È fatta: il piano temporale di Saul Goodman si è poggiato su quello di Walter e Jesse. All'alba di un finale esplosivo, Bryan Cranston e Aaron Paul tornano ad Albuquerque, a tredici anni dalle riprese di una scena fondamentale, che cambiò per sempre il corso di Breaking Bad e, chissà, stimolò talmente tanto i creatori, Vince Gilligan e Peter Gould, a creare quello spin-off diventato un grande romanzo americano. Così da superare - almeno per chi scrive - la stessa serie nativa. Era l'ottavo episodio della seconda stagione e, ricorderete, si chiamava Better Call Saul. Ora, con la 6x11 di Better Call Saul (già!), che non per caso si intitola Breaking Bad, il cerchio si chiude, mescolando linee e tempi, spazi narrativi e flashback. Ma, dietro la presenza di Walter e Jesse (tanto attesa dai fan quanto paragonabile all'apparizione di due fantasmi) alla fine ciò che resta è un'inaspettata sensazione di amarezza. Perché? Perché abbiamo preso coscienza che Jimmy McGill è ormai un lontano ricordo. Il futuro transitorio di Saul, diventato Gene, è sfuggente, disilluso, incattivito. E noi, che abbiamo amato Jimmy, ci sentiamo profondamente a disagio con quest'uomo baffuto, dalla vita schiva e grama. Dunque, ecco la domanda che non ci molla: come siamo potuti arrivare a tanto?
Nota: l'articolo contiene spoiler sugli episodi già distribuiti di Better Call Saul 6.
Who is Lalo?
Le emozioni, come i colori che vanno e vengono rimpallando i flussi temporali, si fanno complicate, quasi irriconoscibili: Gene non ci piace (non ci deve piacere), ma come i migliori personaggi, è l'emblema del dubbio e del controverso, diventando l'eccezione che conferma una regola da infrangere. Non lo riconosciamo (e non dobbiamo riconoscerlo secondo gli autori), eppure siamo lì, a sperare che tutto torni com'era. Impossibile, ovvio. La tempesta è stata talmente distruttiva che Saul ha dovuto uccidere Jimmy, lasciando se stesso in balia di Gene, tanto meschino da raggirare un malato di cancro. Jimmy, il caro Jimmy McGill, sposo devoto e avvocato dal cuore d'oro e dalla parlantina svelta, lo avrebbe mai fatto? Un tarlo, e una suggestione: la natura umana non si può cambiare. Al massimo, ci si evolve. Allora, nel momento in cui Better Call Saul finisce per combaciare con Breaking Bad - declinando anche la famosa battuta "Chi è Lalo?", che spalanca nella testa di Saul una spaventosa voragine - cogliamo una forma narrativa totalmente nuova, in cui c'è esclusivamente Gene Takovic al centro della scena. Non c'è passato, non c'è futuro: in Better Call Saul c'è solo l'attimo. E l'attimo, mentre scriviamo, comprende solo Gene. Un uomo che ha perso tutto. Compreso se stesso.
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Se telefonando
Jimmy McGill ci manca, è chiaro, ma l'estro narrativo di Better Call Saul, che l'ha resa a tutti gli effetti una delle migliori serie della storia, sta nei dettagli che, via via, si stanno palesando. Uno su tutti, il telefono. Nella serie AMC (che in Italia trovate su Netflix), le svolte narrative sono arrivate quasi tutte via telefonata o grazie a un telefono. Qualche esempio? Le telefonate tra Lalo e zio Victor, le conversazioni telefoniche di Mike, il cellulare che Jimmy non può portare a casa di suo fratello Chuck, le telefonate via cabina tra Jimmy e Nacho, i telefoni usa e getta venduti da Jimmy in modo più o meno illegale, e ancora il mitico Motorola C115 di Kim. E la 6x11 si apre e si chiude al telefono. Partiamo dalla fine: il regista Thomas Schnauz inquadra l'auricolare bluetooth di Gene che si illumina. Dall'altra parte c'è Jeff (Pat Healy), che lo informa sul fatto che Buddy (Max Bickelhaup) si sia rifiutato - appunto - di intrufolarsi nell'appartamento di un uomo malato di cancro. Gene va su tutte le furie e, cinicamente, decide lui stesso di compiere il crimine. In questo preciso momento Jimmy, il nostro Jimmy McGill, è lontano anni luce. Il suo riflesso si perde dietro una figura oscura e indefinita, disposta a tutto per tenere fede alle sue esplosive inclinazioni.
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Jimmy e Kim
E la seconda telefonata? La puntata Breaking Bad di Better Call Saul 6 si apre - anzi, si spalanca - con un'inquieta chiamata tra Gene e la sua ex segretaria Francesca (Tina Parker). La donna lo informa sui fatti legati ad Albuquerque: gli dice he la DEA lo sta ancora cercando, che i federali hanno trovato i saloni di bellezza e tutto il resto, che Huell Babineaux (Lavell Crawford) è tornato a casa a New Orleans e che Bill Oakley (Peter Diseth) ha "cambiato posizione" ed è diventato un avvocato difensore. Poi, il glitch, l'interferenza, un nome che non ti aspetti. Kim. Francesca dice a Gene che Kim sta bene, che lavora a Titusville, in Florida. In un secondo, Gene cambia volto (Bob Odenkirk, che grande attore) e, per un istante, torna ad essere Jimmy McGill in mezzo a un bianco e nero che non lascia aria, spazio né tempo. Questo finisce per incoraggiare Jimmy a chiamare la sua Kim, ma, in un gioco spietato tra opera e spettatore, non sentiamo alcun dialogo dalla loro conversazione, e anzi non è chiaro se si siano sentiti dopo che Jimmy ha chiesto il numero al centralino. Però, succede qualcosa dall'altra parte della cornetta facendo implodere di rabbia Gene, che sbatte il telefono contro il tastierino e prende a calci la cabina telefonica finché il vetro non va in frantumi. In frantumi come il suo cuore. Ma la fine è vicina, e perciò i pezzi bisogna raccoglierli. Costi quel che costi.