Martina Parenti e Massimo D'Anolfi costituiscono ormai una realtà consolidata all'interno del panorama documentaristico italiano e non solo, dato che il loro sforzo non è mai stato solamente sullo sviluppo di un linguaggio audiovisivo specifico, quando sulla sperimentazione più generale del mezzo in quanto tale. A guardare i loro film, soprattutto il loro ultimo, Bestiari, Erbari, Lapidari, esce fuori una caratteristica, una delle più belle: il loro film sono frutto di una visione giovane del cinema, che può essere dunque utilizzato in modi inesplorati. Titoli che parlano di ricerca, e che della ricerca sono figli.
La pellicola presentata Fuori Concorso all'81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia è un documento fiume, una sorta di grande testo enciclopedico dalla durata molto importate (206 minuti) e, soprattutto, dalla fruizione estremamente particolare per la quale richiede uno sforzo d'attenzione considerabile "titanico" di questi tempi, dove tutto è compresso, accelerato e schiacciato. Una fruizione quindi, in un certo senso, contro il contemporaneo.
Questo perché il tipo di narrazione scelto è completamente al di fuori dagli schemi di un cinema comune e che ha lo scopo di mettere da parte la dimensione umana (ma non l'occhio umano) della fruizione di un testo filmico per spostare l'attenzione sui suoi protagonisti, che sono animali, vegetali e minerali. Tre delle "razze", che, al contrario nostro, da un alieno sarebbe considerati i veri possessori del pianeta Terra.
Bestiari, Erbari, Lapidari: tre atti per tre mondi
Bestiari, Erbari, Lapidari è, come il titolo suggerisce, diviso in tre grandi atti che si occupano singolarmente dei singoli micro (anzi macro) mondi. Un elenco, dunque, che rimanda all'idea di archivio e di conservazione e all'interno del quale lo spettatore è chiamato a percorrere un viaggio di scoperta e di riscoperta allo stesso tempo. Dei luoghi dove lui non è contemplato, ma nei quali lui è comunque intervenuto, spesso a suo uso e consumo, non considerando il fatto che essi erano e sono più importati di qualsiasi suo atto su di loro.
L'idea, appunto, di scoperta e riscoperta appartiene soprattutto al primo segmento, ovvero quello dei "bestiari", dove viene creato un fil rouge che rimanda alle origini della comparsa dell'immagine dell'animale nel cinematografo, all'interno di una cornice narrativa che però mette la fauna prima dell'uomo, anzi, crea un rapporto secondo cui "l'essere umano è stato sognato dall'animale" prima di ribaltare la situazione e prendere il sopravvento. La composizione di found footage e girato permette di mostrare come l'uomo abbia cambiato le modalità con cui si è servito della fauna intorno, studiandone prima i movimenti e poi le relazioni.
L'uomo che, da dittatore sul mondo animale, nel corso del viaggio pian piano si riduce a semplice servitore e infine scompare dall'equazione. Per gli "erbari" andiamo a Padova, nell'orto botanico più antico del mondo, dove ci inchiniamo di fronte ad universo nuovo, che ridimensiona la statura umana fino a renderla semplicemente un appendice. Infine, per i "lapidari", non udiamo più nessuna voce a noi vicina, ma solo il suono delle costruzioni e delle rovine. Ovvero di ciò che resterà senza bisogno forse neanche di un archivio, divenendo prima padrone e poi custode del tempo.
Oltre i confini dell'umana realtà
Bestiari, Erbari, Lapidari è un cinema controcorrente e, dato questa sua premessa esistenziale, decide di lanciare una sfida inedita allo spettatore: provare a fermarsi, ascoltare e osservare con lo scopo di uscire al di fuori del tempo con cui di solito fruisce la realtà. Trova così la chiave di volta per accedere a mondi inesplorati, disegnando una strada il più possibile essenziale in modo da rendere percorribile in diverse modalità.
La regola (forse quella principale e anche quella che ha stimolato il loro percorso di ricerca) che si sono dati Martina Parenti e Massimo D'Anolfi è quella di ricercare costantemente di riposizionare lo sguardo umano, che è sempre presente per motivi ovvi, legati alla natura del testo scelto, ma, per guardare veramente i mondi che il film costruisce, deve riuscire a sublimarsi fino a scomparire. In questo loro tentativo, ancora, utilizzano il lavoro sui tempi della fruizione, dilatandola secondo delle regole di una realtà diversa da quella umana e lasciando solamente qualche traccia per orientare la narrazione.
Si parte da un'idea di sovrapposizione in cui l'uomo è centrale come l'animale per poi passare ad una divisione sempre più evidente quando subentrano le piante, che riescono a prevaricare l'umanità, la quale non è più rintracciabile nel momento dell'arrivo delle pietre, che parlano già al futuro. Ecco come quello contenuto in Bestiari, Erbari, Lapidari assume i contorni di un viaggio che richiede una grande pazienza data la sua natura di vero e proprio viaggio migratorio in senso audiovisivo. Se si accetta la sfida, il film permette di godere di un'esperienza piuttosto rara nella Storia del cinema moderno e regala delle immagini uniche in grado di donare l'emozione di star assistendo ad un uso sperimentale del mezzo cinematografico.
Conclusioni
È un documento prezioso ed ostico, Bestiari, Erbari, Lapidari della ormai professionalmente collaudata coppia composta da Martina Parenti e Massimo D'Anolfi, specialmente nella realtà cinematografica contemporanea. Ad essa si oppone con i suoi 206 minuti e la pretesa di una fruizione dal tempo praticamente estraneo alla dimensione umana. Un testo audiovisivo dalla natura enciclopedica all'interno del quale lo spettatore è chiamato a viaggiare mettendosi piano piano da parte, il premio è la scoperta (o riscoperta) di mondi lontani, un uso del cinema non facilmente incontrabile e una visione diversa di se stessi.
Perché ci piace
- L'uso sperimentale del mezzo cinematografico.
- La bellezza delle immagini d'archivio.
- La natura estremamente particolare del viaggio.
Cosa non va
- Si tratta di un tipo di film molto ostico e non adatto a tutti.