grandi trionfi madrileni con Pedro Almodovar tra il pubblico, abbiamo affrontato anche platee piuttosto assonnate.
Da alcuni anni gli autori italiani stanno ottenendo degli ottimi risultati nelle manifestazioni internazionali. Basta pensare all'Orso d'Oro assegnato ai fratelli Taviani e all'ultima soddisfazione di Matteo Garrone a Cannes. Nonostante questi trionfi, però, la preoccupazione per il futuro del nostro cinema non sembra affievolirsi.... Toni Servillo: In questo momento, proprio come il parmigiano e il vino, il cinema è ciò che fa parlare di noi all'estero. Ed è bello che avvenga al di là dell'età, regalando soddisfazioni a degli artisti ottantenni come ad un giovane uomo. Comunque, di là da questo, sono preoccupato per il futuro esattamente come chiunque considera il cinema una forma artistica e non puro guadano. Non a caso oggi sono a qua a sostenere un festival come quello di Bellaria che, storicamente, non guarda al mercato ma alla scoperta del talento. Quando ero un ragazzo si parlava della manifestazione come di un luogo dove era possibile cogliere delle opportunità. Oggi, l'eccessiva attenzione rivolta al mercato riduce drasticamente lo spazio dei sogni e trasforma sempre più l'espressione artistica in una vera e propria carriera. Tutto questo c'induce a pensare che le istituzioni dovrebbero essere più vicine al teatro e al cinema attraverso investimenti e sostegni economici.Nonostante questi risultati, però, non crede che il nostro cinema soffra di una certa povertà di contenuti? Toni Servillo: Assolutamente no. Se guardo all'ultimo anno, posso trovare almeno quattro, cinque opere prime di gran qualità come Corpo celeste, ad esempio. Anzi, ho l'impressione che ci sia una gioventù straordinaria tra i registi come tra gli interpeti. Certo, questi ultimi possono trovare delle difficoltà nel rintracciare storie adeguate con cui mettersi alla prova, ma sembra che gli autori stiano tornando a raccontare la realtà attraverso immagini e atmosfere non necessariamente tranquillizzanti.
Dopo il successo ottenuto con Il Divo, sta per tornare a lavorare con Paolo Sorrentino in La grande bellezza accanto a Carlo Verdone e Sabrina Ferilli. Può svelarci qualche particolare in attesa che inizino le riprese in agosto?Toni Servillo: Non ho l'abitudine di parlare del film prima del regista. Posso solamente affermare che si tratta del quarto film che realizzo con Sorrentino e questo ci rende, evidentemente, sempre più testimone l'uno dell'altro. L'idea di chiamare Verdone è stata di Paolo e, per quanto mi riguarda, sono contento di poter collaborare con lui e Sabrina, un'attrice nata all'interno del cinema d'autore.
Oltre a questo progetto, però, lei ha altri due film in uscita per la prossima stagione. Si tratta di E' stato il figlio di Ciprì e Bella Addormentata di Marco Bellocchio... Toni Servillo: Si tratta di due autori profondamente diversi, anche se legati tra loro da una grande collaborazione. Infatti, terminate le riprese a Brindisi di E' stato il figlio, ho ritrovato immediatamente Ciprì sul set del film di Marco nel ruolo di direttore della fotografia. Per quanto riguarda Bella addormentata, come già saprete, racconta tre storie parallele ambientate durante l'ultima settimana di vita di Luana Englaro. La narrazione, però, non tocca quella specifica vicenda personale, ma mette in gioco le sensazioni e i dubbi che tutti hanno vissuto in quei sette giorni. E non potrebbe essere diversamente, visto che ci troviamo di fronte ad un'opera di Bellocchio, capace di andare oltre la cronaca e di mettere in moto dei pensieri.
Tornando al film di Ciprì, per la prima volta il regista si confronta con il cinema senza Maresco, compagno di molte avventure. Come ha gestito quest'avventura in solitaria? Toni Servillo: Ciprì è uno che vive di pane e cinema, lavorando straordinariamente per immagini. Sono sicuro che vi stupirà con questo film, soprattutto per la maturità con cui è stato capace di tenere salde le redini del racconto. Ha dimostrato di poter muovere delle emozioni incredibilmente forti. Il film si concentra sulla storia di una famiglia che, dopo aver subito la perdita di una bambina uccisa durante un regolamento di conti, si trova a gestire la possibilità di avere un risarcimento statale. Questo premio di consolazione, però, finirà con l'essere ancora più devastante della perdita in stessa.